Non faccio in tempo a riinnamorarmi di Noémie Merlant in Lee che lei, grazie a Officine Ubu che lo distribuisce in Italia anche in francese, mi butta addosso questo capolavoro inusitabile che finirà dritto dritto nei Testi contro la violenza di genere…
Scritto con Céline Sciamma, quella che l’aveva svezzata nella Jeune fille en feu, Les femmes au balcon ci regala una espressività della macchina da presa così sincera e avviluppante da raggiungere i fasti di Kalatozov (Soy Cuba e Letjat žuravli)…
La fotografia è di Evgenia Alexandrova, ed è imperlata di voli fiammeggianti in mezzo a portoni, terrazzi, tende, vetri e specchi: non sta mai ferma nei suoi ronzanti long takes: e non solo segue lo sguardo (come è ovvio), ma impersona sospiri, sballottamenti ubriachi, paure, sogni, disorientamenti morali…
Tutto è nella mente (o forse nel romanzo) delle protagoniste, strepitose bambinacce marsigliesi (oltre a Merlant anche Souheila Yacoub e Sanda Codreanu, quest’ultima un po’ la vera lead) che si trovano implicate in un fattaccio, che risolvono da sole finendo per evidenziare e trattare tutti i casi di sopruso dell’uomo sulla donna, dissertandoli a livello metafisico, umorale e “ormonale”, oltre che a livello sociale e diegetico…
Les femmes au balcon diventa una riflessione alticcia, da vino veritas, quasi da «mal di mare», sul tema del CONSENSO, del senso di colpa, dell’accondiscendenza ai voleri degli altri, spruzzata tutta di una grandiosa panna di metanarrazione, con tutti i punti giusti sistemati al massimo (dalla pioggia purificatrice agli snodi lì lì apparentemente allungati o pacchiani che poi trovano la quadra), con in cima la ciliegina della consapevolezza della ripresa, adiacente e incarnante tutti gli elementi possibili per non diventare una tediosa oggettiva ma sempre rimanendo una possibile e goduriosa soggettiva di tutto il possibile (vedi anche Arrival e Fury Road): una visione che è la mente e la vita simboleggiata in una macchina da presa, non una narratrice: magico e ispirante!
L’utopia della fratellanza femminile, senza nessun uomo intorno, dimostra quanto il mondo sia plasmato dai maschi proprio perché sono loro che non bastano a loro stessi, perché hanno bisogno di un altro su cui rigurgitare la loro volontà di potenza, che è eterna prevaricazione inconfessata (psichicamente negata, nel denial dei 5 stages of grief), sempre inconscia e latente, anche davanti alla loro stessa morte…
…mentre le donne starebbero tranquillamente da sole, sicure di esprimersi come vogliono, senza l’obbligo di alimentare alcuna insicurezza narcisistica…
il tutto impacchettato con una dose molto greve di umorismo, che non fa male, e di una concezione musicale interna (la musica composita tra swing e street music è di Uèle Lamore) che fa brillare ogni cosa…
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Molti hanno visto Almodóvar come antigrafo, cosa non peregrina per quel che riguarda la gestione cromatica, ma la teoria dell’eterna soggettiva, sì diegetica ma mai narrataria, è tutta di Merlant!
Forse, certo saffismo può far venire in mente Big Little Lies di Kelley, Vallée, Witherspoon, Kidman ecc…
E l’inizio fa proprio pensare alla Street Scene di Kurt Weill (nelle Musiche ispirate alla luna)
Adoro la Sciamma, è una scrittrice favolosa e molto intelligente e sono affascinato da questo film e dalle sue tematiche. Grazie mille per il consiglio!