«Le ragazze» di Emma Cline

Ho forse fatto l’errore di iniziare dal secondo di Emma Cline, cioè L’ospite

Anche con Giulia Caminito lessi prima il secondo (L’acqua del lago ecc. ecc.) e poi il primo (Un giorno verrà), e il primo era meglio

Anche Le ragazze, rispetto a L’ospite, è meglio

e l’accenno a Caminito e all’Acqua del lago (del 2021) non è peregrino, poiché si avverte che Le ragazze (2016) è stato una sorta di archetipo per Caminito…

ma Cline è più interessante…

anche perché la traduzione di Martina Testa, per Einaudi (perfettamente coeva all’edizione originale della newyokese Random House), è davvero eccellente, tranne un breve «piantala» doppiaggese volante…

Nell’estate del 1969, a Petaluma, una cittadinella nei pressi di San Francisco, ma con l’intera California sullo sfondo (Los Angeles è un punto di riferimento costante), la 14enne Evie Boyd, nipote riccona di una vecchia diva della TV californiana, con diverse connessioni con Hollywood, nel momento di passaggio tra l’infanzia di bambagia e la pubertà, si trova a provare sentimenti affettivi per una capresca, sporca e rattrappita ragazza più grande (così repellente da nascondere, ovviamente, una ricchezza familiare rifiutata per maledettismo), Suzanne, che la attira verso un gruppo alternativo di fricchettoni (Roos, Helen, Donna ecc.), abitante in quella che sembra una comune hippie, in un ranch “raggiungibile” ma a indeterminata distanza da Petaluma: una comune “capitanata” dall’ugualmente capresco, patetico e violento, ma carismaticissimo Russell, che nel ranch fa il bello e il cattivo tempo in maniera spietata e umorale, ma con un subliminale sistema di bastone e carota tale per cui le ragazze (nel ranch c’è solo un altro uomo, Guy, in tutto e per tutto succube di Russell) pendono completamente dalle sue labbra, in modi che definire morbosi è poco…

Russell, aspirante cantautore, ha attirato l’attenzione di un rispettato musicista, Mitch, che ha promesso di far incidere a Russell un disco… è implicito che Mitch dà retta a Russell solo perché Russell gli fa scopare le sue ragazze

ma poi Mitch non fa incidere a Russell un beato accidente, perché la musica di Russell è orribile…

e allora la comunità si vendica

Mentre ha a che fare con tutto questo, Evie contempla la sua crescita, tra divorzio dei genitori, imminente collegio alla fine dell’estate, nuovi compagni odiosi dei genitori, vecchie amiche rimaste nella bambagia puberale, rapportando la sua vecchia vita con quella del ranch, che è una vita per nulla facile, fatta di sesso non voluto ma ansioso di essere fatto (vedi anche How to have sex), sporcizia, soprusi sottili ma feroci, ma insieme una vita attizzante di decisioni da prendere in prima persona invece che da sentirsi imporre da altri, e, soprattutto, di continuo corteggiamento con Suzanne, che, da vera prima e autentica rampolla di Russell (le altre finiscono per essere mero contorno), usa e tritura Evie con le armi del sentimentalismo malsano, con attrazione e ripulsa messi al punto giusto, con la spasmodica ricerca di attenzione e di sistematica fuga dell’oggetto amato, tra Petrarca e Johnny Cash, in cui l’ormonicissima Evie casca con tutte le scarpe…

Tutto questo è narrato da una Evie del 2016 che, 60enne, rimembra tutto quanto perché in un’estate fannullona, nell’abitazione marittima di un amico in villeggiatura che le ha chiesto di badare alla casa in sua assenza, si trova a dover convivere col figlio dell’amico, Julian, e con la di lui innamorata fradicia fidanzatina, Sasha, di passaggio non attesi a casa dell’ignaro padre nell’estate ubriaca tra High School e College: il rapporto tra i due ragazzi, con Sasha sedicente indipendente ma al contrario completamente succube di Julian, che osa perfino regalarla ai suoi spacciatori di passaggio, funziona nella mente di Evie come motivo di riflessione sul mondo per nulla cambiato, per le ragazze, in 50 anni…

e motivo di riflessione sul perché certi rapporti malsani si originino e continuino nel tempo, e quanto questi rapporti condizionino l’esistenza per sempre, innescando un senso di malessere=male che potrebbe continuamente rovesciarsi su altri, lì per caso, che non ci incastrano niente…

…perché la vendetta di Russell verso Mitch, operata dalle ragazze, non è stata simbolica, né incruenta…
…e Evie partecipò a quella vendetta, sfogando sullo sconosciuto Mitch il suo odio alimentato dal malessere per amore di Suzanne più che per devozione a Russell, o no?

La comunità di Russell è ovviamente e dichiaratamente ispirata alla Manson Family (ma Cline è più “generosa” e fornisce a Russell un vero e proprio movente), quando ancora Tarantino non ci aveva messo lo zampino: e in Cline vediamo già le ragazze alla Margaret Qualley e Dakota Fanning, con i piedi scalzi, la sporcizia imperante, ma l’attraente aria sbarazzina… e vediamo già un Guy ispirato al Tex di Austin Butler…
…probabilmente Cline è stata fonte anche di Tarantino… e, forse, leggerla dopo Tarantino abbassa un pochino l’aria di freschezza di Cline…

ma Le ragazze merita lo stesso una sfogliata, perché Cline, alla soglia della 30ina, scrive bene un romanzo sui sentimenti dell’età adolescenziale e non sulla fascinazione del male

non fa il peana del maledettismo, né riflette su quanto esso sia urgente a una certa età anagrafica fatta di conflitti, né svolge la disperata constatazione che il male è imperante e dappertutto, anche nei più semplici agglomerati sociali (come Golding o Nicola Lagioia), ma esprime bene cosa si prova a quell’età, quanto l’incontrollabile ormone parta incondizionato, senza discernimento, senza il tempo di elaborare pensieri o filosofie, e senza costruzioni al di là dei minuscoli e semplici noi stessi

la semplice fascinazione per Suzanne ha determinato la vicinanza di Evie alla setta di Russell, fascinazione che ha ingigantito le scontentezze per le vecchie amicizie, le idiosincrasie per i genitori assenti, per un neighborhood e un intero Erlebnis mai voluti, né compresi, né sopportati… e ha edulcorato le sevizie e le atroci scomodità della convivenza con la setta…

il male, o la malposta coolness del male, è una cosa che Evie non ha visto, poiché tutte le sue percezioni erano preda del combinato disposto dell’infatuazione («when your heart’s on fire you must realize smoke gets in your eyes») e della ribellione verso un passato subito e non voluto…

L’amore di Evie per Suzanne implica quasi che sia Suzanne l’agente, il motore immobile della vicenda e non l’io-narrante di Evie…

e Suzanne stava usando Evie, eppure (e oppure) la coccolava come un simbolo di sé alternativo, una possibilità da tenere accesa nel tormento delle probabilità: è Suzanne a salvare Evie forse per proiettare e trasferire su di lei una possibile sua vita (di Suzanne) lontana dal maledettismo, dall’omicidio, o dalla mefitica influenza di Russell… un transfert che Evie non riuscirà a comprendere se pietoso, amorevole e protettivo verso di lei, oppure completamente e di nuovo egoistico, con Evie fuori dal tormento delle conseguenze delle azioni concepite del tutto utilitaristicamente da Suzanne…

Evie subisce sia l’attrazione sia l’uso sia l’abbandono di Suzanne, e rimane sola, scottata dall’esperienza e schiacciata da quella vita potenziale che Suzanne le ha rigurgitato addosso, senza aver espresso l’odio adolescenziale in violenza, senza la coolness del male, e solo con una vita anonima, precipua degli sfruttati e degli abbandonati, fatta di banalità, incapace di dare valore alla propria esperienza vissuta (nonostante la comprensione, Sasha non dà credito ai consigli di Evie, e si lascia sfruttare pure lei), e intrisa di paranoia e di paura per via della galera sfiorata e dell’attenzione da freak che ha subito nei postumi degli omicidi che solo per un soffio non ha perpetrato…

Il racconto dei sentimenti di Cline è del tutto manchevole quando cerca di essere connesso con l’inquadratura storico-sociologica (è evidente che Cline non ha vissuto negli anni ’60, che ricostruisce con approssimazione: e questo non vuol dire che si «debba scrivere solo le cose che abbiamo vissuto» ma solo sottolineare che un pizzico di ricerca in più avrebbe giovato), ma per fortuna l’affresco d’epoca non è lo scopo del romanzo: è solo sfondo per una eccezionale espressione delle emozioni di una incipiente adulta, ancora dallo sguardo di ragazzina (ritrovato anche a posteriori, con implicazioni narratologiche non così semplici: e The Shards potrebbe aver tenuto presente gli espedienti di Cline, anche se Easton Ellis complica tutto con l’autobiografismo), sull’amore, la prossemica corporea, il sesso, la responsabilità, l’importanza dell’esperienza e della non esperienza, il senso di abbandono tragico, fabbricato con parole giuste, sorprendente concretezza di linguaggio (anche le metafore sono funzionali alla comprensione e mai estri letterari), chiarezza e insieme suggestione per l’impalpabile essenza di quell’età e di quei sentimenti che descrive, che, come in Kodocha, fuggono via, ingannandoci, per colpa delle nostre paturnie, sempre attente a qualcos’altro (l’oggetto dell’amore) invece che al necessario, sempre sporcate dai nostri desideri, dalle nostre voglie, dalle nostre proiezioni, invece che da quel che c’è…

Forse My Summer of Love di Paweł Pawlikowski (2004) potrebbe rendere bene l’ansia delle Ragazze, ma Cline, nonostante i gangli psicanalitici fulminei e inafferrabili che descrive, non è un libro da passa e va, in cui non ci si rende conto degli inganni, come è il film di Pawlikowski…

Cline, con la sua Evie, ci ragiona sulle cose, afferrando l’essenza della mancanza di tempo per capire i fatti con stupefacenti e minuscoli aforismi, per nulla gratuiti, che in un attimo, quasi come un’aggettivazione di Zola (che incrinava di molto la pretesa naturalista che il «romanzo si scrivesse da solo»), riflettendo la narrataria 60enne (con alle spalle una narratrice 30enne altrettanto disillusa) che si sovrappone allo sguardo 14enne, fotografano l’attimo che si perde, e filosofeggiano su quell’attimo che si perde, con una sicurezza e un’esattezza molto acchiappanti e al di là del tempo…

L’ansia d’adolescenza e l’aforisma psicanalitico, stilettante come una frusta, che descrive e insieme specula filosoficamente su quell’ansia, fanno vivere perfettamente quell’ansia a noi lettori, senza immedesimazioni assurde (come quelle, esagerate, di Yanagihara o Postorino), senza sacralizzazione del banale del tutti i giorni di chi non ha combinato un cazzo nella vita che se la racconta come se avesse fatto tanto (vedi Raimo, Auster o Carofiglio), e senza l’elegia di un regionalismo indeterminato e inutile (vedi Ardone, Murgia o Di Pietrantonio), ma con una slurpante distanza critica (quella del narratario 60enne aforistico), che universalizza il particolarismo fine a se stesso della semplice constatazione, e rende quell’adolescenza, e quell’abbandono, l’adolescenza e l’abbandono di tutti, non solo dei californiani…

e questa capacità di riflessione, esulante qualsiasi esperienza vera (e da lì i perdonabilissimi inciampi sulla poca cura sociologica degli anni ’60) ma ricca di goduriosa osservazione sui meccanismi dell’emotività umana degna di una grande narratrice (quell’universalismo e quella distanza che L’acqua del lago non riuscì ad avere), rendono la lettura delle Ragazze interessante, precisa e nutriente (in Italia, un’operazione simile, l’ho vista fare solo a Beatrice Salvioni e Alice Zanotti)…

Io ho pianto, e insieme compreso, con distanza degna di ottima catarsi omeopatica, la frustrazione dell’amore mancato («i biglietti senza ritorno dati sempre alle persone sbagliate»), e il giramento di palle paranoico del tormento dell’abbandono…

e la tangente metafora, davvero alla Easton Ellis, che quelle cure possano essere metaforizzate e agite dall’omicidio simbolico con cui fare i conti, come rischio di autodistruzione e di distruzione dell’esistenza insufficiente per le nostre stesse mancanze che non riusciamo a vedere intontiti come siamo dagli ormoni e dalle loro false realtà, mi ha arricchito e purificato, come una vera catarsi dovrebbe fare!

2 pensieri riguardo “«Le ragazze» di Emma Cline

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  1. Ho letto questo romanzo ormai diversi anni fa, quindi non ne ho un ricordo molto accurato… interessante, sì, ma non mi ha invogliato a tornare sull’autrice nelle sue nuove uscite.

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