Fuori

Boh…

Quando si conosce, anche minimamente, il personaggio, i film sulla sua vita risultano tutti delle mezze cacchiatelle (recenti sono stati Maestro, A Complete Unknown e Maria)…

e oggi la povera Goliarda Sapienza, tanto disprezzata in vita, è in agenda, con la solita ironia tranciante dell’esistenza: finché campi non ti caga nessuno ma appena muori diventi leggenda (per i cinefili rimane anche l’esempio del povero Bela Lugosi, tra i tanti: morto povero in canna e bistrattato da Hollywood ma poi l’attore che lo interpreta nel biopic vince l’Oscar: davvero uno strazio di contrappasso)

L’arte della gioia nessuno lo voleva…
però poi fa successo la fiction proprio di Valeria Golino, la cui seconda parte faceva vomitare…
e Sapienza è in agenda proprio per quella fiction e non per il romanzo, una fiction che edulcorava la politica del romanzo e buttava tutto in una caciara erotomane per nulla conforme all’acido pansessualismo del romanzo…
…e come per Janáček, con la Jenůfa che fa il botto in una riscrittura non sua (e tutti vollero opere conformi alla riscrittura non sua invece che al suo stile: e per Janáček fu un problema), Sapienza fa successo con un’edulcorazione che finisce in agenda, con tanto di spirale del silenzio susseguente: chi parla della Sapienza del romanzo non viene compreso, e chi lo ascolta cade dal pero come negli anni 2010s cadeva dal pero chiunque dicesse che tra la Alice di Carroll e il Cappellaio Matto non c’era alcuna tensione amorosa, quella tensione amorosa che però era in agenda per via del film di Burton…
la Sapienza del romanzo, come il rapporto in Carroll tra Alice e Mad Hatter, essendo fuori dall’agenda, scivola nella spirale del silenzio: chi ne parla è un sofisticato coglione fuori dal mondo che nessuno capisce e che, spesso, si dà perfino delle arie perché dice di conoscere cose che nessuno conosce… uno che era meglio, appunto, se stava in silenzio…
…e altrettanto odiosi sono quelli che, titillati dalla curiosità, scoprono la Sapienza del romanzo dopo la musica, acchiappando da sinossi online qua e là proprio per mettere in agenda quello che era finito nella spirale del silenzio e fare la figura del Mister Bel Colpo che ha «scoperto l’arcano» e ha «smentito l’agenda» con gli articoli click bait tipo Sveliamo la vera storia: quella storia che tutti sapevano prima che un’agenda la tranciasse…

Martone tenta di ovviare a tutto questo, parlando sì dell’inferno editoriale dell’Arte della gioia ma costruendo una storia che quasi prende a pretesto Goliarda Sapienza per parlare di un qualcosa che non si sa cosa sia…

Il film è un collana di perle non lineare di episodietti tra Golino, De Angelis ed Elodie…
dalla perla che nella fabula sarebbe la perla 5, conchiusa e perfino conclusiva, si passa alla perla che in fabula sarebbe 2, poi arriva la 6, la 4, la 3, la 1, la 2, ecc. ecc.: tutte potrebbero essere episodi fatti e finiti di una serie che ha una leggerissima idea di coesione, molto fatua…

Un intreccio che vorrebbe essere suggestivo ma alla fine stanca perché appare del tutto gratuito: non si capisce perché raccontare quella storia in quella maniera…

tra fabula e intreccio pare non esserci alcuna parentela

Anche a livello di sguardo, Martone fa l’eclettico, alla Greta Gerwig prima maniera: Golino è ripresa una sola volta con un long take di danza, e poi tutti stacchi di piani fissi, tra cui si distinguono quelli da servizio fotografico, iperposati, delle attrici superglamour, e quelli più action a imitazione della presa diretta; in mezzo ci sono anche onirismi fatti e messi lì (la doccia in profumeria: evidentemente una citazione che non colgo) e un grosso lavoro di fotografia artistico-pittorica di stills, puro sfoggio di bravura di Paolo Carnera, bello quanto inutile e un po’ vanesio…

tra i contro di questo modo di fare c’è anche il fatto che tante perle sono fatte di stancanti sintagmi a graffa con il blues progressive di Robert Wyatt: il massimo dell’art pour l’art

Nell’idea di trama, Sapienza fa la figura del pesce fuor d’acqua, ricca e intellettuale, in mezzo alle false sdrucite di Rebibbia, De Angelis ed Elodie: è tutta interessata a scriverne, e per farlo accetta le loro intimità, ma non può fare a meno di rimanere molto distante da loro per età e mentalità…

e vedere una Sapienza che in qualche modo è succube e quasi si fa manovrare dal personaggio di De Angelis (che nell’Arte della gioia è un misto tra Joyce e Nina) suona strano…
davvero Sapienza era un’attonita e passiva imbecille come la racconta Martone?

ci sta eh…

Fare discorsi sul cast e proprio sul casting è, altresì, difficile…

anni fa, parlando della Giornata particolare di Scola mi dissero che vedere Mastroianni nel ruolo di un omosessuale era, per tanti, ancora uno shock…
ma per me non lo è mai stato, perché io non ho vissuto in diretta gli anni dei film di Mastroianni, quelli in cui è l’emblema del latin lover
e senza quello shock io apprezzo lo stesso, se non di più, la sua prova attoriale: senza ipotesti

oggi, Martone ha fatto fare Sapienza a Valeria Golino perché in agenda c’era la sua fiction…
tra qualche anno quel link tra Golino e Sapienza si vedrà come si vede, ghiottone e furbone, oggi?
non lo so…

oggi si sa chi è Elodie, e quindi passi sopra al fatto che il suo personaggio non abbia alcuna utilità nella trama: ma tra un po’?
chi vedrà questo film come reagirà alle scene con lei?
riuscirà ad apprezzare un’interpretazione senza ipotesto, oppure si chiederà «ma chi cacchio è questa?»

ancora non so rispondere…

così come non so rispondere al senza schema di questo film…

alla fine viene fuori che Sapienza non ha fatto nulla: si è messa in mano a De Angelis perché affascinata da De Angelis, perché innamorata di De Angelis, o dello stile di vita di De Angelis, il solito angelo ipersonico che fa tenerezza perché si sdrucisce e si ammazza di droga (per chi ha l’età mia il topos va sempre all’immagine iconica di Heather Graham in Drugstore Cowboy, che De Angelis eredita rovesciandola in maledettismo e in colori scuri): la si ama o si ama il wild side che rappresenta, così in contrasto col suo faccino da puttino così carino e grazioso? [un concetto che mi ricorda Le ragazze di Emma Cline]

va a finire che De Angelis, pur drogata, invece che eslege compiaciuta e sincera, è buona come il pane, wild side solo di facciata, e lavorava per smascherare i soprusi carcerari documentati dalle lettere che lei raccoglie illegalmente…

e che consegna a Sapienza…

è De Angelis che fa tutto, e Sapienza è lì a guardare e perfino a guardarci incredula, a noi pubblico, con sguardo in macchina…

ma il film è su Sapienza…

con i flashback che riguardano Sapienza, col marito di Sapienza (Corrado Fortuna) in scene di riempitivo…

a questo punto perché?

non lo so…

fatto sta che Golino sembra la scelta perfetta, anche per adesione vocale, ma quella parte da remissiva passiva le sta male, e fa una figura pessima, immobile e stentorea: tutto per far risaltare ancora di più una De Angelis varia, variata e variabile, veramente da premio, che stritola di magnetismo e avvenenza, ma che quindi quasi straborda…

come terza gamba c’è una Elodie che fa Elodie e che in chi la conosce suscita anche «guarda che carina, fa lei stessa», ma in chi non la conosce farà lo stesso effetto?
boh…
forse eh…

e forse è la parola del film:
un film di tanti frammenti che forse non si ricompongono, che acciuffa, forse, l’idea dell’attrazione che l’illegalità e il borderline, del carcere come della dipendenza o della supposta povertà (tanto dichiarata nei dialoghi da tutte le protagoniste quanto sempre elusa), del sesso omoerotico, dell’affetto incestuoso (tutta roba che c’è, ma a livello simbolico, nell’Arte della gioia), suscita in certe personalità deluse dal jet set borghese e riccastro (come, nel film, appare Sapienza negli anni ’70-’80)…

…ma la acciuffa forse

più che fuori, è un forse

perché il twist che De Angelis ha uno scopo, di denuncia del sistema, rende il fascino per lei non più il fascino dell’eslege, ma quello della bontà riconosciuta anche nella melma: un tema che Martone getta là un po’ a caso… e rende Sapienza un’imbecille che ha scritto di roba che poi manco c’era, perché nell’attrazione per il carcerario ha solo trovato la denuncia che ha fatto e che s’è trovata a raccogliere come caduta dall’alto…
e l’eslege, in questo assunto, da emblema di ribellione si smaschera perfino come braccio di un bene sistemico di quel sistema che si voleva proprio annullare invece che migliorare…

Ed è un twist che, come la fiction, propone all’agenda una Sapienza sistemica e non ribelle… e perfino apolitica, lei che era marxista (e in tutti i flashback mai che si veda l’attivismo comunista o si informi sui genitori di Sapienza, ma si vede solo la Sapienza svogliata riccona: è quasi una vergogna)

quindi, di nuovo: forse funziona a livello di somatizzazione del borderline all’interno dello schematico

o forse no…

sicura è però la noia che la struttura a scenette conchiuse e che gli odiosi sintagmi a graffa sperduti provocano in uno spettatore schizzinoso come me

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