Den Stygge Stesøsteren

Quella che da noi è The Ugly Stepsister non è un film americano né anglofono…
È un film norvegese, diretto dall’esordiente Emilie Blichfeldt, nata nel 1991…

Il packaging di trucco, parrucco e stucco internazionale (fotografia del polacco-danese Marcel Zyskind, appartenente anche alla società di cinematographers tedesca; costumi della leggenda danese Manon Rasmussen, attrice di teatro ultra 70enne poi costumista per il mio detestato von Trier; scenografie di Sabine Hviid e Klaudia Klimka-Bartczak, quasi esordienti anche loro) si vede subito essere europeo…
L’aura di sognata atmosfera Kunstmärchen non ha nulla dell’immaginario squallido e melmoso che pervade i film americani “fiabeschi” (quello propugnato dalla roba di Rupert Sanders), ma è una affascinantissima riproposizione di istanze boscose e autunnali perfettamente organizzate come un arazzo cinquecentesco, così come veniva re-interpretato nell’incisione libraria illustrativa seicentesca…
L’effetto, più che da Fratelli Grimm, comunque presenti come fonte narrativa, è molto da Perrault…
L’idea visiva sembra quella di The Favourite, ma è meno sporcata dalle pretese artistoidi di Robbie Ryan e più autenticamente incapsulata nella cultura figurativa…

Visivamente è pieno di preziosità figurative (un pochino debitrici di Fassbinder o anche di quel grande prodromo di tutto che fu The Company of Wolves di Neil Jordan), gestite davvero alla perfezione: le sequenze di sogno ibridano una realtà costruita di “crinolina sporca” davvero intrippante, e i tagli di inquadratura, sempre soffusi di luce corposa e vaporosa, ammantano di fantasia qualsiasi frame
Anche a livello di sguardo si assiste a uno show che sa cosa farti vedere: l’immaginazione della protagonista si ibrida con lo sguardo atroce sulla realtà che smentisce le sue ambizioni mentali, con shots di dettagli particolareggiati che sono la cruda immanenza traumatica del risveglio del sogno, ma vengono percepite quasi come parte del sogno, come in un dormiveglia, quando vedi ciò che hai davanti, e magari lo categorizzi e riconosci, ma sei ancora nei fumi del sonno, con gli occhi appannati, e ancora l’informazione, già precisa, è arrivata, sì, al cervello, ma ancora poco al lato veramente vigile e razionale… un sistema di visione ipnagogico al contrario: è usato come trauma del risveglio invece che come culla del sonno…

Eccellente il logos della maledizione della bellezza…
la trama è la fiaba di Cenerentola, con le solite crasi tra Perrault e Grimm ma anche con gustosi recuperi della Gatta Cenerentola di Basile, vista dal punto di vista di una sorellastra…
‘sta roba di solito mi suscita antipatie (vedi Maleficent 2), ma è tratta genialmente come strazio dell’aspettativa e come eterna disgrazia del naturale sempre preferito al volenteroso, precipitata nella tragedia estetica femminile…

Per adeguarsi all’estetica di quella che è Cenerentola (la perfettissima modella Thea Sofie Loch Næss), la povera sorellastra (la certamente carina, ma “restante ai margini”, Lea Myren) accetta di sua volontà le peggiori angherie cosmetiche e di “chirurgia plastica” (molte assai esagerate, per rintuzzare un pubblico targhettizzato nell’horror), alcune di varia valenza inconscia (vedi l’embrione del baco tenia da ingoiare per dimagrire, foriero di dolori interiori gastrici gemelli di quelli psicologici; e anche il veleno per uccidere il baco tenia, riflesso delle magie che la fata elargisce a Gatta Cenerentola in Basile, magie che suscitano il prodigio e poi magie capaci di annullarlo, doppiano il bisogno di fare e disfare, della fantasia come della crescita psichica, di certe narrazioni inconsce, spesso zeppe della metafora del cucire e del ricucire), e riesce anche a migliorarsi, a livello di aspetto, subendo le peggiori conseguenze (la tenia che la divora dall’interno, la perdita dei capelli), ma non può nulla contro la natura, contro la innata bellezza di Cenerentola, che riesce in tutte le maniere, anche magiche (la fata è traslata nel fantasma della defunta madre di Cenerentola), a eludere qualsiasi divieto e qualsiasi miseria, e a garantirsi senza sforzo quello per cui la sorellastra si è dannata per ottenere, invano…

Cenerentola, già di per sé adulta e consapevole, possiede già e continua a ottenere bene, denaro e sesso, là dove la sorellastra, evidentemente meno matura e conscia della vita, nonostante tutti i trucchi e i sotterfugi, rimarrà per sempre vittima delle sue fantasie, delusa nelle aspettative e frustrata socialmente…

Questo apologo si avvita anche alla componente politica delle due ragazze: Cenerentola nobile di nascita, un pochino rimpicciolita dal cambio dei tempi borghesi, e la sorellastra arricchita ma esclusa dalla grande ricchezza dei nobili, e quindi la sua casta è obbligata a traffici, inganni e trattative del tutto meretrici, simboleggiate alla perfezione dalla prostituzione della madre della sorellastra, sempre in grado di concedersi sessualmente ai nobili, sicura che quella sia l’unica maniera di progredire socialmente e pagare le continue bollette…
La nobiltà naturale di Cenerentola vince comunque: chi già aveva denaro continua ad averne di più, come se quel denaro fosse consustanziale al sesso e al benessere (in un connubio tra sesso e denaro e tra maturità e consapevolezza della vita che toccano solo chi ce li ha già!), che è innato, naturale, impossibile da ottenere con mezzi artificiali… perché tu sei come sei, e non come diventi…

se sei e nasci nobile lo sarai sempre, e rimarrai stupenda figa capace di farti scopare dai maschioni più fertili, anche se verrai nascosta tra le sguattere…
se invece sei e nasci poverella brutta, ingabbiata nella fantasia idilliaca dell’amore platonico con eroi sentimentali androgini (la dicotomia sessuale è manifesta: la sorellastra vede scopare una generosissima Cenerentola con lo stalliere: di Cenerentola vede le impareggiabili forme esposte e donate prepotentemente allo stalliere di cui la sorellastra vede il fallo eretto e lo sperma grondante, mentre nelle proprie fantasie la sorellastra si sogna solo e soltanto di essere semplicemente insieme al suo amato luminoso, un amato che, se visto effettivamente, al di là della fantasia, è uno che piscia e caga molto prosaicamente; nelle poesie che legge Cenerentola acciuffa al volo i doppi sensi sessuali che la sorellastra non sa neanche concepire), quella tua fantasia ti divorerà tanto più lavorerai per raggiungerla e realizzarla…

è un rovesciamento del se vuoi puoi e quasi una reazione tragica alla maledizione di non essere per nulla tutti uguali, ma tutti diversissimamente ingabbiati in privilegiati e reietti… per natura e mai per cultura, perché la natura crea una cultura (Cenerentola è bella e disposta alla vita solo perché nata ricca) che esclude tutti gli altri non graziati dalla grazia di nascita…

Nelle sequenze di addestramento al ballo del principe, vedere la sorellastra sempre presa in giro e rifiutata dalle altre è atroce, così come atroce è il vedere l’accettare della sorellastra il gioco estetico mediante le droghe e i dolori, e il suo arrovellarsi nella gelosia per la condizione, naturalmente migliore, di Cenerentola…

Nello strazio finale, in cui si riprende il motivo dei Grimm dell’inutile smembramento podalico per far entrare la scarpetta, inutile perché Cenerentola diverrà automaticamente e per natura la principessa, la madre della sorellastra (Ane Dahl Torp) non presta neanche attenzione al destino disgraziato della figlia, poiché lei ha accettato la sua sorte di meretrice borghese, e mentre la figlia rimane coi sogni in frantumi è convinta di fare la cosa giusta mettendosi in bocca il pene di un nobile, perché così è consono alla sua classe sociale borghese puttanesca: il nobile la ricompenserà con denaro: e questo è il vivere, questo è l’esistere per gente come lei, che non concepisce per nulla le ambasce della figlia, né le sue disperazioni…

alla fine, l’altra sorellastra (Flo Fagerli), la seconda figlia della matrigna di Cenerentola, ai margini della storia perché ancora piccola, una volta mestruata e quindi maturata, si sottrae alla dicotomia tra natura ricca e puttanesimo borghese, aiuta la sorellona a espellere la tenia malevola e quindi i suoi drammi interiori, e la accompagna (la sorellona è ancora priva delle dita dei piedi per la mutilazione, ultima follia di tentativo per contrastare la natura ricca favorevole a Cenerentola) verso un futuro che non vediamo…

…il tutto mentre il cadavere del padre di Cenerentola, mai seppellito per non affrontare i costi del funerale, è chiuso in una stanza del castello, del tutto mangiato dai vermi: un destino di marcescenza che, alla fine, toccherà sia ai nobili come Cenerentola sia alle puttane come la matrigna…

È un film che parla bene di tutte queste cose, che non lascia speranza (le due ragazze, fuggenti dal film, ce la faranno a vivere in un modo diverso dalla nobiltà innata e della merceologia borghese? non lo sapremo mai), e che rappresenta benissimo il dolore dell’esistenza odierna divisa tra innatismo e costruzione…

non mi trova però d’accordo nello stigmatizzare a livello inconscio la volontà della sorellastra di superare lo spregevole innatismo di Cenerentola…
il film sembra dire che quell’innatismo e quel privilegio sono ineludibili e perenni, al di là di qualsiasi allenamento o istruzione…

nel rifuggire della seconda sorellastra dal giochino estetico, magari si voleva dire che lo sbaglio è nel tentate di aderire e prendere la forma di uno stato che non è il tuo: la pecca della sorellastra è stata di volersi per forza ficcare nelle astrusità, anche fisiche, della nobiltà, lei che avrebbe dovuto accontentarsi delle proprie fantasie e cercare di vivere *senza* voler uniformarsi alla società del posto in cui vive…

un messaggio che potrebbe anche adeguarsi alla politica di non doversi prostituire come fa la matrigna…

…ma se fosse così è un messaggio che sorvola sulle problematiche effettivamente di privilegio di Cenerentola, additata come adatta alla vita, di per sé, senza sforzi, caduta dal cielo e gratificata dalla magia (anch’essa cadente dal cielo nelle fattezze del fantasma della genitrice defunta), che lascia una sorta di amaro in bocca, congruente alle idiozie, vagamente reazionarie, che si vedono oggi (quelle di Lanthimos o Fennell)…

Cenerentola rimane la bellissima, ricchissima e sessualissima ragazza, già nata ricchissima, bellissima e sessualissima, che un paio di puttane meno ricche, e pezzenti di nascita, temporaneamente, nascondono tra le stalle…

e le puttane rimangono puttane, povere in canna eternamente, nonostante tutti i lavori e gli adattamenti, anche atroci e anche ingiustificati, possibili…

la trama rovescia una fiaba idiota di arrampicamento sociale come Cenerentola rivelandola come inutile perché l’arrampicamento sociale non esiste, poiché i ricchi si accoppieranno sempre tra loro, e il lavoro per migliorarsi porta solo all’abbrutirsi, in quanto visto come malato adeguamento a una estetica patologica…

e io non comprendo perché, nel mondo odierno, raccontare una cosa simile?

in fin dei conti, la trama ribadisce il privilegio di nascita di Cenerentola, e lo sbandiera come ineluttabile…
e se, da una parte, taccia di patologia chi insegue l’estetica impossibile di Instagram e dei porno, cosa forse apprezzabile, non nega che chi è bello e ricco gode di un privilegio, di Instagram, di porno, di sesso e di denaro, che non si merita ma che ha di default senza che nessuno possa farci niente…

e che questi semidei, semplicemente belli e ricchi senza merito, perché nati belli e ricchi senza che abbiano alzato un dito per farsi belli o ricchi, è in qualche modo ineluttabile che ci siano, e vanno quindi adorati e basta…

dalla finestra di un’impostazione simile potrebbe anche rientrare un rovesciamento del bodypositive che forse si intenderebbe comunicare:
facevi male a voler assomigliare a Cenerentola, e dovevi riconoscere le tue bellezze personali…
anche se questo voleva dire, in una società dove esistono le bellissime Cenerentole, stare sola, senza nessuno, a essere presa in giro perché sei brutta…
…meglio così, reietta e scontenta, che tentare di migliorare, in una società che non accetta alcun tentativo di miglioria…

…e non lo so se la fuga delle sorelle verso qualcos’altro bilancia il saporaccio di constatazione verghiana del privilegio (i Malavoglia che periscono solo per aver provato a guadagnare più denaro)… poiché non si sa quella fuga dove effettivamente porti…

non lo so…

e in questo mio non sapere, vedo fin troppo la moraletta «eh, poverina, se lei i soldi ce li ha, è bella e scopa a mille, perché fargliene una colpa»…
…che si sposa con «accontentati della miseria in cui stai, rassegnati a stare ai margini e a una vita di masturbazione inconsapevole, sennò fai anche peggio»…

…e non credo che una moraletta simile mi piaccia (davvero chi ha i soldi, è bellissimo e si comunica bellissimo non ha colpe nella formazione patologica di emulazione dei meno fisicamente e socialmente fortunati?)…
…pur comunicata con un film di sicuro inconsueto e tutto da vedere…

Molto carine le musiche di Kaada e Vilde Tuv…

Un pensiero riguardo “Den Stygge Stesøsteren

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  1. contento ti sia piaciuto^^

    io più che alla dicotomia diretta tra sorellastre avrei dato più importanza al valore che la società concede loro: la sorellastra è costretta a cambiare perke ha da offrire solo un corpo brutto

    il film è piaciuto molto anche a me, molto probabilmente ne parlerò il primo dicembre :)

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