Il mio rapporto con la Pixar è complesso…
A differenza di molti, io ho sempre trovato Toy Story (’95) una cacchiatella alla «si stava meglio quando si stava peggio», una caratteristica che ho visto essere poi una cifra di tutti i film di John Lasseter, personaggio idolatrato che poi si è rivelato essere qualcosa di molto di più di un inquietantissimo freak…
La mia diffidenza verso Lasseter mi ha fatto quindi vedere tutti i suoi film di sottecchi, e non solo quelli suoi suoi (in sostanza Toy Story 2, ’99, e Cars, ’06), ma anche quelli in cui ha messo bocca di più (secondo me rovinandoli: era un nefasto nemico dei musical e ha cercato in tutti i modi di togliere le canzoni quando era a capo dell’animazione Disney tout court, cioè dal 2006 al 2018, con titoli come Princess and the Frog, ’09, e Tangled, ’10)…
Dall’altra parte, però, ho adorato da subito A Bug’s Life (’98), che di fatto è di Andrew Stanton… e con Stanton (e cioè con Finding Nemo, ’03, e WALL-E, ’08) sono sempre andato d’accordo…
e sono abbastanza andato d’accordo col Pete Docter di Monsters, Inc. (’01) e Inside Out (’15)…
tirando le somme, tra me e Pixar le cose sono andate sostanzialmente bene fino a Finding Nemo…
poi qualcosa mi si rompe…
motivi?
tanti:
- la tendenza a fare i seguiti:
quelli di Toy Story manco li conto più, pare che siano addirittura 4…
di Incredibles ce ne sono ben 2 (e già uno bastava e avanzava)…
di Cars addirittura 3… - il dare spazio a progetti tutt’altro che sopraffini e lavorati da gente che alla Pixar c’era entrata dalla finestra, vedi Incredibles (’04) e Ratatouille (’07, di Brad Bird: da me detestati entrambi), oppure Brave (’12, di Andrews & Chapman)…
- la spocchia dell’arrivato:
dopo l’iperrealismo di Ratatouille, la gente cominciò a guardare alla Pixar non come a uno studio che produceva film carini (come lo erano anche quelli di Blue Sky, per esempio) ma come a una vera e propria divinità…
tutti i film che faceva andavano adorati, messi su un trono, ammirati… per forza…
e allora per me è cominciato il declino…
un declino che, purtroppo, nella mia ottica ha coinvolto anche diversi, forse incolpevoli, film di Pete Docter (vedi Up, ’09, e Soul, ’20, che io non ho compreso) e di Lee Unkrich (cioè Coco, ’17, che non mi è sembrato questo miracolo che tutti dicono, perché io ho un rapporto con gli antenati e con la morte assai diverso da quello presentato nel film)…
Soprattutto i seguiti e la spocchia da Re Mida mi hanno fatto molto allontanare da Pixar, e ho ignorato completamente i film successivi al 2020 (Onward, Luca, Turning Red, Lightyear ed Elemental), ma anche diversi film precedenti (cioè sostanzialmente i seguiti, ma anche The Good Dinosaur di Sohn, ’15)…
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Perciò che sia andato a vedere un seguito Pixar è davvero un caso stranissimo…
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Inside Out (’15) a me non era dispiaciuto, e fui molto in disaccordo con la critica feroce che gli fece Goffredo Fofi, che fraintese la funzione dei personaggi e li percepì come attivi e a se stanti rispetto alla protagonista invece di elementi della protagonista, e quindi sbraitò che il film era un imperialistico peana ai «persuasori occulti» “turbocapitalistici” (ed erano tempi di post-comunismo populista e grillino in cui certi termini erano, allora come ora, di gran moda: Diego Fusaro e Marco Rizzo ci marciavano già allora) che in modo subliminale ti convincono a fare cose che non vuoi fare…
era una critica del cacchio, ma è comunque indubbio che il problema del rendere personaggi quelle che sono emozioni di un singolo carattere era tosto…
un problema che sussiste anche nel secondo capitolo, in cui i personaggi raddoppiano…
a livello narratologico la vicenda fluttua tra essere la parabola di Joy e la parabola di Riley, e la moltiplicazione dei personaggi slitta anche su altri centri (i.e. su Anxiety)…
…facendo suscitare le domande che affiorarono anche nel primo capitolo:
- perché l’emozione preponderante dovrebbe essere Joy? Davvero in entrambi i film si esprime così tanto la gioia di vivere?
- perché le emozioni sembrano un po’ subire le scelte di Riley e un po’ condizionarle?
- perché certe volte le emozioni “non sanno” cosa sta succedendo?
a questi si aggiunge la domanda sul perché attendere 10 anni per fare un seguito che in diegesi si svolge solo 3 anni dopo il primo capitolo…
in più, in questo secondo capitolo, il prorompere della pubertà suscita una storia di conflitto tra l’ansia di controllo e l’imprevedibilità della vita che finisce per rimpicciolirsi in un caso assai particolare, là dove il primo era un pochino più universale…
finisce che la storia appassiona di più chi ha problemi di controllo rispetto ad altri…
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la cosa non è un difetto: anche le storie d’amore forse coinvolgono di più la gente che è innamorata rispetto ad altre persone…
e infatti Inside Out 2 non scorre male e, come il primo capitolo, sostiene bene la sua ambientazione mentale e ancora regala rappresentazioni curiose ed efficaci dei meccanismi psicologici (là dove Soul si perde nell’ambientazione paradisiaca)…
…e, pur nello scarto tra emozioni e personaggi, mantiene certi giochini caratteriali divertenti (e.g. la love story tra Disgust e Lance Slashblade)…
però, nello scioglimento dei fatti, che una storia di ansia di controllo in conflitto con la realtà imprevedibile si risolva, ancora, come una perorazione della gioia di vivere, e quindi con un nuovo trionfo di Joy, forse lascia perplessi…
poiché il conflitto tra controllo e imprevedibilità non è che comporti tutta ‘sta felicità…
e il primo capitolo smussava questo conflitto (ai tempi tra Joy e Sadness) dando più spazio al complesso, così come altri film Pixar (vedi i finali non trionfalistici di Monsters, Inc. e di WALL-E, o la delusion di Up), mentre invece Inside Out 2 appare risolversi con un deus ex machina che reclama Joy a governare la mente, deus ex machina che aggrava sia il problema del dualismo insolubile tra emozioni e personaggi sia lo scarto tra attività e passività di quei personaggi…
…un finale, quindi, che casca un po’ dall’alto, rappresentando una puntillistica crisi puberale, millimetrica e piccolissima, in una svolta della vita, un pochino ingigantendo la ‘zienda: cioè è un finale che fa passare la più balorda e banale quotidianità come la più immensa delle filosofie di vita: un difetto oggi comune a molti, per esempio a quelli che devono attendere Zerocalcare per capire che la vita fa schifo, e quelli che appena vedono appassire una pianta si mettono a piangere disperati perché si accorgono che anche loro dovranno morire (vedi anche De los muertos)…
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Bill Hader (Anger) e Mindy Kaling (Disgust) non hanno ripreso i loro ruoli (andati a Liza Lapira e Lewis Black), ma Massimiliano Manfredi ha mantenuto la stessa distribuzione che Carlo Valli aveva stabilito per il primo capitolo, e per molti personaggi nuovi ha dovuto sopportare l’imposizione di talent…
ma quei talent, sotto la guida di Manfredi, sono stati davvero all’altezza…
certo, si sente che Pilar Fogliati (Anxiety) arriva forse «un po’ dopo» rispetto a Maya Hawke, ma Deva Cassel (Ennui) è carina (ma io muoio dalla curiosità di sentire la mia adorata Adèle Exarchopoulos: ed è davvero curioso che la figlia di uno, Vincent Cassel, che il doppiaggio l’ha sempre detestato si sia messa a doppiare! ma l’animazione è forse fuori dal disprezzo di Vincent Cassel per il doppiaggio, visto che lui stesso ha doppiato Denis Leary nella serie Ice Age, ’02, ’06, ’09, ’12 e Ewan McGregor in Robots, ’05), Marta Filippi (Envy) va bene (sarebbe Ayo Edebiri), e Stash dei Kolors (Lance Slashblade) parla talmente poco e fa così ridere di suo da non aver rovinato per niente il personaggio (che in originale era Yong Yea)…
Ho visto Inside out 1 ma non il 2. La Pixar secondo me ha fatto alcuni film molto belli, a me Toy story è piaciuto, sia il primo che il secondo e il terzo. Perché delusione Up?
E gusto eh…: mi sembra sia un film che si autocelebra…
Nemmeno io impazzisco per Toy Story, Cars mi è piaciuto un po’ di più.
Non ho visto Inside out 2 e sono felice che qui si ristabilisca un po’ l’equilibrio, come di consuetudine, bilanciando gli entusiasmi generali.