Palazzina Laf

È effettivamente confortante vedere una troupe italiana (alla fotografia c’è Claudio Cofrancesco, al montaggio il grande Julien Panzarasa, alle musiche Teho Teardo) in grado di raccontare qualcosa così in equilibrio tra didascalia programmatica e narrazione…

La diegesi di Palazzina Laf non è fluente, ma si snoda in modo affascinante tra sogno e realismo proprio grazie a diversi dualismi: alterna un sistema comunicativo cattivo che dà totalmente per scontata la situazione tarantina, senza dire, allo spettatore ignaro, un bel nulla di contestualizzante, per poi, quando necessario, indicare con chiarezza, con un onirismo preciso e tagliente, tutti insieme i problemi e gli orrori…

anche nel racconto si passa dal non capire dove si va a parare per poi approdare a dialoghi palesanti perfettamente il dramma della situazione…

Il tutto presentato tramite un uso formidabile sia delle facce attoriche sia di strepitose immagini trancianti di follia, lampeggianti allucinazioni allegoriche (indimenticabile la sequenza della processione, che somiglia quasi all’incubo del pre-finale di Colpo di fulmine di Marco Risi) e rapprentazioni dell’apatia degne del Nido del cuculo

Si notano gli influssi, dato il tema simile, da Dark Waters (evidenti nella pecora morente), anche se si osservano molti meno horrorismi e più voglia di naturalismo… anche se è l’onirismo a prendere il sopravvento in tutti gli snodi importanti, soprattutto negli splendidi simbolismi del finale… ed è più che altro il macchiettismo, pur efficacissimo, che traspare da Germano (ormai il De Niro italiano), e in modo particolare dal Riondino attore, davvero strumentalmente sporchissimo di tic e iperboli, che sembrano sulle prime esagerati ma invece sono importanti per designare il tono di tutto… poiché è quella la situazione di Taranto: una istrionica e bombastica piaga che soggiace a una fredda routine: così appaiono Riondino, Germano e il film stesso: tutto appare sicuro ma è tutto pazzamente da manicomio!

L’equilibrio studiato dell’operazione risulta anche nello scegliere di comunicare la tragedia di Taranto dal punto di vista del mobbing di massa invece che dello strazio della scelta tra salute e lavoro che tutti conosciamo: illuminare questo aspetto universalizza il tema in maniera davvero efficace…

7 pensieri riguardo “Palazzina Laf

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  1. Uscire dalla dicotomia salute-lavoro, vuol dire dare la giusta dimensione a questa tragedia. Sono tarantino (di provincia) di nascita e di infanzia e di famiglia. Oramai nella mia famiglia di origine (cioè quella generata dai miei nonni, con figli, poi coniugi, figli-cugini, non quella generata soltanto dai miei genitori), siamo a due morti di cancro e due dipendenti Ilva… la matematica è astratta, solo in un paese come l’Italia, in cui si crede che la retorica sia la leva per sollevare il mondo. Se il film è stato girato nella direzione mobbing di massa, vuol dire aver fatto un piccolo passo avanti.

    1. Sinceramente speravo in più fortuna per questo film per certi versi in po’ messo in ombra dai successi di Cortellesi e di Rohrwacher: spero in una riscoperta quando ci saranno Nastri e David… e non so su quale piattaforma andrà in streaming, ma spero pubblicizzino bene anche quella distribuzione…

      1. Al netto della bellezza dei film, vogliamo mettere il topic dei topic del momento, contro il dramma di una schifata cittadina del Sud, sporca, piena di terroni che muoiono come mosche? Dai su Nick, non dirmi che ci avevi sperato? Sto scherzando ovviamente. Ti consiglio, se posso permettermi, il saggio di Leogrande, Fumo sulla città, in cui, per la prima volta, a livello pubblico, si evinse il dramma della palazzina del film (che non ho visto) e della città ostaggio del mobbing del capitalismo nazionale. Uno dei figli fortunati di questa terra, uno scrittore meno che mediocre, almeno gli rese omaggio quando vinse lo strega. Un premio che oramai detesto con tutto il mio cuore.

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