Diamanti

Invecchio talmente male che, dopo La dea fortuna, riesco a sopportare e perfino, a tratti, ad apprezzare un film di Ozpetek…

…un film che è la solita sbobba di Ozpetek, prevedibile, manierato, uguale a se stesso e, stavolta, perfino gigione, autocelebrativo, pomposo e autoincensante (i siparietti metapoietici del «vaginodromo» non servono a un cacchio e, meno che mai, l’ultima scena che, palesando l’autobiografismo, sconfina in un insopportabile narcisismo: Ozpetek si monta da solo i primi piani)

…i soliti lutti indicibili, le solite storielline didascaliche, le solite emozioni caricate a mille…

però, stranamente, non c’è lamentina…
non c’è lagna…
non c’è sentimento lacrimoforo…

l’intento metacinematografico, così malsano se palese, preso sotto sotto, con la sartoria cinematografica e teatrale come protagonista, rende molte cose esagitate del tutto coerenti, perché, in fin dei conti, parte del cinema e del teatro della vita e del lavoro…

…e in questo modo i soliti lutti, le solite péne, e le solite scene strappalacrime finiscono perfino per essere sinceramente commosse proprio perché sono cinema
…Trinca e Ranieri che si abbracciano, senza guardarsi, finendo fuori dal frame per lasciare a fuoco il murales della figlia indicibilmente morta, rendono alla perfezione il cinema che si ferma (la macchina da presa non insegue Trinca e Ranieri) proprio dopo aver indicato il lutto: cioè, il cinema non si fa lutto, ma lo enuncia per poi lasciare che il lutto vero, al di là del frame, fluisca…

e così la storiellina da sussidiario di Marchioni: non vediamo quel che succede, ma rimane fuori dal cinema perché lo si vuole realtà: il cinema, ancora, ha occhieggiato il problema e l’ha rendicontato ma non ha la spocchia di risolverlo né la pretesa di contenerlo o neanche di rappresentarlo: quello c’è da farlo noi, con la nostra immaginazione… e con la nostra azione e reazione all’occhiata del cinema…
dalla fiction ispirante si arriva all’action di chi vive (il finale di Idí i smotrí)…

…in una trama in cui conta tantissimo quello che si sa già ma che non si può dire per contingenze, per incidenti, per sensibilità diverse, ma che determina lo stesso le nostre azioni, che non possono dire l’incidibile, ma posso ugualmente amministrare quell’indicibile (Ranieri che, senza smascherare che la spilletta è finta, paga lo stesso gli studi del figlio di Anna Ferzetti, che è Ozpetek stesso: affronta, consapevole, l’indicibile senza spiattellarlo)

…e in una vicenda in cui non si perde la trebisonda etica (Giovinazzo è caricata dalla polizia negli anni ’70 [la tv in bianco e nero palesa che siamo prima del 1977]: gli anni di piombo li ha vissuti da protagonista e dalla parte giusta, mica come Dalla Porta in Parthenope), presentando un’azienda d’eccellenza che ama il proprio lavoro senza pistolotti capitalistici né smaronate produttive (un capitalismo da economia precedente al neo-liberismo che ispira anche il Dark Shadows di Burton)…

è iperbolico, scherzoso, sovradimensionato, prevedibile come la mmerda (certe battute e certe situazioni sono telefonate come una pizza ordinata a pranzo), ma ha l’accortezza di non prendersi sul serio e di non buttarla in caciara (pur nell’insopportabile narcisismo del regista), e ha la modestia di usare il suo lusso produttivo per indicare sentimenti e storie, e non per fare l’arrizzacazzi di nessuno o per crogiolarsi nell’abulia…

ok, i sentimenti che mostra sono da vecchi, da poltrona dei piccolo-borghesi, da feuilleton, ma almeno è un feuilleton che riesce a dipingere abbastanza bene gli animi senza glorificare il nulla del reality sessualizzato alla Temptation Island

certo, sì, si autocelebra…
e difatti non si sta parlando di un capolavoro né di un film “bello”…
ma è anche vero che da capolavoro non si comporta, anche se si autocelebra…
è un film per lo meno sincero che diverte chi vuole divertire e non è specchietto per le allodole per gli esegeti falliti…

Sofia Ricci è inutile, ma Signoris e Smutniak che si prendono in giro sono adorabili!

la sottotrama di Nicole Grimaudo è quella che forse c’entra meno… ma sono gusti: c’è talmente troppa carne al fuoco che ognuno può affezionarsi a chi gli pare…

Accorsi è manierato

Molto melodica la musica di Giuliano Taviani e Carmelo Travia…

la canzone di Giorgia è obrida

8 pensieri riguardo “Diamanti

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  1. A me è piaciuto davvero molto. Concordo sul fatto che il finale sia un po’ troppo lungo e autocelebrativo, ma nel complesso ho amato il “vaginodromo” e mi sono divertita molto guardando il film, ho trovato interpretazioni ottime e a volte inaspettate (una bravissima Mara Venier ad esempio), una lettera d’amore sia al cinema, sia alle donne in generale, sia alle donne che quel cinema lo rendono possibile. E anche una lettere d’amore di Ozpetek a sè stesso, ti dò ragione, ma tanti registi della vecchia guardia purtroppo oggi tendono a farlo, solo che in questo caso mi sono goduta il risultato.

  2. Cacchio “…un film che è la solita sbobba di Ozpetek, prevedibile, manierato, uguale a se stesso” pensavo che fosse sembrato così da sempre solo a me!

  3. Io di Ozpetek ne ho visto uno (Le fate ignoranti) e me lo sono fatto bastare. E non mi stai facendo cambiare idea con una recensione così! :–D

  4. l’ho visto al cinema con mamma; bello ma non mi ha entusiasmato

    per me la storia finke è corale, infatti l’unica storia singola bella per me è quella del marito violento perke vedi il gruppo di donne chiudersi a riccio per proteggere l’amica

    bellissimi costumi, attrici simpatiche, belli i modelli all’inizio, ma non mi è piaciuta per niente la sceneggiatura: altalenante e con le scene drammatiche che peccano di costruzione

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