Come si diceva per Barbie, che tutto parta dal voler vendere i vestiti, cioè da Anthony Vaccarello di Yves Saint Laurent, non inficia poi il fatto che lo spot per quei vestiti sia fatto male…
anche perché Vaccarello si affida a un Almodóvar che, dopo Dolor y Gloria, sembra in stato di grazia…
Scrive un western con i classici stilemi della Grecia antica: tutto è nei dialoghi, niente si vede: tutto è evocato da duetti eschilei (il mio archetipo a riguardo è sempre The Big Country di William Wyler, 1958) che rievocano un passato e un murder mystery di cui non si vede nulla, così come nulla si vede di Edipo che si acceca o di Giocasta che si impicca (nell’Edipo re): qualcuno «ce lo racconta» a parole, ma vedere, non si vede nulla…
e Almodóvar fa uguale, costruendo tutta una trama con i dialoghi che non ci fa vedere in alcun modo…
…perché quello che si vede, il cinema, è l’emozione, il sentimento, l’Amore che quella trama innerva, causa e a cui, paradossalmente e insieme, reagisce…
la trama non vista innesca amore, sesso, affetto e anche paure e sospetti; e con quella stessa trama i personaggi costruiscono di nuovo amore, sesso e affetti reagendo alle paure e ai sospetti…
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In soli 31 minuti comprensivi anche di titoli finali, e quindi in circa 28 minuti di diegesi, Almodóvar costruisce immagini sui ricordi, sulle relazioni, e sugli animi e gli ardori psicologici e interiori che una trama produce, e non sulla trama in sé: e questo sistema di cinema è galvanizzante, efficace e coinvolgente…
non vedi ciò che accade ma ciò che si pensa e si ricorda sia accaduto in base a quanto dichiarato nei dialoghi: l’immagine di cinema non è illustrazione libresca di un testo dialogico, è qualcosa a sé, che racconta o testimonia o esprime tutt’altra cosa, certo basata sul dialogo, ma più sull’impressione di quel dialogo e non sull’argomento di quel dialogo (un concetto che a me piace spesso, e che ha le sue basi teoriche in Thomas Hardy poi applicate maggiormente al cinema dalla poetica di Robert Bresson, che tanto cercava di fare del cinema qualcosa di diverso dal teatro)
il cinema di Strange Way of Life è quindi il cinema che a me piace di più: il cinema più di idea che di romanzo, di visione più che di ragionamento, o meglio di quel ragionamento che principia dall’arte, dall’immagine, dalla pittura invece che da un concetto verbalizzato o dal movimento di un attore…
…un cinema di immagini che si muovono scatenando e insieme riflettendo ed esprimendo le emozioni…
il tutto in un filmetto fulmineo di grandi passioni, che è, nella sua piccolezza, un colossale film gay che sovrasta tutte le polemiche sorte a latere di The Power of the Dog e che va al di là, in tenerezza e concretezza, anche di Brokeback Mountain…
un colossale film che mostra la «strange way of life» nella quotidianità di un rapporto assai peculiare nella frontiera tardo-ottocentesca americana, ma non per questo meno significativo o tenero…
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Superbe le musiche di Alberto Iglesias che arrangiano in modi novecentisti (soprattutto stravinskiani e henzeiani) alcuni temi di Caetano Veloso (vero amore musicale di Almodóvar)
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Io non capisco un cacchio di moda, ma i costumi western disegnati da Vaccarello spaccano assai in quanto a cura del dettaglio
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Ho adorato le intenzioni e gli sguardi di Hawke e Pascal: davvero al top!
Molto interessante questa cura del dettaglio nei costumi. Spero di vederli presto. Grazie.
Stile western eh!
eh, ero interessato al film ma mi sembrava un po’ cortarello da vedere al cinema
ora però ne parli bene; speriamo allora che a roma ci sarà ancora un cinema che lo proietti
A Firenze, la saletta d’essai che lo proietta lo mette a prezzo ribassato
Da me no 😆
Eh, anche Human Voice (il precedente cortometraggio di Almodovar) lo dettero a prezzo pieno… :-(
Uh! Su questo non potremmo pensarla più diversamente! O.o
L’ho visto tre volte e l’ho adorato ogni volta di più!
Ne hai scritto?
Ora vado a vedere
Si, ma non ti piacerà ciò che ho scritto… :–(
Vabbè, a te non è piaciuto quello che ho scritto io!
A me piace sempre quello che scrivi te, è sempre ricco di spunti!