Luca Guadagnino’s Challengers

Uno dei pochissimi che si permetteva il genitivo sassone nei titoli dei suoi film è stato John Carpenter, e lo faceva in polemica con la dicitura «a film by», per lui consumistica (secondo lui, il «by» non era segno della paternità del regista ma solo della proprietà intellettuale dello studio, che delegava a un «by» la fornitura di un servizio)…

adesso lo usa Guadagnino

è un po’ come dire che Michelangelo e un piastrellista usano lo stesso marmo…

Si può certamente concludere «eh, Guadagnino o ti piace o non ti piace»…

e sono felice per coloro a cui piace l’incoerenza e lo ‘ndocojocojo delle idee visive…

che a Guadagnino non interessi la compattezza del suo look, e che fabbrichi dei frammenti architettati di singole scene, del tutto sconnessi dagli altri frammenti delle altre singole scene, come se il film fosse una rappresentazione di come i detrattori definiscono l’opera italiana (cioè un’insieme di scenette che non hanno a che vedere nulla l’una con l’altra: cosa falsa, ma che tanti, nell’ignoranza dell’esegesi approfondita, hanno pensato), è evidente…

‘sta cosa piace?

a tanti sì…

a me fa ridere…

quando, in due sequenze distinte, l’identica scena di un personaggio che cammina è ripresa, nella prima sequenza, con un tripudio di molti stacchi al minuto, e nella seconda sequenza una medesima camminata sia invece risolta con un’inquadratura fissa che mi comporta?

quella scena di camminata nella seconda sequenza ha una valenza diversa rispetto alla prima?
una valenza diversa tale da giustificare il cambio di look visivo?

il personaggio camminante ripreso fisso esprime più o meno fragilità del personaggio scomposto e tagliato in tanti stacchi?

non si sa

Guadagnino inquadra due camminate uguali in modi diversi perché è un genio?

o perché va a caso?

o perché sa che chi noterà il look visivo diverso sarà felice perché ci cercherà delle spiegazioni che poi non ci sono…?

piacciono, forse, anche gli stacchi pleonastici, di cui Challengers è pieno?

c’è una scena in cui Zendaya piange, e Guadagnino fa uno stacco su un albero…
e su quest’albero ci sta diversi secondi inutili…
cominciamo a domandarci perché inquadri quell’albero…
solo dopo molti secondi scopriamo che quell’albero è inquadrato perché sotto di lui Zendaya arriva a sedersi e piangere ancora…
tra il pianto di Zendaya e il suo adagiarsi sotto l’albero ci sono secondi e secondi di albero privo di contesto…

è geniale?
è un’allungata di brodo?

siccome molti stacchi hanno parecchi secondi inutili, arrivare alle ben 2h e 10′ del film non è stato difficile per Guadagnino…
…è difficile per noi spettatori sorbirsi i secondi inutili in più in un film che, senza quelli, poteva tranquillamente durare 1h e 25′

piacciono, forse, i giochini dei flashback?

carini davvero

quei flashback con le didascalie: «a few weeks ago»

e poi anche «the day after»…

e sei lì a chiederti: «ma the day after da quando? dalle few weeks ago o dal tempo iniziale?»

e non lo scopri eh: ci vuole il contesto

geniale o alla ‘ndocojocojo?

piacciono, forse, gli espedienti di voluta bruttezza ottenuti al ribasso?

come l’ultima scena di Suspiria, tutta brutalmente pixellata, in Challengers c’è un orrendo split-screen con le spalle di Zendaya in mezzo ai piani interi di O’Connor e Faist: la divisione in tre dello schermo, tutta sfocata, è assolutamente obrida, fa immediata repellenza…

così come repellente è la qualità del ralenti dell’ultima scopata in macchina: tutto fatto a scatti…

perché optare per cose così amatoriali?

è una genialata o è imperizia?

molti mi hanno detto che la miriade di stacchi sui tennisti esprime bene la frenesia degli sguardi e delle emozioni…

e potrebbe essere: shots veloci sulle ombre dei ragazzi invece che sui ragazzi, miliardi di dettagli su tutto, tagli velocissimi e concitati…
ok…
è emozionante…
e designa bene la valanga di sguardi in gioco nello sguardo di chi osserva una partita a tennis…

quindi potrebbe anche essere ok…

ma certi shots, visti poi da soli, coinvolgono angolazioni se va bene artificiose e se va male scomodissime, quasi anti-narrative, e quindi anti-emotive…
sicché?

la ricerca dell’insolito nello sguardo produce anche cose ridicole involontarie: tipo le soggettive delle racchette, che rendono la partita uno sballottamento privo di senso; oppure l’inquadrare da sotto un terreno trasparentizzato apposta: cose che fanno davvero ridere; oppure le soggettive tout court, di tutti i personaggi, sempre condotte sottolineando che il personaggio «sta guardando» e quindi piene di sbandi laterali alle volte anche troppo lineari, del tutto ingiustificati (vedi la macchina muoversi senza riconoscere il perché)

e anche l’emozione degli stacchi: parliamone…

c’è bisogno di tanti stacchi di sguardo per il tennis, ma poi il sesso è risolto con una inquadratura fissa e con un modestissimo zoommone su Zendaya…

il sesso non è quindi emotivo?

e la musica impiegata?

scene di sesso commentate da coretti anglicani di bambini, alla Britten…

una cosa che è estraniante oppure direttamente ridanciana!

io non lo so

non ci trovo un senso

e sarebbe compito mio trovarcelo…

ma io sono prevenuto

per me Guadagnino va a caso e va su suoi gusti personali privi di senso…

gli stacchi a caso,
il ricorrere a mezzi amatoriali,
la colonna sonora casuale,
l’ignorare la sinergia tra quanto si dice e come lo si dice, tra battute e inquadrature, tanto che la stessa situazione può essere risolta in modi diversi senza che ne sia una ragione…

sono tutte cifre di Guadagnino…

piacciono?

ok

a me sembrano manifesti di palese incapacità

e anche scegliere di narrare questa storia, una delle solite storie di Guadagnino, di quelle che non si capisce perché O’Connor venga a un certo punto ostracizzato dopo l’incidente di Zendaya, per anni…

di quelle che, diavolo, per rendere pepato il rapporto tra persone c’è da aggiungere la prurigine, la follia, la promiscuità dell’osare
una roba, cioè, alla Tinto Brass: la coppia in crisi che, ogni tanto, ricorre a un terzo incomodo per riaccendere il desiderio: sono cose che Brass racconta sempre…

e anche il transfert tra sentimento e professione, che dovrebbe essere la portata principale, è tutta ridotta a un qualcosa alla Tinto Brass…

…che se fosse completamente Tinto Brass allora sarebbe anche carina: sarebbe autodeterminazione, sarebbe ammettere le proprie manie, senza giudizi e senza rogne…

invece Guadagnino si sente che giudica questi ragazzi scemi di fare le cosacce

Zendaya è ridicola nel proclamarsi indefessamente innocente,
ridicolo è O’Connor a spuntare a caso nella diegesi,
ridicolo è Faist a prestarsi a fare il coglionazzo che cerca di fare gli scheming e non gli riescono…

farebbero assai prima a dire: «ok, a noi piace così perché non c’è nulla di male»

e invece dicono: «noi facciamo così, anche se è male!»

ma perché è male?

perché?

perché il film e Guadagnino ritengono “male” quel che succede in relazioni private tra adulti o consenzienti o perfettamente consapevoli?

perché Guadagnino maschera da male quello che è quotidiano?

boh

io non lo so…

io non lo so perché vado a vedere i film di Guadagnino…

sono anche io, quindi, come i personaggi di Challengers, che si sentono fighi a trasgredire là dove non c’è alcuna trasgressione?

ma no: io lo ammetto!

ammetto che vado a vedere i film di Guadagnino solo per parlarne male

…ed è una cosa assai facile!…

7 pensieri riguardo “Luca Guadagnino’s Challengers

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  1. io non ho la pretesa di analizzarlo perke l’ho visto una volta sola in originale al cinema, come spettatore; ma non concordo con gran parte della tua analisi

    molte delle cose che hai criticato per me erano punti di forza, non come li hai descritti tu obvi, ma ci stavano; l’unica cosa che concordo è la frammentazione, non per come taglia la narrazione ma per come è presentata (avrei preferito o segmenti più lunghi o quantomeno date)

    cmq, nn tutto il cinema deve essere d’autore e questo è stato prodotto anche da Zendaya, che sicuramente vuole far soldi

      1. Assolutamente sì! Non che non veda film terribili pure io, pensa che sabato sera ho visto Cocktail… X–D

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