C’era un vecchio telefilm con Kellie Martin, Una famiglia come le altre, cioè Life goes on, ’89-’93…
83 puntate spesso basate sul primo personaggio Down mai rappresentato in una serie americana… ma, più che altro, alimentate da Kellie Martin, secchioncella carina che origina due love stories, l’ultima, con Chad Lowe, assai appesantita dal fatto che lui ha l’HIV…
il tutto nella sempiterna serenità dei telefilm secondo cui anche il patetismo più lacrimevole fa parte della sinusoide della vita, e quindi è esso stesso serenità: è mezzo per un fine: il fine di farti immergere in un qualcosa, che non è una vicenda, non è una storia, ma è una pretesa di porzione di vita, che però è organizzata e architettata… una vita che non è random o sporca di disperazione, ma è una catena di relazioni (la famosa «catena di affetti») tra attanti speciali, i personaggi, che interagiscono gli uni con gli altri per sottili pretesti, col tema, in questo caso, della sindrome di Down e dell’HIV… una sequela di relazioni che dà l’idea, grazie alla sua organizzazione, di essere una piccola vita da vedere in tv, anche se è una vita del tutto finta perché organizzata, per altro pessimamente, apposta per fartela sembrare guardabile in un mezzo quale la tv…
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Americanah ha la stessa qualità di Life goes on con Kellie Martin, e di tutti gli altri telefilm americani che si avvitano su un tema di pretesto per metterti davanti una finta vita organizzata mostrandoti solo e soltanto le relazioni che attanti speciali quanto inutili, i personaggi, hanno tra loro…
il pretesto di Americanah sarebbe il razzismo…
che è trattato con la stessa forza di come è trattato l’HIV in Life goes on…
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Non so se riuscirò a farmi capire bene nel dire che Americanah è la mattonata più noiosa e irritante, sputasentenze e petulante, che abbia mai letto dopo il liceo…
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Ifemelu decide di andare dal parrucchiere a farsi fare le treccine afro…
è nel New Jersey, in una cittadina universitaria, dove non ci sono parrucchieri afro…
sicché deve prendere il treno e fare ore di viaggio per andare in una città un po’ più grossa, a più alta densità nera…
Ifemelu è nigeriana, e sta in USA da una 15ina d’anni…
s’è stufata del razzismo americano e ha deciso di tornare in Nigeria…
cosa che comporta il lasciare il suo mezzo fidanzatino afroamericano, Blaine, e tornare con l’amore della sua infanzia nigeriana, Obinze… anche se, con Obinze, non si vedono, né effettivamente si sentono, da quando lei è in USA…
mentre è dal parrucchiere, partono una serie di lunghissimi flashback che spiegano tutta la vita di Ifemelu fino a quel momento…
La madre di Ifemelu era una fondamentalista cristiana, tutta casa e chiesa…
Il padre soffre del regime militare, uno dei tanti che si alternano in Nigeria: è spesso senza lavoro…
La cugina del padre, Aunty Uju, invece, è l’amante di uno dei colonnelli, che la copre di soldi…
a tutti sta benissimo, anche se la piccola Ifemelu una volta denuncia, proprio in chiesa, che gli amici dei genitori sono pezzi di merda dittatoriali e truffatori della povera gente… un imbarazzo pesantino…
anche perché Aunty Uju è incinta del colonnello…
il drammone è che la dittatura militare viene sbaragliata e si instaura una nuova Repubblica…
per cui non solo i soldi del colonnello svaniscono, ma ci sono anche le vendette e le ripicche, che colpiscono proprio Aunty Uju, a cui non resta, per salvarsi, di fuggire in USA…
Ifemelu rimane lì, fa le scuole, conosciamo una pletora immensa di suoi amici… e li conosciamo nei minimi dettagli…
si innamora di Obinze, che è un fissato con l’America, per lui il posto migliore del mondo…
La Repubblica nigeriana però funziona male: il lavoro si basa sul privilegio, le Università latitano e non forniscono preparazioni adeguate, e quindi, per tutti i ragazzi perbenino, come sono Obinze e Ifemelu, arriva quasi automatica l’istanza di andarsene…
la cosa, però, comporta una serie di drammi negli uffici immigrazione delle ambasciate straniere: il visto per gli USA, ovviamente, è quello più tosto da ottenere…
Ifemelu lo ottiene…
ma Obinze no…
gran tragedia: i due piccioncini devono separarsi…
e, una volta in USA, comincia il vero romanzo, che per adesso è stato solo scquacquera adolescenziale interminabile…
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in USA, Ifemelu può contare sull’ospitalità di Aunty Uju, con Dike piccolo, nato in USA…
ma Aunty Uju le fa capire che la vita in USA è una merda…
Loro, là, sono neri…
e non afroamericani, ma neri stranieri, che parlano male inglese, e che vengono additati come sbagliati in qualsiasi ambiente e in qualsiasi processo…
ottenere la Green Card è impossibile…
quindi, mentre si cerca un lavoro che permetta di ottenerla, si deve lavorare sotto mentite spoglie, spacciandosi per qualcuno che la Green Card già ce l’ha… sicuri che le autorità bianche mai riconosceranno che il nero sulla foto della Green Card è diverso dal nero che stanno controllando…
ma i lavori buoni non vengono elargiti ai neri… Aunty Uju, per esempio, è infermiera, ma la sua competenza non viene riconosciuta e ai concorsi viene sempre bocciata… in eterno…
Ifemelu, tutta perbenino e sicura di sé, pensa di farcela a campare con lavori umili ma onesti, ma no…
trova solo part-time da quattro soldi… e, ovviamente, lavori sessuali…
disperata per la mancanza di denaro accetta di fare un “lavoro sessuale”, che viene mantenuto opaco e sfocato (farsi toccare da un tale?), che la traumatizza tanto da farle abbandonare anche l’idea di Obinze…
smette di sentire Obinze, gli devia le mail e le telefonate, e lo blocca del tutto da qualsiasi interazione…
Tragedia!
per i nigeriani, la depressione non esiste, e per Ifemelu è lo stesso: non accetta il trauma e non riesce a elaborarlo…
con una serie di interventi amichevoli, di vecchi amici come lei immigrati in USA, e che rimangono anch’essi sfocati (gli interventi, non gli amici: degli amici si viene a sapere questo mondo e quell’altro con una pletora di dettagli personali), Ifemelu riesce a farsi assumere come baby sitter da una coppia di super ricconi…
intanto Aunty Uju miracolosamente vince un concorso, diventa infermiera, e Dike va a scuola…
Dike ci rimane male quando a scuola dicono ai suoi compagni: «mettetevi la crema solare»… la vorrebbe anche lui, ma gli viene detto che lui è nero e quindi non ne ha bisogno…
Ifemelu, per rimediare, gli compra la crema solare, ma Dike, a casa, ignora la crema solare…
Ifemelu riempie l’occhio di un cugino dei super ricconi, Curt…
Curt la ricopre di soldi, e le fa ottenere un lavoro da Green Card!
durante la relazione con Curt, Ifemelu si abitua, ovviamente, alla bambagia riccastra statunitense, e comincia a scrivere un blog sul razzismo americano, i cui post appestano i finali di capitolo (il riferimento è alle Home Page di Gossip Girl nei libri di Cecily von Ziegesar, ma in Gossip Girl le Home Page hanno senso e smuovono la trama, qui, invece, sono solo sproloquio) e dove conclude che, in USA, i più disgraziati sono i neri non americani…
sono più disgraziati di tutti:
degli ispanici, perché gli ispanici sono più chiari;
degli ebrei storici perché neanche la Shoah è niente rispetto a cosa devono patire i neri stranieri in USA perché lo devono subire nell’hic et nunc e non nel passato… e anche gli ebrei, quando lei scrive, in USA, sono i razzisti più razzisti del razzistaio…;
degli afroamericani che, bene o male, sono americani e quindi, nonostante stiano di merda, non stanno di merda quanto i neri stranieri…
…un blog davvero fresco…
durante la bambagia di Curt, Ifemelu sviluppa un odioso “ritorno alle origini” molto lamentoso…:
si lamenta che nelle riviste di moda non riuscirà mai a trovare pubblicizzati prodotti per lei, perché lei è nera straniera e ha quindi la pelle diversa da tutte le modelle afroamericane proposte nelle riviste;
per quest’ansia di rappresentazione si mette a seguire account social di ragazze nere straniere che propagandano i capelli naturali: la cosa è del tutto contraria alla cultura nigeriana che vede i capelli naturali come un orrore della natura e prevede mille e mille balsami e impiastricci vari da mettersi continuamente;
riflette su quanto faccia schifo l’inglese americano e decide di smettere di imitarlo, e se la cosa comporterà razzismo per il suo accento strano, lei si incazzerà ma almeno sarà se stessa;
comincia a trascurare la sua forma fisica, perché la Körperkultur è roba da bianchi coloniali (lei che tanto stava bene nella Nigeria colonizzata), e dice di essere ingrassata come una botte e di essersene accorta solo quando glielo fanno notare degli yankee maleducati: Ifemelu si incazza sia di essere ingrassata sia che gliel’abbiano fatto notare…
si mette a scrivere sul blog che le guide turistiche dovrebbero avere dei paragrafi scritti apposta per i neri, così come ci sono paragrafi scritti per i gay: una guida turistica avverte i gay di quali paesi sono a loro ostili, e quindi la stessa guida turistica dovrebbe indicare quali paesi sono ostili ai neri;
nello stesso tempo, nonostante le invocazioni a una specificità nera, quando la vede realizzata, cioè con parcellizzazioni tra neri e bianchi, Ifemelu urla alla ghettizzazione, perché neri e bianchi dovrebbero essere uguali…
intanto, purtroppo, poiché ce ne sarebbe fregato anche niente, si viene a sapere qualcosa anche su Obinze:
- non ottiene il visto USA ma ottiene quello britannico;
- deve sopportare anche lui angherie immigrative per ottenere il visto che gli permetta di lavorare;
- pulisce i cessi sotto falso nome;
- si affida a una banda di neri che gli promettono di farlo sposare con una britannica, così da ottenere la cittadinanza;
- fa amicizia con la britannica che dovrebbe sposare;
- ma la banda di neri è disonesta e lo deruba;
- la polizia lo acchiappa e lo rimpatria in Nigeria…
- là riesce a fidanzarsi con una riccona e ci fa una figlia…
Nel mezzo della bambagia di Curt, Ifemelu si convince che quella bambagia non è ciò che vuole nella vita (Curt, privilegiato bianco, spesso manco capisce tutti gli elementi che Ifemelu osserva come discriminanti)… e lascia Curt…
si mette con Blaine, professore afroamericano a Yale…
Ifemelu e Blaine vanno d’amore e d’accordo…
ma Blaine è politicizzatissimo e impegnatissimo nella campagna presidenziale di Obama, e sua sorella è un’invasata…
nel campus di Blaine, alcuni poliziotti vedono due neri confabulare, e pensano stiano spacciando: li arrestano… e invece erano due professori…
scandalo
Blaine organizza un sit-in di protesta a cui Ifemelu NON partecipa, stanca dell’ideologia di Blaine, tutta virata verso i relativamente benestanti afroamericani e indifferente ai neri stranieri, che, secondo lei, sono gli unici che soffrono e per i quali lei non sviluppa alcun pensiero politico che li faccia stare bene in America, perché loro americani non sono e non dovrebbero diventarlo per ingraziarsi il governo, dovrebbero solo poter avere la libertà di essere come vogliono essere senza leggi specifiche per loro e senza ghettizzazioni…
Ifemelu si rende conto che il mondo non è un bengodi e che la gente sta male sempre e comunque…
ed è convintissima che anche agire per fare in modo che le cose cambino è inutile, poiché la gente è razzista… e, di nuovo, quelli più disagiati da questo mondo non sono tutti gli emarginati, ma sono solo e soltanto i neri stranieri in USA… sono loro le vittime di tutto…
e Obama è una chimera: Obama è solo un afroamericano benestante, e quindi, anche se diverrà presidente, non riuscirà a scalfire ‘sta cazzo di convinzione che i neri stranieri USA sono il peggio del peggio…
Ifemelu vorrebbe un posto di bengodi in cui nessuno nota le divergenze negli altri… e pensa di ottenerlo nella sua Nigeria dove, nei suoi ricordi, nessuno notava qualcosa di differente nell’altro, in chicchessia…
per cui si allontana da Blaine, decide di riscrivere a Obinze e di andare dal parrucchiere a farsi di nuovo le treccine nigeriane, in barba a tutti gli account social americani…
e dal parrucchiere, che è quello dell’inizio, i flashback finiscono…
…e dal parrucchiere, Ifemelu viene a sapere che Dike ha tentato di suicidarsi…
e da qui parte una coda…
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Ovviamente Ifemelu, benché perbenino come ti pare, non capisce una mazza della depressione, ancora incarcerata nella mentalità nigeriana che le malattie mentali non esistono…
e quindi non comprende cosa possa essere avvenuto a Dike…
e quindi decide di lasciarlo da solo con la mamma…
e va avanti nel suo proposito di tornare in Nigeria…
È quasi scontato che Ifemelu è convinta di tornare nel bengodi di quando era piccola, nella nostalgia più raccapricciante che possa esistere…
ma lì trova la Nigeria divisa in organizzazioni etniche, con la popolazione Igbo (stanziale soprattutto nella Nigeria di sud-est, ma minoranza in tutto il paese) fortemente discriminata… e non per il colore della pelle…
e non è per niente accolta a braccia aperte dai suoi amici d’infanzia, perché nei 15 anni di permanenza in USA lei è ormai Americanah… non è nigeriana… è una sorta di straniera…
difatti sputa sentenze a man bassa, con la sicumera che hanno appunto gli americanih quando parlano dell’Africa:
- sente gli amici dire che il suicidio di Dike è derivato da un modo di pensare straniero: ai ragazzi perbene nigeriani mai verrebbe in mente di togliersi la vita; perché, per i nigeriani, la depressione e le malattie mentali non esistono… cosa che ha sempre pensato la stessa Ifemelu, che però è offesa di sentirlo dire dagli altri… e grazie al cazzo!
- nelle amiche di un tempo vede l’unica aspirazione a sposarsi con un riccone, magari del governo, cioè lo stesso identico comportamento di Aunty Uju anni prima…
Ifemelu le rimprovera, dall’alto della sua saggezza derivata dai 15 anni in USA, che la Nigeria non può essere rimasta a 15 anni prima, e che l’emancipazione femminile dovrebbe essere più garantita, e nessuno la garantisce se non le ragazze stesse che dovrebbero rifiutarsi di vivere come sotto i colonnelli!
Giustamente le viene risposto per le rime: che cacchio ha fatto Ifemelu per ottenere la Green Card USA? Non ha forse scopacchiato con Curt, riccone americano??? In quel caso, nella civica America femminista, le cose non hanno funzionato esattamente come nell’arretrata Nigeria??? - le gerarchie tra le città non solo più le stesse: i quartieri di Lagos che conosceva non sono più quelli cool dove pensava di andare a stare…
- Dike la va a trovare in Nigeria, e lei spererebbe che lui rimanesse lì, lontano dai razzismi yankee, ma Dike sa bene che in Nigeria starebbe ugualmente di mmerda, perché parla diversamente dagli altri e non comprende appieno la vita di un paese ancora colonizzato da USA ed Europa: sarebbe straniero come rimarrà nero straniero in USA…
La coda del ritorno in Nigeria serve anche per un ripensamento delle cose passate: dalla Nigeria, Ifemelu sente di nuovo sia Blaine sia il riccone Curt…
E, naturalmente, la coda del romanzo deve alimentare la cazzo di love story con Obinze…
dopo il chiarimento sulla violenza subita (parte del ripensamento nigeriano che riguarda tutti), si spendono centinaia di pagine per farci vedere Ifemelu e Obinze tornare a scopacchiare, per rappresentarci i sensi di colpa di lui verso la moglie e la figlia, per farci sentire le lagne e i sacrosanti ricatti morali della moglie di lui, e poi uscirsene con Obinze che lascia la moglie… ma mica per andare con Ifemelu eh! Non sia mai!
Lascia la moglie perché non la ama più… e non va a vivere con Ifemelu… sta in una casa sua e, ogni tanto, va a trombicchiere con Ifemelu…
come non potersi dire «They live happily even after!»
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Ogni elemento di questo scheletro di vicenda che ho riassunto è realizzato da una quantità di pagine che quasi mai è inferiore alle 200 unità per volta…
200 pagine per descriverci nei minimi dettagli i ricconi per cui lavora Ifemelu…
200 pagine per descrivere i bambini ricconi a cui Ifemelu fa da babysitter…
200 pagine per descriverci Curt e le sue follie da benestante statunitense…
200 pagine per descriverci la megalomania della sorella di Blaine…
200 pagine per dirci cosa Obinze pensa dell’America…
200 pagine per descriverci i mille e mille amici e parenti, nei minimi dettagli…
200 pagine per sviscerare cosa Ifemelu pensa, nella sue contraddizioni supponenti e adolescenziali…
perché l’esperienza deve essere immersiva…
ogni capitolo è una lunghissima puntata di telefilm Made in USA in cui, come da tradizione, contano le relazioni tra gli attanti, non quello che succede…
…difatti, in un singolo episodio/capitolo, o non succede niente, e si sproloquia di dettagli insignificanti solo per determinare che a quel personaggio secondario piacciono i cornflakes a colazione, o succede troppo…
e gli snodi che meriterebbero approfondimento, cioè la violenza subita, la depressione di Dike, le sentenze secondo cui i neri stranieri in America soffrono più di tutti, vengono lasciati là…
…nella certezza di essere il piatto forte di un libro-telefilm di 1000 e passa pagine in cui, invece, quel piatto forte è nebulizzato nei dettagli senza senso, nelle relazioni che quel piatto forte non lo corroborano né lo dimostrano, ma lo rimpiccioliscono, lo rattrappiscono, lo sbrindellano…
l’anti-razzismo è così enorme in questo romanzo da passare tragicamente nello scontato…
e le reazioni della protagonista, tutte egoriferite e tutte pressate dalla irritante voglia di osservare gli altri inutili personaggi nei loro dettagli personali pleonastici a cui a nessuno frega un cazzo, sono tutt’altro che adatte a farci interiorizzare la sua sofferenza…
è un romanzo di razzismo in cui il razzismo scompare, compresso dalle scopate adolescenziali e dalle sentenze bloggose di una post-adolescente sicura di aver sempre ragione che conclude la sua parabola nel peggiore dei sistemi paradossalmente americanisti…
come My Big Fat Green Wedding si conclude con i genitori di lei, merde razziste e nazionaliste, per tutto il film presi in giro come i peggiori del mondo, che vengono riabilitati dal fatto che «vanno sopportati perché alla fine ti comprano la casa», cioè «ti comprano»…
…ugualmente Ifemelu, tornata in Nigeria, dice che non voleva che un suo potenziale figlio si comportasse come un americano, sdegnoso verso l’autorità, non perbenino e mai consapevole di essere sottoposto a degli anziani: lei voleva un bimbo ubbidiente e perbenino come lei, che si palesa essere rimasta tribale nonostante le rimostranze infantili… e quando diceva questo ai suoi amici americani, loro la tacciavano di conservatorismo… chissà perché?
Ifemelu si stupisce: è conservatore voler stare sotto a un’autorità specifica, basta che quella autorità faccia fare a te cosa ti pare?
è conservatore non sentirsi straniero e additare come stranieri tutti gli altri (lei che rimprovera alle amiche nigeriane quello che ha fatto lei stessa)?
è conservatore sbattersene della sofferenza degli altri, nella convinzione che il più disgraziato sei tu (come Ifemelu pensa dei neri stranieri americani)?
è conservatore additare le contraddizioni senza volerci davvero fare niente?
è conservatore cambiare idea in continuazione e pretendere che la tua incoerenza debba essere seguita dagli altri senza discussione (da Blaine, da Curt, dalla stessa Aunty Uju), come se lo stato dovesse seguire i cazzi tuoi invece dei cazzi di tutti, perché te ti ritieni la più disgraziata di tutti in quanto schifi la sofferenza degli altri?
è conservatore localizzare la tua felicità chiotta a casa, dove sei nata e cresciuta, a considerare il modo in cui sei cresciuto, anche se del tutto atroce (con tanto di ignoranza completa delle malattie mentali), come il migliore possibile?
è conservatore desiderare che tutto lo stato sia a tua immagine e somiglianza?
bah… forse sì…
e allora l’atteggiarti a progressista perché parli del razzismo subìto cos’è se non una maschera di liberalismo che usi per nascondere la tua mente retrograda?
perché li fai vedere bene i soprusi che hai dovuto subire, ok…
ma non vedi che quei soprusi sono i figli del colonialismo ancora fattuale che imprigiona proprio quel modo di crescere dove sei nata, che tu alla fine idolatri…
e che voler essere come nella tua immaginata nostalgia è esattamente l’atteggiamento, prevaricante, esclusivista, escludente, e discriminante, che tu additi negli altri…
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Per capirsi…
Americanah vorrebbe fare come Goodbye, Lenin, e dire che il mondo ideale sarebbe una DDR mai esistita, comunista ma aperta a tutto il mondo… una DDR mai esistita ma che, anche solo sognata, ispira un mondo migliore…
cioè vorrebbe un mondo libero dai pregiudizi del colore della pelle…
…invece finisce per dire che rimanere in una Nigeria colonizzata, nonostante tutto, è meglio che lottare per un mondo migliore, perché il mondo razzista non si migliora, perché io, e solo io, ne sono vittima, convinta di questo dal mio terribile egosintonismo che, nella mia ignoranza delle malattie mentali ereditata in patria, non ho mai trattato… e quel mio egosintonismo mi rende cieca a tutte le istanze idealistiche possibili, e mi fa preferire, perfino, l’essere retrograda invece che ammettere che qualcun altro soffre oltre a me!
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Americanah sono quasi 800 pagine di telefilmetto di 500 puntate che ti dice di essere sul razzismo, ma invece è sul conservatorismo di una famiglia tradizionale, convinta che le spinte progressiste non portino a nulla e che la tribalità è da preferirla autentica (nella Nigeria coloniale afflitta dai continui cambi di dittatura) invece che imbellettata come in America (dove c’è una democrazia finta che in ogni caso se ne frega degli stranieri)… e a oltrepassare la tribalità non ci si pensa nemmeno, perché è la tribalità che perpetua quella cultura patria che si sente di adorare nonostante tutto… se non è destra questa, allora cosa è?
800 pagine, per di più, piene di filler che non fanno altro che ispessire la noia…
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pur affetto dalla stessa ansia di filler, e ricco di tutto tranne che di sintesi, Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo (2019) è un libro che parla, bene o male, delle stesse cose, riferite soprattutto all’Inghilterra ma con diversi argomenti anche americani, con una coerenza incomparabilmente maggiore, senza reticenze sulle violenze (altro che il timido trauma di Ifemelu: le violenze che racconta Evaristo, anche con espedienti paragrafematici, ti graffiano da quanto sono affilate), e con una ottica alta, che inquadra passato, presente e futuro, che Americanah si sogna durante le notti sbronze…
Per certi versi, Americanah è il contrario destrorso, tutto chiuso nell’egosintonismo escludente, dell’apertura per ciascuno, e aperta a tutti i ciascuni possibili, di Ragazza, donna, altro…
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Esiste una traduzione italiana, di Andrea Sirotti, condotta per Einaudi (SuperCoralli) nel 2014… un anno dopo la prima pubblicazione della newyorkese Knopf… (nel 2015 è arrivato il tascabile SuperET)…
Sirotti non può nulla contro lo slang inglese nigeriano e contro i malintesi tra i madrelingua americani e gli inglesi nigeriani, oggetto anche di numerose dissertazioni nelle miliardate di pagine inutili…
solo a volte trova corrispettivi italiani per i malintesi, ma il più delle volte lascia in inglese e fa una nota, cosa che rende il suo lavoro corretto ma assai didascalico…
Io ho letto l’impressione digitale britannica di 4th Estate, una branca di HarperCollins, del 2025, con una introduzione dell’autrice riflettente sulla morte di George Floyd (avvenuta il 25 maggio 2020) e del conseguente movimento Black Life Matters: un’introduzione non datata che Einaudi ha incluso nelle ristampe SuperET almeno dal 2024…
Grande recensione, come sempre. La settimana scorsa o due, non ricordo più, è stata ospite a Bruxelles per una intervista a teatro. Non ho partecipato, né avevo voglia di andarci, anche perchè non la conoscevo. Alcune conoscenti ci sono andate e mi hanno riferito di una serata da stadio (non sto esagerando), con tanto di tifo, standing ovation e urla di acclamazione ad ogni sua frase mirabolante. A volte mi chiedo, anche dopo aver letto questa recensione… saro’ io ad essere “sbagliato” nel ritenere tutto cosi’ eccessivo? Dalla tua recensione mi sembra una Durastanti (de La Straniera) molto più logorroica. Le conclusioni sono quasi le stesse. Il progresso in fondo in fondo è cattivo. Il paesello anche se cattivo, in fondo in fondo è buono. Nulla deve cambiare, perchè quando ritorno, voglio che tutto mi riporti alla mia infanzia… che si era una merda, ma era la mia.
È sembrato esattamente così a me!
Ma vedo tanta gioia nei confronti di questi racconti personalistici, lunghi esagerati, e densi di dettagli che non so chi possano interessare… c’è un sacco di gente che gode a mille nel vedere le serie TV di 7000 stagioni, dense di particolari…
e il tema del razzismo, per tanti, basta e avanza per fare contente tante persone, poiché, in effetti, il rendiconto di cosa può subire un nero in USA sarebbe effettivamente interessante…
ma è il solito discorso sul femminicidio: dopo tutto questo tempo, ribadire “eh ma le donne devono denunciare” è abbastanza? Non sarebbe meglio comunicare qualcosa anche al maschio e al sistema maschilista? E chi, maschio, denuncia violenze da parte delle donne, è davvero un menomato che non merita ascolto?
Per tanti sì…
e per tanti, quindi, basta un librone di 1000 pagine che rendiconta i soprusi verso i neri, che, in modo sacrosanto ti fa sentire in colpa…
…e se non lascia nulla alla riflessione se non “risentimento” gratuito (così come il “dovevi denunciare” riferito esclusivamente alle donne, sul femminicidio lascia solo lo status quo) chi se ne…
già la denuncia varrà qualcosa…
per me no, ma forse per tanti sì…
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e magari per me non vale perché io non vedo al di là del mio privilegio di maschio bianco…
ma forse è questo il problema: se certe denunce non fanno riflettere me che sono la causa del male, allora cosa denunciano a fare…?
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ma forse esulo e deliro…
Credo ci sarebbe un discorso molto lungo e profondo da poter “scrivere” sulla condizioni dei neri, negli USA oggi. Una situazione molto complessa, sfaccettata, che cambia molto da zona a zona, spesso tra stati contigui, nelle metropoli, nelle zone rurali, nel Far West (in Idaho e Utah per esempio, praticamente non ci sono neri.. qualcosa vorrà dire). Io credo ci sia un grande vuoto giornalistico, documentaristico e “letterario”. Come accade oggi purtroppo, un po’ ovunque, ci si deve rifare allo slogan urlato, e alla polarizzazione, che agisce sulla pancia, e che al massimo suscita rancore, senso di colpa o risentimenti. Sui privilegi del maschio bianco, esulando dal discorso femminicidi, su cui ci vorrebbe un “post ad hoc”, anche qui, ci sono molte sfaccettature, pero’ si preferisce fare sempre di tutta l’erba un fascio per i motivi di cui sopra (c’è una lettura di “sinistra”, quindi per definizione “non complottara” che inizia a dire, che l’ultima fase temporale del capitalismo ci vuole “monadi” e “ognuno per se” e tendenzialmente contro il prossimo, perchè questa è l’ultima frontiera per fare in modo che “il capitalismo” prosperi in occidente… siccome questa asserzione deriva da sociologi ed universitari di sinistra, pur non individuando i nomi e cognomi delle entità capitalistiche, come fanno i complottari più naif di destra e coloro che combattono i complottari per default quando vogliono smontare le loro fantasiose teorie, sta a poco a poco passando nel dibattito pubblico senza essere bollata come stronzata… un po’ lo e un po’ no). Faccio un esempio pratico: Qualche giorno fa, è stato qui in visita in Belgio il PDR italiano. E’ stato ricevuto con ogni onore, come giusto che sia dai suoi omologhi locali. Ogni anno, in autunno, se non il PDR, altri politici italiani di rango inferiore, vengono in “pellegrinaggio” in Belgio. Ogni anno si recano, dopo le visite istituzionali, a rendere omaggio ai caduti di Marcinelle. I caduti di Marcinelle erano tutti bianchi, uomini, non ci metterei la mano sul fuoco che fossero tutti etero, e morirono tutti come topi, sepolti dal carbone, dove erano stati mandati da altri uomini bianchi, italiani e non, per spalare minerale, a costi irrisori e dove venivano stipati peggio che le bestie nelle navi cargo. Non vedo in loro e nelle loro storie, una posizione di gran privilegio in quegli anni. Qualcuno obietterà che erano tanti anni fa. Va bene, ora non ci sono più le miniere qui, ve ne sono altrove, scavate da non bianchi, non uomini, non maggiorenni e non etero ed è un problema altrettanto grave… ma cio’ nonostante, se si legge tutto attraverso la lente di un modello, per quanto semplificato, molte cose non rientrano nella equazione su cui si fonda quel modello (gli esempi potrebbero essere numerosi, ed anche attuali, anche solo restando al Belgio.. magari di uno ne scrivero’ nei prossimi giorni). Pero’ tanto più il modello oggi è esemplificato, tanto più permette di leggere la storia e il quotidiano con facilità, polarizzazione emotiva e poca capacità di incidere per cambiare effettivamente le storture, tantissime, che ci sono e che spesso vengono da lontano. Mi sono sicuramente incartato. Un caro saluto.
Leggerò questo commento ogni volta che mi sentirò circondato da quella falsa amica che è la semplicità!
E il romanzo che addito come “alternativa” ad Americanah, il “Ragazza, donna, altro” di Bernardine Evaristo parla esattamente come il tuo commento: illumina molto proprio per dire “la luce acceca: troviamo insieme, ognuno, le proprie lenti anti-sole” senza scadere nel “siccome il sole acceca, torniamo a vivere nelle grotte con le torce”
e, aggiungo, amaramente, che nessuno si sogna mai denunciare che il sistema di Marcinelle è in essere ancora oggi… e ne siamo tutti vittime, morali, psicologiche o fisiche… e finché noi altri, in quest’area geografica, saremo così fortunati da esserne solo vittime morali e psicologiche (ferite ritenute ancora meno gravi di quelle fisiche) nessuno lo denuncerà mai…
Ovviamente mi sono segnato il romanzo della Evaristo. Sai che la stima è reciproca e i tuoi consigli o pareri li tengo sempre in considerazione.
Bella recensione
Grazie infinite!
che poi quelle guide esistono, ma si chiamano green book e non erano buone per molti motivi lol