«Něco z Alenky» [Alice] di Jan Švankmajer, 1988

Qualcosa su Alice [in cèco suona qualcosa come «niétso z alénky»], primo lungometraggio del grandissimo artista di cortometraggi animati molto osteggiato in Cecoslovacchia, parte di un duo con la moglie Eva, prende alcune famose scene dal romanzo di Lewis Carroll e le interpreta in maniera macabra, quasi alla Bosch (con tanti mostrini che Jan Baltrušaitis trova nell’arte medievale, rinascimentale e anti-rinascimentale, e che chiama col termine «grilli»: quegli esseri con le gambe attaccate al collo o quelle entità costituite dalla crasi sovrimpressa di oggetti molto presenti non solo in Bosch ma anche in gente come Brueghel o van der Weyden)…

gli animali sono scheletrini, e veri oggetti, di legno e stoffa (i «grilli»), recitano, muovendosi con una prodigiosa sinergia tra stop motion, montaggio, sonoro (quasi tutti i movimenti sono espressi e supportati da un tripudio di rumori!) e mascherini (a sintetizzare le animazioni anche Bedřich Glaser), ed enfatizzando le già ampie componenti violente del romanzo (sembra una sorta di immaginario alla Sendak [che, un paio di anni prima, lavorava, con Henry Selick nello staff, al suo Nutcracker con Kent Stowell e Carroll Ballard e che, in un certo modo, dà il prompt alla storia di Švankmajer dalle parti di Outside Over There, uscito nel 1981] in salsa più macabra), i personaggi di Carroll, con un’ottica più diroccata e rovinosa, molto più zeppa di sfacelo e di pericoli (spesso legati, tra le altre cose, al cibo, con puntine da disegno nella marmellata e con i chiodi che crescono dal pane) e con smisurato spazio ai tagli psicanalitici, anche di reiterazione compulsiva (i pomelli dei cassetti che si staccano, forse echi di inadeguatezza, sono innumerevoli!)

Come in Time Bandits di Gilliam (’81: Gilliam è un grande ammiratore di Švankmajer) e in Labyrinth di Henson (’86), tutto l’immaginario della bambina è nella sua testa e nella sua camera già dall’inizio… e la bambina è anche narratrice di tutto quanto (legge i dialoghi del romanzo con la sua bocca, che agisce quasi da didascalia, con tanto di «disse il Coniglio Bianco» ecc.): è come se lei ci presentasse la sua testa (anche con serie implicazioni meta-rappresentative, con alcune scenografie di cartoncino, proprio come quelle di un teatrino)…

…ma, alla Cappotto di Gogol’, alla fine è lei stessa ad attendere il Coniglio Bianco che ha inseguito per tutto il film, ed è lei (non la Regina di Cuori) a lamentarsi del ritardo del Coniglio, sempre così ritardatario da farle pensare di meritarsi la decapitazione!

uno switch attanziale che comprende la violenza del film, dove tutti quanti hanno cercato di fare del male alla bambolosa bambina (tirandole soprattutto oggetti, sassi, piatti e chi più ne ha), segno che la violenza è lei stessa (cosa strettamente espressa nella prima scena, in cui getta i sassi nel fiume), visto che il film è la sua mente [una comprensione molto profonda delle ansie orali della Alice di Carroll, romanzo in cui il divorare è centrale]…

Capolavoro di costruzione animata, Něco z Alenky è anche un grande testo di psicoanalisi!

Affascinantissimo vederlo in cèco, con il Coniglio Bianco che è il Bílý Králík (con la a di kralik molto lunga) e Alice è Alénka…

3 pensieri riguardo “«Něco z Alenky» [Alice] di Jan Švankmajer, 1988

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  1. L’ho visto quando andavo all’università: già Alice nel Paese delle Meraviglie è uno dei miei libri preferiti, e questo film è straordinario, diversissimo da qualsiasi altra cosa avessi visto prima. Però proprio i rumori di cui parli a un certo punto avevano iniziato a darmi fastidio.

    L’animazione in stop-motion dell’Est nasconde un sacco di sorprese, l’immaginario è piuttosto cupo (influenza del periodo sovietico?) ma sono davvero affascinanti!

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