- Le ragazze di Emma Cline [2016], traduzione di Martina Testa, Torino, Einaudi, 2016
- Almeno tu di Carlo Lucarelli, Torino, Einaudi, 2025
- I giorni di Vetro di Nicoletta Verna, Torino, Einaudi, 2024
- Storia del dove di Tommaso Maccacaro e Claudio M. Tartari, Torino, Bollati Boringhieri, 2017
- Demon Copperhead di Barbara Kingsolver [2022], traduzione di Laura Prandino, Vicenza, Neri Pozza, 2023
- La malacarne di Beatrice Salvioni, Torino, Einaudi, 2024
- La metamorfosi di Franz Kafka
- Cuore di cane di Michaíl Bulgákov
- The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood
- L’anniversaro di Andrea Bajani, Milano, Feltrinelli, 2025
- Picnic sul ciglio della strada di Arkádij & Borís Strugáckij
- Il Vij di Nikoláj Gógol’
- Alcuni racconti famosi di Harlan Ellison
- Americanahdi Chimamanda Ngozi Adichie
- La bella estate di Cesare Pavese
- Gli arabi di Tom McKintosh Smith [2019], traduzione di Francesca Bellino, Torino, Einaudi, 2022…
Eccezionale nell’imparare soprattutto l’oscurissima origine di quei popoli del deserto, spesso diversi, e poi accomunati dallo stesso nome… da leggere e rileggere! - L’Italia dei libri: l’editoria in dieci storie di Tommaso Munari, Torino, Einaudi, 2024
Interessantissima storia aneddotica ma anche sostanziale delle case editrici Zanichelli, Treves, Bemporad, Hoepli, Laterza, Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, Adelphi e Sellerio: storie che restituiscono un profilo molto felice dell’editoria italiana alle origini… - L’alba della storia: una rivoluzione iniziata diecimila anni fa di Guido Barbujani, Roma-Bari, Laterza, 2024
Io adoro i libri di Barbujani: aiutano tanto a smentire tutti i luoghi comuni destrorsi riguardo alla purezza, all’originalità, all’idolatria del come era prima, alla farloccheria tremenda del si è sempre fatto così, delle tradizioni millenarie che non hanno nulla di millenario, dei cibi belli e genuini fatti solo e soltanto qua in Italia, da sempre, invece di essere contaminazione continua di tutti i tempi e tutti i luoghi, come tutto al mondo…
Una rigorosa e freschissima smentita a ogni mito destrorso del dio, patria e famiglia: concetti del tutto costruiti molto recentemente, e biologicamente, come culturalmente, inconsistenti… - La cucina italiana non esiste: bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici di Alberto Grandi e Daniele Soffiati, Milano, Mondadori, 2024
Grande operazione di verità su una cucina che risveglia guerre civili su panne, guanciali e pecorini, come se quegli ingredienti fossero scritti nella pietra da secoli, quando invece si sono tutti inventati, malamente e per questioni di marketing acchiappa-citrulli, quando va bene negli anni ’60, e quando va male negli anni ’80…
Dovrebbero leggerlo tutti i leghisti phashi rincuculiti che professano che l’ibridismo faccia male, quando invece è il motivo per cui l’esistenza, anche culinaria, va avanti… - Omero e l’Iliade di Robin Lane Fox [2023], traduzione di Valentina Palombi, Torino, Einaudi, 2023
È un libro molto interessante, che ben fa intendere tutti i problemi su Omero… conclude nella maniera leggermente “fantasiosa”, ma già in essere nell’antichità, di Omero che ha scritto l’Iliade per darla in eredità a una figlia (leggende): una tesi neounitaria più romantica che scientifica… si sente che Fox sa quello che dice, ma quest’argomentazione di fondo, così come il ritenere Iliade “storica”, con effettivi luoghi descritti, al contrario di una Odissea totalmente mitica, con luoghi di fantasia, fanno fare una leggera acqua a tutto il corposo saggio… - Iliade a cura di Daniele Ventre, Milano, Ponte alle Grazie, 2025
Rispetto all’Odissea, di 2 anni fa (vedi Libri 2024), per l’Iliade, Ventre ritrova ottimi argomenti mitografici (che lambiscono, smentendola, ma adombrandola in antropologia indoeuropea, la cacchiata che i fatti dell’Iliade occorrerebbero in Inghilterra: questo perché elementi del mito achilleo, tra cui il chosen one invulnerabile se non in una piccola porzione di corpo, o anche la sua ibridazione travestitista, sono comuni a un ceppo mitico che ha attecchito anche in ambiente celtico), ma si perde molto di più nell’eziologia onomastica che nella effettiva sostanza, forse perché, in effetti, quella sostanza era già “compiuta” e indagata nell’Odissea… tutta l’identificazione dei diversi strati di Wilusa con gli effettivi elementi storici ittiti è lunga e poco concludente (Fox, in questi argomenti, è più assertivo), ma Ventre non commette mai l’errore, per fortuna, di scambiare Omero per Polibio, così come fa Fox (e curioso notare come, nella sterminata bibliografia, Ventre ignori del tutto il saggio di Fox)… la traduzione, molto barbara, e il commento sono comunque al top, e spesso, con onestà intellettuale, il commento informa anche di ciò che Ventre reputa superato e inconsistente… - Breve storia eretica della musica classica di Alessandro Baricco, Milano, Feltrinelli, 2025
Si chiama eretica perché espone con orgoglio un sacco di fregnacce ottocentesche e primo novecentesche sulla supremazia della Wiener Klassik su tutto quanto: Haydn, Mozart e, soprattutto, Beethoven, sono stati i compositori più belli, più bravi, più ganzi, e tutto il resto è robaccia, teleologicamente preludente a loro, senza nessuna autonomia artistica, o decadentisticamente derivato da loro, in maniera deteriore rispetto a loro… una concezione evoluzionistica della storia della musica che se la leggevi nell’Ottocento, vabbé, erano altri tempi, ma che riproposta oggi fa veramente cadere le braccia, se non direttamente ridere… e Baricco la riesuma quasi orgogliosamente, nonostante i tanti studi che dimostrano come scquacquera tale evoluzionismo (studi che iniziano addirittura negli anni ’20), quasi come Red Ronnie tira fuori la minchiata che i bimbi, solo succhiando latte materno e senza vaccinarsi, campano 100 anni, fantasticando un tempo in cui i bimbi *davvero* campavano 100 anni e derubricando a idiozia l’evidenza storica che i bimbi, col solo latte materno e senza vaccini, morivano uno dopo l’altro…
Baricco sembra il novax della musica classica, che taccia Leonino e Perotino di essere come dei cacciatori-raccoglitori primitivi rispetto a Beethoven e Brahms, e liquida tutto quanto scritto dopo Wagner come astrusità artistoide, forse da ammirare, ma, nizzole e nazzole, priva di senso, che non attira il pubblico…
E la cosa forse ancora più atroce è il sentirgli dire che Haydn, Mozart e Beethoven sono tutt’oggi così immortali (secondo lui), proprio perché hanno accontentato i loro committenti, mentre tutto quello che è venuto dopo li ha schifati e attende che altri compratori possano apprezzare quella musica strana…
non so come recepire questa cacchiata, che ignora l’eterna sinusoide tra il potere e la forma, e perpetua la logora idea che la musica sia classica solo se è stata scritta in Europa dopo il 1789: una musica classica che è solo borghese, che se è politica lo è perché è borghese, mai rivoluzionaria, mai disinteressata, e, quando va al di là del tonale, mai interessante…
boh…
È una storia della musica che sembra scritta nell’Ottocento, con idee dell’Ottocento, che si spaccia per eretica solo perché chi ci capisce ha, nel frattempo, scoperto che quello che si diceva nell’Ottocento erano tutte puttanate classiste e colonialiste, con Baricco che reagisce nel dire «ma no, siamo ancora nell’Ottocento, e chi lo rivendica è un ribelle!»…
no… chi lo rivendica è fuori dal mondo… e un retrogrado del cazzo… [l’Ottocento piace tanto a Baricco dai tempi di Seta, che è pure di 30 anni fa: tali fisse avrebbero anche frantumato i coglioni] - Batman: The Dark Knight Returns di Frank Miller (storia e arte), Lynn Varley (colore), Klaus Janson (inchiostri) [1986], 30th anniversary edition, Burbank, DC, 2016
La prima vicenda, con Two-Face che trionfa su Dent, mi «faceva legge»: non riuscivo a finirla…
stavolta ce l’ho fatta!
e sono quindi, con un ritardo di soli 40 anni, riuscito a leggere per intero questo capolavoro che sublima in inconscio qualsiasi istanza di fascistezza che oggi tanti rimproverano a Batman: quello di Miller è un Batman che cerca un bene mentale, che usa le idiozie di psicopatologia fascia delle masse per scopi positivi (bellissimo quando, col solo decapitare la banda di criminali, Batman ne diventa il capo, denunciando completamente la debolezza di certe personalità violente), che commuove nel perdersi nel suo stesso passato (le lacrime sono inevitabili quando Batman sta per soccombere e invoca un Robin ormai morto, con un nuovo Robin che arriva: un Robin miracoloso quanto funzionale, insieme effettivo quanto fantasticamente psicologico), e sa che il suo dovere/guarigione è solo nel titanismo del poco a poco, poiché il male non si potrà mai sconfiggere, soprattutto in un mondo già in frantumi (la satira dei media, madre di quella di Verhoeven, di RoboCop e di Starship Troopers, è un caleidoscopio postmoderno di marciume che è anche paradossalmente divertentissimo!), da riincollare, a poco a poco, in tutti i suoi cocci: e lo si può fare proprio perché siamo psicologicamente integri noi stessi, come siamo tutti dopo la morte simbolica di tutti i riti di passaggio esistenti! - Batman: The Cult di Jim Starlin (storia), Bernie Wrightson (arte), Bill Wray (colore) [1988], [Burbank?], DC, ???
Vedere un Batman totalmente vittima, incapace di fare nulla, e perfino perduto nelle allucinazioni religiose, è un’avventura quasi indimenticabile: come in Arkham Asylum, in The Cult Batman lotta contro se stesso e le sue percezioni, e contro una volontà di distruzione della società, chiamata religione, impossibile da arginare o governare…
un bel grido d’allarme sulla fine, eterna, del mondo… - Batman: One Bad Day: The Riddler, Dreadful Reins di Tom King (storia), Mitch Gerads (arte), [Burbank?], DC, 2023
Anche qui si vede come certe storielle, fatte passare come geniali, di worldbuilding, siano molto più deboli di quelle che lasciano le cose nel dubbio… e, ancora, nell’inconscio…
come nell’antigrafo che ha creato questo filone DC (il One Bad Day), e cioè la primigenia Killing Joke di Moore/Higgins (’88), non si capisce se Batman uccida Riddler o invece rimuova l’istanza di Riddler nel suo animo… o se l’uccidere Riddler è solo un sogno di pace rispetto a un mondo tanto iperrealistico (eccezionale la resa fotografica di Gerads) quanto incauto di obliquità (come nel miglior cinema, le inquadrature di Gerads sono spesso video di sorveglianza o specchi, sono visioni di visioni: soggettive, e quindi allucinazioni non primariamente identificabili con un osservante, che si spacciano per oggettive narrative e sincere: sono false verità!)… - Batman: The Long Halloween di Jeph Loeb (storia), Tim Sale (arte), Gregory Wright (colore) [1997-1998], New York, DC, 1998
È bello e coinvolgente, ma ho ritenuto tutto l’episodio di Joker (il terzo?) completamente inutile, il disegno di Catwoman carino ma non come io mi immagino il personaggio, e la cornice poliziesca molto anni ’90, cioè fin troppo positiva, senza quei gangli inconsci che a me tanto piacciono…
tutto sommato, quindi, m’è risultato molte volte pesantino…
però il finale che suggerisce più colpevoli acchiappa! - Batman: The Man who Laugh di Ed Brubaker (storia), Doug Mahnke (arte) [2005], [Burbank?], DC, ???
Ha uno stile visivo molto fascinoso, a mio avviso; e l’imprevedibilità di Joker è garantita! - Scintille di Alice Zanotti, Milano, Nottetempo, 2025
Mi dispiace tanto, perché il precedente libro di Zanotti, Tutti gli appuntamenti mancati era un capolavoro…
ma tutto quello che era punto a favore nel primo, è tragico “difetto” in questo secondo romanzo…
Quando Schoenberg si accorse di stare concretizzando la metafora sbagliata, in Moses und Aron, cioè quando si rese conto che stava scrivendo di un Mosè solo parlante chetrionfava contro un Aronne cantante, finendo per dire che la religione (Mosè) è priva di musica, e che la musica quindi è eretica (come Aronne e il suo vitello d’oro), smise di comporre, e lasciò l’opera incompiuta…
Zanotti usa le stesse goduriosissime idee di Tutti gli appuntamenti mancati, sicura che siano quelle idee a fare il romanzo, più del tema di fondo…
…ma il tema di fondo di Tutti gli appuntamenti mancati era la lotta al fascismo, il lutto paranoide di una Repubblica mai nata e sporcata dal lutto primigenio della violenza fascista… e tutte le idee tecniche supportavano quel tema di fondo: l’antinarratività, i Leitmotive inconsci, la ripetitività della compulsività luttuosa…
Il tema di fondo di Scintille è invece l’odioso misoneismo masochista del paesello che scompare perché, negli anni ’50, costruiscono una strada… il paesello che avrebbe tanto voluto rimanere rurale, con i bimbi felici di rimanere ignoranti come le capre, felici di morire di freddo nella neve, di farsi curare dalle macumbe delle nonne, felicissimi di non vedere nessuno se non gente che hai davanti agli occhi dalla nascita, adoranti le antropologie contadine, con l’istruzione che è l’abitudine al seminare, falciare, potare, alla vita del campo, della raccolta, della terra, degli stenti, del morire contenti di fame invece di trovare un lavoro anche a 30 km da casa, la casa avita, così bella anche se cascava a pezzi, così accogliente anche se non ti lavavi, così autentica come mai il mercimonio portato dalla strada potrà mai essere…
un romanzo che narra della felicità di lavarsi i capelli con le uova, di quanto sia affascinante voler trombare con il figlio del lattaio quando tutti te lo proibiscono, e allora te lo trombi di nascosto, forse solo nei sogni, ma mai che ti venga in mente di poter fare come ti pare, perché nel masochismo regnante non si fa come ci pare, si soffre, e meglio stare nella mota ma a casa nostra che accettare che una persona del villaggio accanto ci dica come comportarsi!
Scintille non ha trama, ha solo descrizione allegorico-poetica di persone matte da legare che preferirebbero morire piuttosto che abbandonare l’ecologico cavallo per l’inquinante automobile (con buona pace del cavallo, che nessuno si domanda se sia contento di vivere solo per soffrire, per sfamare o far spostare gli umani), e si atteggiano anche a eroi del tempo andato, che era tanto bello rispetto a oggi…
le ombre della Val di Susa arrembante contro il TAV, o i riverberi del mondo rurale friulano scomparso (con tanto di episodio che documenta quanto la Resistenza sia stata feroce sulla frontiera orientale: episodio in cui i partigiani, ovviamente, per giunta dopo il 25 aprile, uccidono ingiustamente i fasci, perché i fasci erano solo ragazzini, poverini) sono descritti dai sogni di questo testo che è una sorta di libro di poesie, che osserva le particolarità del mondo contadino, dei suoi personaggi peculiari e completamente folli, che vorrebbero innescare tenerezza per la loro caparbietà, ma che suscitano solo pena se non direttamente disgusto per la loro ignoranza e per il loro modo di vivere anti-moderno, con le loro urla di sofferenza volontaria molto egoista perché implica che tutti debbano essere come loro… una silloge poetica che avrebbe detto benissimo il suo messaggio retrogrado in 5 capitoli, e invece ne ha scritti 50: 50 capitoli di aforismi oracolari, di parolette chiave ripetute (e l’iris sotterrato, e il latte versato: immagini che si ripresentano, puntuali, in tutti i capitoli: vabbé esprimere una bolla di non tempo, ma 50 volte, ragazzi, 50 volte!), che forse suggeriscono sensi latenti e da indagare (forse è tutto un sogno? l’innamorato in realtà è morto e tutto è una visione di lutto? allude a quello il seppellimento dell’iris? boh), ma che più che altro lasciano l’amaro in bocca di vedere un’autrice, che con quella sua tecnica poetica aveva così tanto bene espresso il bisogno di antifascismo, ritirarsi nel regionalismo più becero, bifolco e violento…
ok che è tanto bella la campagna, e che certamente andrà preservata ecc. ecc., e ok il simbolo che nel ’50 gli amérecani ci hanno comprato col loro sistema capitalistico, a noi che si stava tanto bene a coltivare al podere… ma se dire questo significa dire che durante la vita contadina non esistevano vittime (quelle che esprime tanto bene perfino Pavese: la campagna non è un posto bello: è il rigurgito delle più bieche superstizioni violente: vedi la fine che fa il Valino nella Luna e i falò: perché non accennare a tali verità?), e che il nuovo va negato e combattuto, a prescindere, perché diavolesco, senza altresì accorgersi di stare dicendo una coglionata da terrapiattisti complottari che preferiscono morire piuttosto che prendere un Vivin C, allora era davvero bene fare come come Schoenberg col suo Mosè: era bene smettere di scrivere…
Ho molto rimpianto le Brutes di Dizz Tate, che in un impianto che potrebbe anche somigliare (benché Tate la trama la concepisca, non è una grafomania fine a se stessa come questa di Zanotti), con tanto di un richiamo a Golding che la critica ha tirato fuori, a mio avviso incomprensibilmente, per Zanotti, non tracima in miseoneismo né in spregevoli istanze retrograde…
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