Tutti quanti abbiamo visto i film di vampiri senza granché conoscere la gran mole di letteratura che ci sta dietro…
da Bela Lugosi negli anni ’30 a Christopher Lee negli anni ’50, fino a Frank Langella (’78), Gary Oldman (’92), Brad Pitt & Tom Cruise (’94), e quindi a David Boreanaz & James Marsters (’97), tutti quanti hanno interpretato una figura di vampiro (con faccia buona o faccia cattiva, o con faccia mutaforma) che la letteratura aveva ampiamente sperimentato…
Una letteratura che, stranamente, al contrario dei lupi mannari (fantasticamente rappresentati da Petronio nel Satyricon [nei “capitoli” 61 e 62]), a parte qualche accenno (vedi le anime della Nekyia dell’Odissea che vogliono bere il sangue onde ravvivarsi per rispondere alle domande di Ulisse), non deriva da esempi antichi, classici (almeno a livello occidentale: in Oriente, soprattutto in India, il discorso è diverso), ma si origina alle soglie della contemporaneità (che per il nostro sistema tradizionale “inizia” nel 1789)…
benché l’aura di antichità, o meglio tarda antichità, soprattutto mediterranea e totalmente immaginata, serpeggerà per sempre nei vampiri letterari…
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I repertori (anche il meritorio Mammut della Newton con le Storie di Vampiri a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, 2009, da cui traggo molto; oppure le pubblicazioni vampiresche della Tacet Books: pessime edizioni tratte da volumi passati al Public Domain che però hanno il merito di riproporre testi un pochino dimenticati) registrano casi giudiziari di presunto vampirismo nei secoli 16esimo, 17esimo e 18esimo come sorgente dell’archetipo del vampiro…
soprattutto i casi di Joseph Pitton de Tournefort a Mykonos nel 1701, e un caso in Serbia, negli anni 1730s e 1740s, suscitarono scalpore, creando suggestione nella Generazione romantica (al caso serbo si ispira anche Fred Vargas in Un luogo incerto) e rimanendo per molto tempo nell’orizzonte geografico del vampirismo letterario…
ma nonostante tutto questo la letteratura vampiresca è sfuggente per un altro po’…
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apprendo da Wikipedia l’esistenza di Der Vampir di Heinrich August Ossenfelder, del 1748, dove un vampiro avverte una certa Christine che i suoi morsi sono assai migliori delle bontà degli insegnamenti di sua mamma…
Ossenfelder è molto preciso, in effetti, sul mordere e succhiare il sangue, e affronta da subito, di petto, la questione della religiosità insita nel vampiro: già il nome della vittima, Christine, richiama un cristo che il vampiro assedia e minaccia…
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ma già nella Lenore di Gottfried August Bürger, del 1773-’74, il tema di “succhiare il sangue” ecc. è un po’ mischiato col semplice “tornare dal regno dei morti”, e le connotazioni sono metaforiche, col “vampiro” che è la morte stessa…
siamo lontani dal conte che ti viene a mordere apposta…
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Spunti più esatti non solo sul succhiare il sangue ma anche di succhiarlo a molte persone, è Die Braut von Corinth di Goethe, del 1797, certamente suggestionato dal caso di Mykonos di un secolo prima…
la sposa del titolo è una non meglio descritta morta vivente che, non è così chiaro, era stata promessa in sposa a un ateniese ai tempi della Grecia tardo-antica, e quando quell’ateniese va a Corinto per sposarla la trova assai amorosa e sembra passarci una bellissima notte d’amore, ma la mattina dopo la madre della sposa sorprende i promessi e la sposa dice di essere già morta, addirittura forse ammazzata dalla madre (!?), e che è tornata dalla tomba per succhiare il sangue a tutti quanti!
In questo laconico racconto, Goethe ci tiene però a farci sapere che l’ateniese è rimasto pagano mentre la sposa è già cristiana. Goethe, quindi, avverte bene l’essenza di un vampiro connaturato al cristianesimo, come se un vampiro potesse esistere solo nell’ambito cristiano: un vampiro quasi inconscio latente di un cristianesimo ipocrita, che rinnega i suoi istinti (brutali di vampirismo) inutilmente, poiché quegli istinti tornano a galla nella figura del succhiasangue che dalle tombe consacrate ritorna ad ammonire della sciagura della sua ostracizzazione…
oppure un vampiro psicanalitico che affiora nei meandri di un’educazione cristiana, basata sul senso di colpa da rattrappire e reprimere, come violento Es inconscio…
tali interpretazioni sono un po’ troppo, in effetti, per la breve vicenda di Goethe, ma nel suo genio Goethe pre-sente tutto questo…
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I “succhiasangue”, quasi sempre balcanici, e spesso rozzi e meschini, non sono pochi prima del 1819, ma si mescolano assai con dei semplici zombie che ritornano dalla tomba…
Pilo e Fusco, nel Mammut, fanno i nomi di molti autori che si riferiscono al succhiasangue resuscitato, da Novalis a Verlaine, andando anche, quindi, molto al di là del 1819…
Wikipedia trova descrizioni scientifiche del vampirismo, già quasi identico a come oggi lo concepiamo, in diverse poesie di George Gordon Byron, soprattutto The Giaour del 1813 e in frammenti di Mazeppa (1819)…
e il riferimento è potente perché da Byron ha origine The Vampire di John William Polidori, appunto del 1819, che architetta il vampiro “odierno”…
La genesi del libretto di Polidori, con la scommessa dell’estate del 1816 a Villa Diodati a Ginevra, tra Byron, Percy Shelley, Polidori, Mary Shelley e Claire Clairmont, che originò anche il Frankenstein di Mary Shelley (vedi quanto si dice anche nelle impressioni del film di Mary Shelley del 2017), è famosa, e certamente la sua importanza è indubbia: da Polidori in poi sono stati tanti i vampiri nobili, ricconi e iper-fascinosi, mentre il succhiasangue poverello, pastore o direttamente zombi è rimasto nel Folklore, e venne registrato magari da Nikolaj Gogol’ (il Vij del 1835) [il vero e proprio Vij è un personaggio secondario, evocato da una vorace succhiasangue, nobile cosacca e quindi non certamente né elegante né dell’immaginario lussuoso di Polidori, bensì di una ricchezza quasi contadina e di una bellezza particolare che si abbrrutisce in elementi che, oltre che succhiasangue, la rendono una generica strega dispettosa e malevola molto generica, alla Suspiria, che quasi si diverte a fare malestri e malvagità] o Chateaubriand e Verlaine, quasi senza nessuna caratteristica suggestiva del vampiro…
È da Polidori che deriva, direttamente, il Dracula di Stoker (anche attraverso la ai tempi popolarissima opera Der Vampyr di Heinrich Marschner, del 1828, specifica trasposizione musicale del testo di Polidori), capostipite di tutti i nobili vampiri maschi…
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Molte volte, però, la “succhiasangue”, anche nobile ma non solo, è donna, e somiglia molto alla sposa di Corinto di Goethe…
ma in mezzo c’è Coleridge, e la Geraldine di Christabel…
Christabel sarebbe perfettamente contemporanea a Goethe (1797), e inoltre si chiama Christabel forse rievocando la Christine di Ossenfelder, ma Coleridge non l’ha finita e ne ha tentato una seconda parte nel 1800, auspicando di “ultimarla” in 5 parti nel 1803, ma poi rinunciando, e pubblicando le sole due parti composte nel 1816…
e che Geraldine sia una “vampira” non è per niente detto…
In un lusso poetico che solo l’inglese di fine Settecento poteva creare, tra espedienti fonici e metrici che portano via, e un immaginario crepuscolare che incanta e insieme fa rabbrividire come nessun’altra scenografia di Halloween può fare, Coleridge dice che, disperata dalle pene di un’amore a distanza col promesso sposo, la principessa Christabel, figlia di Leoline, va nel bosco, alla luce brumosa della luna piena, a piangere appoggiata a un tronco di quercia dietro il quale trova la bellissima Geraldine (che nel testo sarebbe da leggere «geraldáin», così come sarebbe da leggere «lioláin»)…
Tutta ingioiellata e ipnoticamente avvenente, Geraldine dice di essere sopravvissuta a un’imboscata… Christabel la porta con sé verso il suo castello…
appena giungono si evincono segni che qualcosa non va:
Geraldine ha un mancamento prima di oltrepassare il cancello ferreo del castello di Leoline;
le candele, spente, si accendono appena Christabel entra;
il mastino di Christabel, dormiente, si mette a mugolare appena la sente arrivare;
Geraldine sembra non avere granché rispetto per lo stemma sullo scudo di Leoline, lo stemma della famiglia di Christabel;
e Leoline stesso, sempre turbato da incubi che lo fanno lamentare nel sonno, quella notte sembra invece dormire come un sasso…
Christabel è tutta contenta di avere un’ospite, la invita nella sua camera, tutta arredata di mobili di legno decorati in maniera fantasiosa, e le fa bere il prodigioso vino che preparava la sua defunta madre…
nel ricordare la madre, Christabel ha un momento di tristezza che Geraldine cerca di fugare farneticando che, adesso che c’è lei, lo spirito triste della madre di Christabel è scacciato (anche la sposa di Goethe malediva una madre, ma era la sua stessa madre-assassina)…
dopo questa affermazione, tra Christabel e Geraldine c’è una appassionatissima scena di amore saffico, impreziosita da Coleridge con tutti i crismi possibili della struttura musicale del verso e dell’evocazione del piacere sessuale con le parole del suo inglese anticheggiante, durante la quale si vede che Geraldine ha sul petto una sorta di “segno”, che lei dice essere il simbolo della sua vergogna e del suo dolore…
la scoperta del “segno” non fa rinunciare Christabel ad amare la sua Geraldine con tutta la voluttà possibile, con immagini che ibridano l’Amore con i suoni della notte…
con l’amplesso termina la prima parte…
la seconda parte è molto più confusa…
la mattina dopo l’amplesso, sembra che Christabel e Geraldine si presentino a Leoline, che pare riconoscere Geraldine come la figlia di un qualche suo vecchio compagno d’armi a cui giurò protezione: perfino il bardo di corte conosce la storia della vicinanza tra Leoline e il padre di Geraldine…
però le cose non sono “carine”: lo sguardo di Geraldine, quasi all’improvviso, sembra quello di un serpente… oppure è lei stessa che si tramuta in serpente!
non lo nota soltanto Christabel ma anche Leoline, che pare chiedere a una sorta di spirito del vecchio amico e padre di Geraldine perché abbia mandato sua figlia a portare disgrazia nel suo castello!
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La poesia di Coleridge è così magica, così affascinante e così avvincente da aver investito di suggestione molti di quelli che riuscirono a leggerla, che si sono appassionati alla natura di Geraldine…
una Geraldine che nasconde un passato indicibile, che ha sul petto “qualcosa” di insano, e che sembra tramutarsi in un mostriciattolo serpentesco…
Connessa a un serpente è la Lamia di John Keats, 1820, ambientata in un’antica Grecia oleografica, ovviamente con il riferimento preciso a Corinto per omaggiare Goethe…
Lamia in realtà sarebbe una ninfa, intrappolata nel corpo di un serpente, che il dio Ermes libera mosso a compassione… nelle sembianze di ninfa, la povera Lamia si innamora di Lycius ed è vicina a sposarlo, ma al momento del sì, un tale avverte Lycius che Lamia in realtà è un serpe!
È una storia stranissima, dove le sembianze di serpente non appaiono come la vera natura della ragazza, ma sembrano perseguitarla, quasi simbolo di una vergogna o di una bruttura interiore e inconscia ineliminabile per la povera protagonista, che la affligge proprio nei momenti in cui è più vicina alla felicità… un eccezionale simbolo di inconscio avverso completamente psicanalitico!
Nel 1821, il vecchio E.T.A. Hoffmann, in Vampirismus, sembra intercettare alcune nuance di Christabel, narrando di una ragazza, Aurelia, forse sonnambula e forse parte del regno dei morti in un fantasioso ambiente antico romano…
Nel 1831, Edgar Allan Poe, in The Sleeper, narra di una certa Irene, morta e sepolta, il cui sepolcro viene visitato dal narratore, forse un suo innamorato, che però ci dice che Irene potrebbe non essere stata così carina, e forse aveva tratti misteriosi magari “maledetti”… di Christabel si notano i riferimenti a un passato non chiaro, e quasi certamente diabolico, della protagonista…
Poe torna ad atmosfere simili in Ligeia, nel 1838, dove una bellissima donna dai capelli corvini, saggia ed esperta di arti magiche (e proveniente da remote regioni in riva al Reno), si ammala e muore, ma in qualche modo “ruba il corpo” a un’altra donna attraverso una specie di vino avvelenato (riflesso del vino della madre di Christabel?)…
anche in altri racconti di Poe, la suggestione di Coleridge torna qua e là forse legandosi al vampirismo ma più in generale presentandosi come numinoso ritorno dall’oltretomba, non necessariamente vampiresco (vedi Berenice e Morella, del 1835; la famosissima Fall of the House of Usher, 1839; e The Oval Portrait, 1842; e non sottovalutiamo mai che Poe era un accanito fan anche di Keats)
Nel 1836, Théophile Gautier usa una misteriosa donna in La Morte Amoureuse, impegnata in un sincero amore per il fidanzato, ma che si rivela morta, con solo il sangue a tenerla in vita… una vampira con tutti i crismi, in effetti, in un ambiente mellifluamente veneziano, che riecheggia Christabel solo nella scoperta finale della natura malsana della protagonista…
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Keats, Hoffmann, Poe e Gautier usano il non detto di Coleridge per impepare le loro storie, dimostrando quanto, prima del Dracula, i vampiri non fossero cose così “codificati” e lo scoprire alla fine la loro vera natura “soprannaturale” dava ai racconti un'”ansia” speciale…
e, prima della “codifica”, lo stile e le intuizioni di Coleridge hanno fatto tantissimo, alimentando tutte le metafore connesse al vampirismo, che erano ancora bertadere e virulente in Bürger, Goethe e Ossenfelder, e che il nerdismo seguito a Stoker hanno un pochino rabbuiato…
Inoltre, con la sua poesia elusiva e allusiva, Coleridge si trova ad aver creato molti miti che poi sono diventati canonici per la futura figura del vampiro, proprio da Polidori e Stoker in poi…
per esempio, il mancamento di Geraldine nell’entrare nel castello di Christabel forse codifica la vecchia beffa che il vampiro non può entrare in un posto se non è invitato…
che Geraldine diventi serpente forse prima di colpire sembra sancire come non si riconosca davvero un vampiro a prima vista poiché si rivela mostruoso solo al momento del morso: un topos che Stoker ancora non ricicla alla perfezione ma che nei film (quindi dopo il 1931) è quasi sempre un tratto sicuro…
il “segno” che Geraldine ha sul petto potrebbero essere i buchi dei denti del vampiro, ancora sul petto nell’Ottocento prima che Stoker li sposti al collo (ancora Polidori fa mordere il suo vampiro anche sul petto)…
che Christabel si conceda con tutta quella gioia a una sconosciuta origina la componente spesso ipnotizzatoria del vampiro, o addirittura le sue doti di muta-forma: tanta critica bacchettona ha interpretato che Geraldine possa aver assunto le sembianze del promesso sposo assente di Christabel per introdursi nel castello e passare la notte d’amore… ma è una interpretazione che non ha avuto granché fortuna rispetto alla compiaciuta concupiscenza lesbica che ha aperto a tutto un filone di vampiri pansessuali, evidenti al grande pubblico soprattutto dopo Anne Rice (quindi dopo il 1976 e il 1994), ma già ambiguamente presenti nell’Ottocento…
L’opera che maggiormente ha diffuso le idee di Coleridge, infatti, è stata la Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu, del 1872, dove la componente lesbo è centrale…
anche Carmilla è nobildonna ingioiellata, che parla di appassionato amore alle sue femminee vittime orfane di madre (come Christabel), che appare come demoniaco mostro prima di succhiare il sangue esclusivamente dal petto e di andare a riposare nella sua precipua tomba in Stiria, vicina a quella Serbia e a quelle steppe ucraine di Gogol’ in cui la letteratura posizionava i vampiri quando non si volevano usare la Grecia (di Goethe e Keats) e l’Italia (di Hoffmann e Gautier), prima dell’avvento, solo da Stoker, dell’Ardeal rumena, quella che per il resto degli europei è la Transilvania (Serbia, Ucraina, Grecia, l’esotica/erotica Italia [mèta ancora oggi di lussuoso turismo sessuale, vedi La citta dei vivi], Stiria, Ardeal: tutti posti che evocano il remoto, il difficile da raggiungere, il confine con lo straniero, il limite estremo di un’Europa sineddoche maldestra di civiltà o addirittura cristianità, a cui confini si nasconde l’ignoto, l’inconoscibile, dove si fanno i conti con le paure interiori in una fantastica metaforizzazione inconscia della geografia secondo cui più lontano vai e più stai esplorando solo te stesso; solo Poe posiziona il suo mostro inconscio in riva al Reno, nel cuore della civilissima Europa occidentale)…
Le Fanu è anche un maestro, anche più degli altri citati, nel seguire Coleridge non solo nel lesbismo ma anche nel nondetto ammaliatore della prosa, che descrive tutto senza dare i particolari di niente, sfumando i contorni ed evocando solo quanto basta per dare manforte all’immaginazione, in una scrittura davvero poetica…
Totalmente alla Christabel anche l’evocazione del passato in Carmilla, passato che si ripiega nella mente: come Geraldine è forse connessa con la storia della famiglia di Christabel, magari simboleggiando una bruttura familiare tutta da scoprire, Carmilla potrebbe essere solo un sogno della protagonista narrante, sogno avuto nell’infanzia e preconizzante l’adolescenza e l’arrivo del ciclo mestruale sanguinolento, con l’uscita di sangue dal cuore per linkare la pubertà con i primi tormenti amorosi, siano essi di qualsiasi natura, anche omoerotica…
Carmilla ha poi ispirato Vampyr, film girato con due soldi da Carl Theodor Dreyer in Germania nel 1932 (una decina d’anni dopo il famoso Nosferatu di Murnau, basato su un Dracula “rimaneggiato” per la mancanza del permesso della vedova di Stoker a un adattamento ufficiale, e solo un anno dopo il Dracula di Browning), che presenta tanti elementi certo di Carmilla ma anche di Christabel…
Il gender del vampiro di Dreyer è indeterminabile, e affascina giovani donne ma anche medici e postini maschi… appare vecchissimo e forse dalle fattezze maschili, ma riposa nella tomba di una donna…
e la realtà di Dreyer è baluginante di impressioni e di sogni come quella di Coleridge e Le Fanu: Dreyer sovrabbonda Vampyr di sovrimpressioni e di stacchi di montaggio sfumati che denotano una costante evocazione di stare solo vedendo un sogno, un incubo di un “sognante”, riguardante un morbo, forse la stessa morte, che aleggia sull’esistenza costantemente e da cui neanche i cattivi sono dispensati (abbastanza truce la condanna a morte del dottore, reo complice del vampiro, che muore malissimo sepolto dalla farina di un mulino)…
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La natura metaforica e sfuggente della “vampira” di Coleridge, attraverso Le Fanu, ha quindi influenzato tanto, ed è rimasta latente e carsica nel gigantesco continente vampiresco poi completamente colonizzato dal Dracula di Stoker…
parliamoci chiaro: Stoker è compartecipante a mille di tutte le componenti metaforiche di Coleridge e Le Fanu, ma il suo successo ha creato un nerdismo, assai “infedele” alla sostanza di Stoker, fatto di Frankenstein schiavo di Dracula e altre scemenze, tutto esattezza e poco archetipo, tutto Transilvania e poco arrosto, tutto vampiro “positivamente” succhiasangue e poco inconscio, che ha molto annacquato quelle componenti, che, dopo micro apparizioni in terre slave (vedi Valerie and her week of wonders di Jaromil Jireš, 1970, che ha qualche vampiro pansessuale connesso con la maturazione sessuale di una 13enne neomestruata), sono rispuntate nel mainstream appunto con Anne Rice e quindi col Dracula di Badham (’78), a lei ampiamente ispirato, e col Nosferatu di Herzog (’79), molto influenzato dall’avvento di Rice…
Rice, Badham e Herzog, piano piano, passando per The Lost Boys di Schumacher (’87) e il celeberrimo Dracula di Coppola (’92), hanno creato il milieu dei Buffy e dei Vampire Diaries: sono stati i mattoni della contemporaneità vampiresco-metaforica…
ed è stato un trauma vedere che, alla fine, quei mattoni hanno originato, purtroppo, un altro filone nerdista, sbocciato con le fantasie del gioco Dungeons & Dragons (con la nascita dei Drow nel 1977), che ha chiuso di nuovo nelle maglie del tassonomico gli spunti metaforici, un tassonomico che sta dietro alle idiozie come Underworld o Dracula’s Legacy, dove i mostri dell’inconscio diventano solo mostri propriamente detti, con dimensioni misurabili e specie specifiche, con tanto di ibridi, da classificare: l’inconscio inconoscibile ridotto a un albero genealogico tutto positivo e per nulla archetipico…
sic transit gloria mundi
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Il fantastico Mammut di Pilo e Fusco comprende molte storie che non ho preso in considerazione, ma ne tralascia altrettante, che non sono così facili da trovare in italiano…
Di Die Braut von Corinth, per esempio, non mi risultano traduzioni italiane successive al 1873, e dei poemi di Ossenfelder e Bürger non ho trovato alcuna versione italiana…
Di Christabel, invece, conto alcuni testi italiani, anche relativamente reperibili:
di Emilio Teza (Padova, Gallina, 1910);
di Francesca Romana Paci (Milano, Guanda, 1988);
di Carlo Cuneo e Ornella De Zordo (Milano, Mursia, 1989);
di Tommaso Pisanti (Roma, Newton Compton, 1995);
di Stella Sacchini e Mirko Esposito (Roma, Gallucci, 2022), nel volume Il primo vampiro, che comprende anche le poesie vampiresche di Byron e Lamia di Keats…
Vampirismus di Hoffmann e La Morte Amoureuse (col titolo Clarimond) sono tranquillamente nel Mammut di Pilo e Fusco… e per Poe e Le Fanu non c’è certamente da lamentarsi della mancanza di diffusione: le traduzioni di Poe sono innumerevoli e Carmilla ha beneficiato di quasi 50 edizioni italiane…
Come sempre tu regali “viaggi” fantastici con il tuo modo di dettagliare e di spaziare.
Goethe?! Non ne avevo la minima idea, ogni volta imparo tantissimo.
GRAZIE
Ma grazie a te!