«Il Vij» di Nikoláj Gógol’

È datato 1835, quando esce nella raccolta Mírgorod (una sorta di seguito alle due parti delle Veglie alla fattoria presso Dikan’ka, uscite nel 1831 e 1832), ma pare che Gógol’ lo abbia poi un po’ rivisto nel 1842, tagliando le dettagliate descrizioni dei mostri nell’ultima parte…
Abbiamo un po’ trovato il Vij tra i vampirelli che abbiamo visto in Christabel

Durante un preciso periodo di vacanza degli studenti universitari e seminariali di Kiev, quando squattrinati studenti, impossibilitati a viaggiare per tornare alle loro città di provenienza durante la chiusura delle lezioni, fanno goliardici pellegrinaggi verso le fattorie intorno a Kiev in cerca di ospitalità, 3 personaggi vengono sorpresi dal buio prima di arrivare a una fattoria fidata…

si accontentano della prima stamberga che trovano e là, uno di loro, Chomà Brut, viene aggredito da una strega…
…riesce a liberarsi dalla sua presa e ce la fa a malmenarla fino, secondo lui, a ucciderla…

ma la strega si rivela essere, nella sua vita diurna, la stupenda figlia di un centurione cosacco… sul letto di morte, la fanciulla fa giurare al padre di far recitare le veglie per il suo funerale al pio Chomà Brut…

Il centurione cosacco obbliga quindi Chomà a vegliare tre notti sul cadavere della figlia, ma, ogni notte, la figlia esce dalla sua tomba rivelando la sua natura di strega dispettosa e di vampira, che non solo tenta di mordere Chomà ma evoca anche una pletora di mostri infernali per aggredirlo!…

dopo la prima notte, Chomà viene a sapere delle maledizioni e dei fattacci perpetrati dalla morta mentre era in vita: succhiava il sangue, faceva malocchi, uccideva a caso: la classica strega che «fa il male per il gusto di farlo»…

Chomà non può fuggire dalla situazione, perché il centurione cosacco uccide chi non gli obbedisce (e il centurione non capisce le paure: si tratta solo di 3 notti e poi Chomà non solo potrà andarsene libero, ma verrà pure ricompensato!), per cui, quando i mostri gli si presentano, traccia un cerchio intorno a sé e si mette a pregare gli scongiuri esorcistici imparati in seminario, che pare impediscano ai fantasmi, evocati dallo zombie della strega, di penetrare il cerchio…

ma l’ultima notte, lo zombie della strega evoca il Vij in persona, il mostro dei mostri, la cui imponente bruttezza fa crepare di paura il povero Chomà, lasciando al racconto una morale secondo cui muori di paura solo se ti fai prendere dalla paura, mentre se hai fiducia nei tuoi gesti apotropaici e resisti ai timori, forse, invece, la fai franca, tieni duro e sopravvivi…

…serve solo coraggio

…o la consapevolezza interiore che i mostri non esistono!

Gógol’ non ha quasi mai il senso della misura e produce testi spesso ridondanti e ricchi di inutilità, ma la sua dimensione fantastica, molto simile a quella di E.T.A. Hoffmann, è spesso animata da un tono divertente, sempre dalla parte di chi trema di paura di fronte al sovrannaturale rurale dell’Ucraina (e tanti supposti fondamenti folklorici che dice di rispettare, nelle sue note a piè di pagina e nelle sue farlocche prefazioni, non esistono affatto, e Gógol’ si è felicemente inventato tutte le tradizioni a cui dice di attenersi!) o di Pietroburgo, partecipando alla piccolezza dell’essere umano di fronte al numinoso del possibile, anche psicanalitico, che crea personaggi e situazioni molto spesso pregni di una comicità delle piccole cose assai gustosa e sincera…

la valenza psichica è sì pressoché sempre presente ma spicca soprattutto nei racconti cittadini, mentre nelle rurali Veglie e in Mírgorod è rintracciabile molto al di sotto del sano spavento per i fatti al di là dell’umano, agiti da effettivi e consapevoli diavoli e diavoletti di campagna, che si trovano gli umani tra i piedi o come intralci da eliminare o evitare o come giocattoli con cui malignamente, perfidamente, o anche inconsapevolmente, giocare…

è un’umanità agricola alle prese con gremlin e fantasmini, che sì spaventano, o magari anche uccidono, ma, molte volte, suscitano reazioni terrorizzate che finiscono per essere ridicole se raccontate!

Vij è di quelli che finirebbe male, ma conserva una certa ridancianeria nel rendicontare i primi spaventi di Chomà e i suoi continui tentativi di fuga dalla situazione, sempre sventati dalle guardie del centurione cosacco…
si legge rapidamente anche se Gógol’, come tutti i grafomani ottocenteschi, tiene molto di più all’atmosfera che alla trama, e si spende e spande sul bizzarro delle abitudini, sul pittoresco delle usanze di campagna, sul particolare di singoli e minuscoli personaggi secondari, aumentando assai il numero delle pagine…

Tra le traduzioni di tutto Mírgorod, quando non direttamente di tutti i racconti di Gógol’ (però starò attendo ad escludere quelle dei soli Racconti di Pietroburgo, che richiederebbero una lista a parte), mi risultano esserci:

  1. Federigo Verdinois, Lanciano, Carabba, 1923
  2. Alfredo Polledro, Torino, Slavia, 1927
  3. Nicola Festa, Milano, Mondadori, 1932
  4. Enrichetta Carafa d’Andria, Torino, UTET, 1937
  5. Eridano Bazzarelli, Milano, Mursia, 1946?-’65
    con vari tagli e rifacimenti, le traduzioni di Bazzarelli passano quasi tutte a Rizzoli, almeno dagli anni ’80…
  6. Leone Pacini Savoj, Roma, Casini, almeno 1953
    senz’altro, questa traduzione è passata da Sansoni (almeno 1963), e, per alcuni racconti, da DeAgostini (almeno dall”82) e Mondadori (almeno per i Racconti di Pietroburgo, per lo meno dall”89), per poi arrivare in Newton Compton (quando? dal ’94 per alcuni racconti, poi, almeno dal 2008, per tutti quanti), che ancora la ristampa…
    Pacini Savoj conserva molti accenti che ci aiutano nella pronuncia e va dietro a Gógol’ in tutte le perifrasi più arzigogolate in tutte le maniere leali o sleali: ricorre spesso ai toscanismi o addirittura ai fiorentinismi per rendere i vari accenti russo-ucraini, e certe sovrapposizioni di frasi (quelle ripetizioni che in russo fanno funzione pronomiale) le risolve rendendo il periodo assai farraginoso… si sente, non solo dai dialettismi ma anche dal lessico, che la traduzione è anziana… ma il suo porco lavoro lo fa… e nel contesto rurale, certe brutalità e nonsense non stonano, e Pacini Savoj, con tutti i suoi espedienti poco “scientifici”, riesce a restituisce la goliardia di Gógol’…
  7. Giacinta De Dominicis Jorio, Roma, Paoline, dal 1962
    alcune sue traduzioni passano anche a Mondadori
  8. Silvio Bisio, Firenze, La nuova Italia, 1970
  9. Natalia Bavastro, Milano, Garzanti, 1974
  10. Michele Vranianin, Palermo, Sellerio, 1981
    è uno dei primi a presentare solo il Vij senza altri racconti di contorno…
  11. Luigi Vittorio Nadai, Milano, Garzanti, 1992
    non presenta alcun accento ma è condotta con criteri scientifici che si apprezzano: ha molte note e tanto lessico intraducibile lasciato in russo: appiana tutti gli ammennicoli pronomiali russi con perifrasi chiarificatrici ma non stonate, né rispulizzenti il testo, ma solo più agevoli alla lettura rispetto a Pacini Savoj, senza rinunciare a un’anticchia del divertimento…
  12. Serena Prina, Milano, Mondadori, 1994-’96
    è il Meridiano contenente traduzioni anche di altri…
  13. Kollektiv Ulyanov, Milano, ABEditore, 2021
    presenta solo il Vij

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