È un argomento annoso di questo blog l’interrogarsi su (e l’odiare) il sistema della nostalgia che, almeno dal 2011 (da Super 8) e poi dal 2016 (esempi illustri sono Strange Things, Rogue One, Valerian, IT ecc. ecc. fino agli odierni Ghostbusters, Flash e Indiana Jones) appesta il cinema…
Se ne parla molto qui, qui, e qua…
–
Per Burton, regista a cui ho dedicato una verbosissima serie in 6 puntate in costante aggiornamento, l’argomento nostalgia è stato invece inverso…
Accusato da tanti anni, almeno dalla cancellazione del Superman nel 1999, di non essere all’altezza della sua artistry degli anni ’90 e, successivamente, di aver originato gli odiatissimi emo e i detestatissimi live action Disney (2010s), Burton, la nostalgia, l’ha sempre vissuta come controversa… come se avesse “paura” a “cavalcare” i suoi vecchi fan perché forse teme che quei fan lo schifino, come lo stanno schifando per via degli emo e dei live action…
perciò non lo abbiamo mai visto davvero produrre roba nostalgica: si è sempre rifiutato di dare manforte ai tentativi di sequel di Nightmare Before Christmas (e ha dato solo il permesso a Elfman di fare le canzoni in forma di concerto o in forma semiscenica in giro, mi sembra per la prima volta a Londra, alla Wembley Arena, nel 2018 o 2019) e non ha mai sfruttato l’aura di cult di Edward Scissorhands…
ha fatto, sì, mostre artistiche (vedi Burton VI) in cui un po’ si autocelebrava, ma sempre in forma di arte figurativa e mai di cinema…
e forse Burton fa bene non solo per timore, ma perché la nostalgia è quanto di peggio l’essere umano abbia prodotto per auto-rimbecillirsi…
Quando un 40enne che vede Super 8 e Strangers Things la mena dicendo «eravamo proprio così» dimostra di non avere alcuna obiettività, perché «così» non era affatto…
il «così» è una rielaborazione memoriale di come lui si immaginava di essere, che i fratelli Duffer e J. J. Abrams hanno intercettato e gli hanno confezionato davanti…
se quel 40enne si ritrovasse *davvero* nel 1989 a 15 anni vedrebbe che era molto diverso da come si immaginava…
Burton non va per niente dietro a questa idea di rifare i vecchi soggetti abbellendoli per chi nel frattempo è cresciuto per dar loro l’illusione che il tempo non sia passato…
Burton fa un prodotto nuovo con i metodi e i sistemi di allora (del 1988), mantenendo paradossalmente perfino il target di allora (del 1988), che erano i 14-15enni, e che oggi NON SONO i 45enni, ma sono ancora i 14-15enni di oggi…
–
Vedere Beetlejuice Beetlejuice è un esperimento che fa molto bene, poiché non confeziona un bel niente di nostalgico, ma fa un film anzianotto, manuale e fatto a mano, per gente che è piccola e innocente…
e la ineliminabile componente nostalgica di rievocazione di un film di 35 anni fa la irreggimenta facendo dello scontro tra anzianità dei riferimenti, compiaciuta obsolescenza degli effetti, tono blando per bambini e twist di trama pluripuntuale da serie tv come piacciono ai bimbi di oggi (con tanti personaggi, ognuno con tutte le sue troppo lunghe story arc) il centro della trama, con le tre generazioni di Deetz (Delia, Lydia e Astrid) a confronto…
in questo modo, tutte le strizzate d’occhio a certi snodi che un 14enne non può capire (da Mario Bava a MacArthur Park, ma anche tutti i precisi verbatim del primo capitolo) non sono idiozie buttate là a rimanere volanti per puro sfoggio di strizzata d’occhio a un fandom (tipo il Superman di Nicolas Cage nel Flash di Muschietti, o i manifesti di cult anni ’80 che gli scenografi di Stranger Things mettono a profusione nelle stanze dei ragazzini protagonisti senza mai considerare che se una cosa è cult è perché lo è diventata dopo e non appena uscita: nessuno, nel 1982, poteva sognare di possedere il manifesto di The Thing di Carpenter o di Blade Runner perché quei film sono stati cult per lo meno dal 1984-’85, con l’avvento dell’home video, se non direttamente dal 1989!), ma sono precisi riferimenti al mood dei personaggi…
…e la cosa funziona…
e non solo
nella consapevolezza di stare facendo un favore a un pubblico che sono 35 anni che predica un sequel (i momenti più vicini a realizzarlo sono stati: nel 1990, subito dopo Batman, con lo script di Jonathan Gems [un primissimo script, di Warren Skaaren, c’era già nel 1989] a cui si preferì Edward Scissorhands; nel 1991, subito dopo Edward con lo script di Daniel Waters, affossato per fare Batman Returns; nel 1994-’95, tra Ed Wood e Mars Attacks! con lo script che David Geffen propose a Kevin Smith con la minaccia, perfino, di non coinvolgere Burton: fu sepolto dalla lavorazione del mancato Superman e ripreso ancora con Jonathan Gems subito prima di Mars Attacks! ma poi “confluito” in Mars Attacks! e quindi dimenticato durante Sleepy Hollow; nel 2011-2013, tra Dark Shadows e Frankenweenie con lo script di Seth Grahame-Smith, scemato prima di Big Eyes; nel 2017, dopo Miss Peregrine, con lo script di Mike Vukadinovich poi bocciato dalla Warner Bros. con Burton che ripiegava su Dumbo – Winona Ryder, sempre attenzionata, con Keaton, per tutti questi tentativi, ha ironizzato che non riuscirono mai a farlo davvero perché «doveva nascere e crescere Jenna Ortega»), Burton non accontenta quel pubblico con un prodotto confezionato per loro, ma realizza un qualcosa che è una sorta di meta-nostalgia, un qualcosa che sa benissimo di essere nostalgia e di essere un film che molti vogliono nostalgico…
…e quindi…
- non si prende mai sul serio:
tutti, anche i personaggi, sono consapevoli che tutto quanto è una boutade, perfino una storia raccontata (da Lydia, che, come la stessa Ryder in Edward Scissorhands, racconta i fatti in una cornice)…
soprattutto quando le cose volgono al “meno divertente”, c’è una battuta che palesa la dimensione fittizia dell’operazione presentata completamente a carte scoperte che crea un estraniamento quasi ridanciano! - è palesemente metacinematografico:
Beetlejuice Beetlejuice si è giovato di uno degli incontri più fotograficamente fruttuosi della carriera di Burton, insieme a quelli con Philippe Rousselot, Dariusz Wolski e Bruno Delbonnel [dovremmo aggiungerci anche Czapsky, Lubezki e Suschitzky: a livello di fotografia, Burton non ha pressoché mai lavorato con incompetenti], e cioè l’incontro con Haris Zambarloukos, che interpreta tutte le voglie costruttive di Burton alla perfezione e regola i colori, le sfumature e le atmosfere apposta per rendere materici i pupazzi e per sottolineare tutte le occhiate in macchina, tutti i «sogni a occhi aperti» e tutti i gadgets possibili, con un gusto eccellente per il dutch angles, che in Burton non si vedeva così pronunciato dal Batman dell”89!
Con Zambarloukos, e con la cornice di Ryder raccontante (e col personaggio di Dafoe, che è un attore a cui altri personaggi suggeriscono le battute su gobbi cartacei), Burton rende credibile gli ammiccamenti alla finzione, alla fabbricazione, alla dimensione di divertimento della performance degli attori e della macchina da presa, che si palesa subito con l’ambientazione iniziale in uno studio televisivo! - sistema i pezzi per i fan in modo così plateale da prendere quasi in giro la voglia nostalgica del fan: le tessere citate verbatim dal primo film sono così precise e museali, e così spiattellate come idiozie nelle stesse battute, da non poter non suscitare risa!
con questo tono di fondo, alla fine la trametta, per cui è ancora accreditato Grahame-Smith ma che palesa tutti i sistemi narrativi di Gough & Millar in quanto a episodi e twist che si diceva, con la pretesa dello scontro tra generazioni e con il velo dell’elaborazione del lutto, finisce per essere un pizzico, un nulla in un’operazione che NON è narrativa ma che è appunto meta-narrativa e meta-tutto: è un racconto che racconta di essere un racconto palesando le sue istanze di essere racconto per scongiurare le cadute mortifere nella nostalgia (e infatti Astrid riesce a lasciare andare la nostalgia di una figura paterna da lei idealizzata e comincia ad apprezzare la vera realtà di una madre non perfetta ma amorosa) pur avvertendo sempre che fittizia è tutta la vita e che quindi, anche senza la nostalgia, la componente diegetica dell’esistenza è irrinunciabile (e infatti Beetlejuice è, in qualche modo, per sempre il marito di Lydia, in un finale dai molti “risvegli dagli incubi”, ripetuti uno dopo l’altro, che sarebbe perfino da paragonare a quello di Prince of Darkness di Carpenter)…
è come se Burton, come i grandi del passato (da Ravel, a Janáček, a Bettelheim, a Ende, a Sondheim, il suo primo mentore per Sweeney Todd nella primigenia visione estatica del 1979, vedi Burton I), ci dicesse di stare attenti a quello che raccontiamo («careful the tale you tell» di Into the Woods) così da discernere tra quella narrazione che ci aiuta a passare la vita (Delia Deetz che tornerà a “infestare” figlia e nipote anche dopo morta) e la menzogna (il personaggio di Justin Theroux con il corollario degli infuencer matrimoniali molesti), e la paura ineliminabile ma emendabile (Beetlejuice, che rimane nel letto e negli incubi di Lydia come, nel Labyrinth di Jim Henson, il barbagianni di Jareth osserva da fuori dalla finestra una Sarah festeggiante con le sue fantasie benigne, col barbagianni che era la sua nemesi edipica e fobico-narcisistica)…
un qualcosa che è anche assai autobiografico per Burton (vedi gli accenni e le fugaci location all’adorato castello di Dracula presso il quale ha girato Wednesday), che torna a un cinema (e a una vita) a lui consono dopo i tantissimi disastri hollywoodiani in cui era incappato soprattutto dopo la morte di Richard Zanuck: già Big Eyes ammicca a un’industria, Waltz, prevaricante una povera artista, Adams, ingenua che vorrebbe solo usare l’arte, anche se arte non eccelsa, per sognare e non per denaro… e Burton fa un’esplicita frecciata alla Disney, rea di averlo “costretto” a fare il suo Dumbo troppo baloccoso e circense [e a me era anche piaciuto! :-(], e ha insistito sull’interpretazione autobiografica nelle interviste (dove Burton dice di essere Lydia)
–
Tutto questo in un film che ha il tono del prodotto per bambini, fatto apposta per un Halloween in famiglia…
divertente, mai pauroso ma dolcemente scary, e molto accattivante per il décors e i giocattoletti visivi e scenici tutti da ammirare (Bo Welch, scenografo dell’originale dove conobbe Catherine O’Hara ancora oggi sua moglie, è presente come visual consultant di Scruton, entusiasta designer di Wednesday e art director di Boquet in Miss Peregine), in cui Burton mette tutti i suoi “aggeggi” preferiti:
- la “bambolona” smembrata che si riincolla, come Sally di Nightmare Before Christmas: persona che vediamo nei disegni di Burton da sempre (e che, per chissà quali problemi psicosessuali, Burton fa sempre interpretare alla sua donna di turno, da Lisa Marie a Helena Bonham Carter a Monica Bellucci)…
- il coloratissimo mondo dell’aldilà che si ibrida col reale più come in Corpse Bride che come nel primo Beetlejuice…
- la satira del mondo burocratico con accenni al Brazil di Gilliam (tanto omaggiato nel Batman dell”89)…
…un film che è certo appesantito dalle tante story arc pleonastiche (se Theroux e Dafoe possono essere significanti, il MacGuffin di Bellucci è un po’ «ce la voglio mettere», e la sequenza di MacArthur Park, anche se è da sganasciarsi, è un po’ lunghetta), ma che ha tutte le chicche che deve avere:
- Michael Keaton è smagliante nel ritrovare la sua parlata gutturale…
- Gough & Millar sanno come posizionare, e come rendere gradito ai teenagers, anche il più telefonato dei twist…
- le battute fioccano, in un tono generale scanzonatissimo, e alcune centrano bene il colpo (a me ha fatto ridere soprattutto il Soul Train pieno di musica soul!)
…per di più è visivamente eccellente e ha quegli argomenti di meta-narrativa come filosofia di vita che me l’hanno fatto passare davvero molto bene…
…e me l’hanno fatto sbalzare mille spanne sopra tutte quante le operazioni nostalgia di oggi!
–
Se Miss Peregine e Dumbo erano ancora montati da Chris Lebenzon (che non era presente in Big Eyes), Beetlejuice Beetlejuice è montato da Jay Prychidny, conosciuto in Wednesday…
–
Jeffrey Jones, mattatore del primo capitolo e per tre volte felicissima e spassosa faccia per Burton (anche in Ed Wood, ’94, e Sleepy Hollow, ’99), nel 2002 fu arrestato perché un 14enne lo accusò di esserne stato vittima: il 14enne disse che Jones, tra 2000 e 2001 (Jones aveva quindi 54-55 anni), lo obbligò molte volte a fare foto praticamente nudo, agghindato in modi strampalati (con un cappello da cowboy, con un costumino da nativo americano, oppure in mezzo a tanti peluche)…
Il 14enne non riuscì a provare che Jones era un collezionista di pornografia minorile, né che tra loro ci fu davvero qualcosa di “sessuale”… il tribunale penale, per altro, non trovò sufficienti prove per far affermare a una giuria che il 14enne aveva fatto quelle foto perché obbligato e promosse un patteggiamento civile che per Jones è stato pesante: non andava in galera, ma rimaneva in libertà vigilata per 5 anni, con l’obbligo della psicoterapia e con la macignosa iscrizione nel registro dei Sex offenders… siccome nel 2004 e nel 2010, Jones cercò di farsi togliere dal registro, il tribunale lo multò e lo rimise 3 anni in libertà vigilata… la cosa metteva in imbarazzo le produzioni a cui partecipava (soprattutto Who’s Your Caddy? nel 2006) ma rimase tutto sommato nascosta fino all’uscita del film di Deadwood nel 2019, il cui successo ha fatto riemergere la faccenda…
dopo il 1999, Burton non ha più lavorato con Jones, e nessuno del cast ha parlato del suo coinvolgimento in Beetlejuice Beetlejuice…
il personaggio comunque c’è e un voice actor non accreditato in nessun modo imita Jones nell’impersonarlo…
Dunque storyarc a parte, direi che è un sì che conferma il genio di Burton.
A me i film/serie nostalgia piacciono. Per esempio Trainspotting 2 è stato fatto per gli amanti di Trainspotting oggi calvi e con la pancetta e a me è piaciuto 🤣
Sinceramente mi aspettavo lo stesso da Beetlejuice 🙄 (ancora non l’ho visto).
Il Flash di Muschietti spacca. E infatti gli ho dedicato questo post adorante (e nostalgico anch’esso): https://wwayne.wordpress.com/2023/06/30/per-mio-padre-era-un-mito/
Il Flash di Muschietti è una merda e gli ho dedicato questo post denigrante:
Quindi non condividi neanche una virgola del mio post?
Conferma le mie teorie sulla nostalgia cinematografica
Paradossalmente io questa tendenza del cinema moderno a cavalcare la nostalgia la incoraggio pochissimo, perché evito per principio quasi tutti i sequel, prequel, remake, reboot e tutti gli altri termini con cui si usa indicare le rimasticature di roba già fatta. Anche il grande pubblico ha voglia di aria fresca, come provano chiaramente gli innumerevoli flop delle rimasticature (un ultimo fragoroso esempio è il remake del Corvo).
Il successo del terzo film di Deadpool sembra contraddire la mia analisi, ma a mio giudizio il pubblico è andato a vederlo perché gli piace il personaggio, non perché apprezzi le rimasticature in generale. Per riprendere l’esempio di prima, se Ryan Reynolds facesse un western la gente andrebbe a vederlo perché il protagonista è un attore che sta simpatico al pubblico, non certo perché il western è tornato di moda.
Le mie considerazioni ti trovano d’accordo?
Bah, sì, in linea di massima…
io però ho rinunciato nell’adolescenza a cercare di comprendere il pubblico modaiolo… e successivamente ho letto troppo di psicologia sociale per sottovalutare il “caso”, i “neuroni specchio” e il “conformismo” più irrazionale…
e so anche che non c’è mai limite al peggio (considerando anche la permanenza eterna delle religioni monoteiste e del capitalismo: segno che, effettivamente, l’uomo è un animale che “ragiona”, ma forse non “ragiona” in modo così efficace)
Il capitalismo non è crollato perché la sua alternativa non ha funzionato. I cinecomics invece sono crollati perché il pubblico ha trovato qualcos’altro di suo gradimento. Onestamente lo ritengo un bene, perché per un lungo periodo i cinecomics hanno monopolizzato il mercato cinematografico in maniera impressionante, riducendo tutti gli altri film ad un incasso quasi pari a zero. Fino a pochi anni fa un film senza supereroi non arrivava quasi mai a 20 milioni di incasso – e sto parlando di incasso globale, non italiano o statunitense. Oggi invece, dato che il pubblico non ha ancora trovato un nuovo genere prediletto, qualsiasi film può diventare un successo al botteghino. Per farti un esempio, film come Tutti tranne te o It ends with us fino a pochi anni fa sarebbero stati visti solo da qualche ragazzina, e quindi sarebbero rimasti sotto i 20 milioni di incasso: oggi invece hanno incassato rispettivamente 219 e 210 milioni di euro. Cifre che sarebbero state impensabili nell’era dei cinecomics.
Visto?
Ecco l’autoinganno!
Che il capitalismo, invece, funzioni…
–
Anche io sono contento che i cinecomics siano finiti, ma, come abbiamo detto, esiste la nostalgia: e i cinecomics, per quasi 20 anni, hanno prodotto un esercito di potenziali nostalgici: hai visto l’annuncio di Downey Jr. come Dr. Doom? Quei potenziali nostalgici sono lì pronti ad agire per quel personaggio (nel bene e nel male eh: tanti nostalgici uccidono molti film che sarebbero validi), e siccome c’è il capitalismo, tanti saranno disposti a dare loro retta solo perché pagano…
Il pubblico ha avuto la sensazione che Avengers: Endgame fosse una sorta di capitolo finale per i cinecomics, e quindi dopo quel film (dal titolo davvero profetico) la gente ha perso interesse per questo genere. Adesso i cinecomics sono come i western o i film d’azione con Schwarzenegger: qualcosa che ha funzionato alla grande in passato, ma che oggi non si fila più nessuno.
La Marvel non si rassegna al fatto che si sia esaurito questo filone d’oro, e quindi tenta di tenere in vita i cinecomics con dei colpi di teatro come quello che hai citato tu, ovvero la decisione di riciclare Robert Downey Jr. in un ruolo diverso da quello che l’ha riportato alla ribalta. Lo trovo un tentativo patetico: con questa trovata la Marvel mi ha ricordato una sessantenne che 40 anni prima faceva girare tutti gli uomini per strada, non si rassegna al fatto che quell’epoca d’oro è finita, e quindi cerca di ravvivarla indossando un vestitino rosso in stile Jessica Rabbit. Ma anche con quel vestitino rosso resta una sessantenne che tanti uomini non scoperebbero neanche pagati. Allo stesso modo i cinecomics continueranno a venire percepiti come vecchiume senza più un minimo di appeal, con o senza Robert Downey Jr.
Speriamo tu abbia ragione!
L’unica sessantenne che continua ad essere sexy quando strizza le sue tettone in un vestitino rosso è Salma Hayek (che però non è proprio una sessantenne, di anni ne ha 58). Questa foto lo prova in modo molto chiaro: https://wwayne.wordpress.com/2021/12/16/inseguire-i-propri-sogni-2/. Grazie per la chiacchierata, stimolante come sempre! 🙂