The Life of Chuck

Il cinema è pieno di queste sbroscette qui…
quelle «eh, ma il film è tutto un sogno del bimbetto in coma»
o «il film è tutto il sogno di quello schiacciato dal camion che sta a morì»
o «il film è tutto il romanzo che Peppino stava scrivendo»
o «il film è tutto il diorama che ha costruito Alfredo»
o «il film è tutto il videogioco a cui sta giocando Tommasiello»

e così via…

a memoria, su questa falsariga, io mi ricordo le cacchiatelle di Mark Forster (Stay, ’05), di Steven Knight (quell’imbecillata di Serenity,’19), di David Frankel (quella sminchiatona che fu Collateral Beauty, ’16), e compagnia smorta…

…forse l’archetipo di tutti è stato l’Ubik di Philip Dick (’69)… o che ne so…

e anche Stephen King ne ha fatte parecchie di queste cosette…

e da un po’ Mike Flanagan è il regista di King…

che dire?

è un film lungo, sì, ok, magari anche confezionato benino, ma dalle immagini un pochino pulitine, e dall’andamento che non si può non definire noiosetto, che ci ribadisce quanto si debba essere gentili e carini, perché la vita è un attimo, che muori in un secondo e mezzo, che la tua esistenza non serve a una minchia, e nonostante tutto sei tu a poterla e doverla plasmare nei buoni sentimenti poiché, non si sa perché, ne varrà la pena, anche se schianterai male come tutti, sia che tu sia stato carino o una merda…

un film di moralette, che scorre maluccio, che potrà scaldare i cuori dei tanti benintenzionati convinti, come King e Flanagan, che il sorrisino allo sconosciuto, che la gentilezza diffusa, che il non mandarsi a cagare reciprocamente, possa davvero rendere il mondo un posto migliore nonostante lo strazio climatico, la morte randomica e la perdita degli affetti…

bah… se sono contenti loro a credere questo… beati loro!

il colpo di scena c’è, ok, ed è anche portato avanti non male…
ma è uno di quei colpi di scena un po’ finti: perché il colpo di scena dovrebbe non solo sorprenderti ma anche farti ripensare a tutta la storia in un modo diverso, diverso in maniera scioccante…
…invece qui il colpo di scena c’è ma te ne frega OVA, come si dice in Toscana, e cioè un accidenti di niente…

e finire come i film di Shyamalan, quelli presi in giro in The 15:17 to Paris, secondo cui se hai una fistola ulceratica dolorosissima e vomiti merda non devi bestemmiare, ma devi al contrario lodare la vita che è sempre meglio di nulla anche con la fistola, beh, è un lampo…
…e quindi, invece che a essere gentili, il film porta alla risata involontaria… molto spesso…

peccato, perché certe tensioni “inutili” di Flanagan, inutili perché la trama le rende tali, erano degne di ben altri soggetti: la prima sezione con Chiwetel Ejiofor, per esempio, aveva una sorta di angoscia che si sarebbe potuta dire coinvolgente, e aveva una forza ecologista e apocalittica che avrebbe fatto una figura migliore in un’altra diegesi…
…invece risulta davvero inutile perché è in un film benintenzionato per gente perbenino che ha un colpo di scena di cui non frega un cacchio a nessuno… perciò la tensione della prima parte c’è solo per dire di essere carini l’uno con l’altro per nessun motivo che sia uno…
tensione buttata via…

una stronzatella da ora di religione, da catechismo piacione, che, almeno, non ha la pretesa etica e da Sindrome di Stoccolma di quella diarrea di Here di Zemeckis
…e magari a natale, chiotti sotto le coperte, col vedere il nonno di Mark Hamill, la nonna ballerina di Mia Sara, la comparsata di Heather Langenkamp, e col parlare di buoni sentimenti prima del panettone, questo Life of Chuck potrà avere un senso nelle case dei timorati di dio, senza scadere troppo nel ridicolo (di Shyamalan) e nel bieco (di Zemeckis)…
…benché, di per sé, ‘sto Life of Chuck sia solo, dicevo, catechismo noiosetto, che sembra duri anche più di quello che dura per via della divisione in capitoli e della frammentazione del discorso in tanti rivoli sconclusionati, tenuti insieme dallo sputo e dalla carta velina del debolissimo colpo di scena finale…

la gente che ritorna, come in Femme Fatale di De Palma (’02) o Made in Heaven di Alan Rudolph (’87), è quasi comica…

6 pensieri riguardo “The Life of Chuck

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  1. Here è uno dei tanti film che non hanno avuto il coraggio del lieto fine. Definisco così quei film che potevano benissimo finire bene come male, e sono finiti o così così o male solo perché chi li ha sceneggiati aveva paura che un lieto fine al 100% risultasse stucchevole (o almeno questa è la mia interpretazione).

    1. A me il finale di “Here” è apparso fin troppo lieto…
      io facevo il tifo o per il Tirannosauro, o per i soldati della Confederazione: volevo uscissero dai loro riquadretti da pop-up fastidiosissimi e massacrassero tutti, Hanks, Bettany, Wright e gli inventori della poltrona… un massacro para-temporale che sarebbe stato, per me, assai più interessante

  2. Gli hai dato 10! X–D

    Mi sembra che l’unica cosa positiva che si possa dire di questo film è che faccia lavorare (il nonno di) Mark Hammill, che se lo merita! :–)

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