«The Keep» di Michael Mann, 1983

Nel 1983 dei fantasy (cenni in Ladyhawke), Michael Mann, già abbastanza specialista nel poliziesco/crime (non solo il suo primo film era stato Thief, dell”81, ma era dal ’75 che metteva mano a grandi serie TV del genere, in primis Starsky & Hutch), e che continuerà con molto successo nel poliziesco/crime (tanto, forse, da scriverne gran parte della grammatica e della sintassi odierne, con titoli come Manhunter, ’86, il primo film con Hannibal Lecter, Heat, ’95, e la serie Miami Vice, dall”84), si fa attrarre dalle fiabe inconsce di quel periodo (già popolato da roba come Conan, Excalibur, dal Dragonslayer o da cose come The Lord of the Rings di Bakshi, in forza degli elementi sword and sorcerers presenti in Star Wars del ’77) come succederà ad altri insospettabili (oltre al Donner di Superman e Ladyhawke, ci sono anche il Peter Yates di Krull, un altro regista di polizieschi/crime che proprio nell”83 si mette a girare un fantasy, e il Ridley Scott di Legend, ’85, che invece diverrà “poliziescoso” dopo)…

La cosa, produttivamente, gli va male..

I fantasy erano, nizzole e nazzole, roba costosa, fossero essi girati in studio o in rovinose campagne esterne di mesi e mesi alle pendici di montagne, spesso europee, inospitali…
E dipendevano spesso da tecnici degli effetti speciali alle prese con sfide costruttive allora tutte da inventare, e non tutti potevano contare sul know how degli impiegati di George Lucas o Stanley Kubrick che con Star Wars (’77) e 2001: a Space Odyssey (’68) avevano in qualche modo inaugurato l’andazzo, sulle ceneri o all’alba del Dune di Alejandro Jodorowski…

Mann ci casca con tutte le scarpe, con uno script ambizioso che mette nelle mani di tecnici top (Alex Thomson, che aveva girato e girerà molti dei film citati, incluso il Legend di Scott, e Wally Veevers, il genio di Superman e 2001) ma che naufraga proprio con la morte di uno di quei tecnici (Veevers, che se ne va quando The Keep non è ultimato, lasciandolo senza un piano di lavoro da seguire)…

Senza soldi, con un girato, in Galles, fatto apposta per la post-produzione di Veevers, e quindi non comprensibile senza gli effetti speciali (anche se alcuni elementi hardware erano supportati da un eccellente design, supervisionato da Enki Bilal, che allora aveva già pubblicato La Foire aux immortels), Mann monta lo stesso (col fido Dov Hoenig) un film di 4h 30′ che Paramount, naturalmente, gli manipola, riducendolo a 90 minuti, con numerosi errori di continuità e una scarsa resa visivo-sonora…

Mann cerca di salvare parecchie scene in distribuzioni successive, per la TV e l’home video, risultando in una pletora di versioni e durate diverse, con differenti sistemazioni visive di molte scene (con gli effetti speciali che Mann riuscì a completare con gli “eredi” di Veevers), che hanno circolato e circolano tutt’oggi in streaming e in digital download a seconda dei paesi, ma tutte basate su un cut di non più di 98 minuti, con una delle più autorevoli sistemazioni finita in DVD nel 2020 e poi nel magazzino di Criterion, ma con l’edizione di 4h probabilmente distrutta da Paramount, con scorno di Mann, che ha da sempre disconosciuto il film anche nelle versioni maggiormente circolanti (non mi risulta abbia collaborato neanche con Criterion, ma devo indagare)…

Numinosamente inconscio, con la musica dei Tangerine Dream, allora in voga tra gli alternativi alle romanticherie imperanti di John Williams (vedi anche Chariots of Fire: occhio, però, che molte scene clou hanno le musiche classicissime di Howard Blake e un arrangiamento di un Gloria del cinquecentesco Thomas Tallis), ed afflitto dalle ristrettezze economiche e visive che però lo rendono un qualcosa che sembra amorevolmente fatto in casa, The Keep scorre senza effettivo discernimento completo (il modo e il motivo del personaggio messianico di Scott Glenn sono rimasti nella versione mangiata da Paramount), ma ha tutte le caratteristiche del fantasy di quegli anni traslato più sul versante del racconto morale che della fiaba propriamente detta…

Il bene è chiaramente un Gesù neanche così laico (anche se per niente casto), che ha la sua Maddalena, e la sua missione sacrificale… e la sua battaglia finale col mostro si intravede essere stata pensata come un combattimento ultra power, purtroppo non realizzato negli effetti speciali ma che comunque acchiappa anche senza…

Il male è un fantastico golem che sembra farti del bene, ma che invece è il nazismo più psicanalitico, con metafora espressa anche nei dialoghi…

e questa lotta tra bene e male è servita con i suoni straniti, quasi inquietanti acufeni, dei Tangerine Dream, e con la maestria di un Mann che, pur pensando alla post-produzione, in Galles gira con tutto quello che può: costruisce (col grande John Box, amico di David Lean) un villaggio e una fortezza ancestrale assolutamente da brividi e la riprende con fievoli luci di taglio, che quasi plasmano un’oscurità numinosa, che fa intravedere e mai scorgere, innescando un terrore innato quasi più della visione diretta… e in quest’atmosfera scura, la funzione benevola della luce, associata ovviamente al Gesù, giunge come contraltare efficacissimo, anche senza la forza degli effetti speciali, che, naturalmente, sarebbero stati auspicabili e opportuni, soprattutto per garantire al finale spettacolarità, ma che, di fondo, non avrebbero aggiunto nulla alla solidità iconologica del girato, già di per sé fotografato come si conviene a un vero grande scontro psichico tra bene e male interiori…

Come disse Mereghetti nella sua recensione in uno dei suoi dizionari, quando, soprattutto in Italia, era visibile solo in fortuite messe in onda di Enrico Ghezzi o dei Bellissimi di Rete4, The Keep non somiglia a nient’altro: è un unicum della rappresentazione del racconto morale dello scontro tra bene e male: un coacervo di istanze mentali rappresentato con immagini mentali, che ammonisce sulla natura universale del male (del nazismo) e spera in una redenzione grazie al sacrificio di un chosen one, che come un Super-Io lotta con un Es malvagio e bestiale, mentre un Io simboleggiato dagli astanti personaggi, osserva la battaglia come a una immane catastrofe più grande di loro…

il tutto senza magniloquenza retorica hollywoodiana ma con un coccoloso hand made che fu fortuito e non voluto ma che concorre a mille all’aspetto di scatola giocattolosa del film, una scatola da cantastorie giramondo, messa insieme con sputo e cartone, ma da cui si apprende alla grande l’etica (il giusto e l’ingiusto)…

Un pensiero riguardo “«The Keep» di Michael Mann, 1983

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  1. Da sempre l’ho snobato o perlomeno, me lo sono fatto passare senza dargli un’occhiata, ma per pigrizia mentale, perché spesso si pensa che il fantasy sia un’eterna cazzata e che si possa fare così, gratis, come se si stesse raccontando una fiaba della buonanotte inventata al volo, per far addormentare il quasi neonato di turno.
    …che poi si sveglia il mattino dopo e ti chiede perché quel preciso personaggio in quel preciso momento abbia detto delle parole precise ecc. ecc. …
    In anni appena successivi anche una buona serie fantasy o quasi + giallo con Fratello Cadfael? A lisciarlo?

    Comunque ora mi è venuta curiosità … peccato la versione da 4h, oggi avrebbe avuto più seguito, 30-40 anni fa era un mondo troppo reaganiano…

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