Asteroid City

È di quelli che mi dovrebbero piacere…

Col cinema/rappresentazione che serve per capire e capirsi, per provare compassione ed elaborare i lutti, per innescare emozioni sane e liberatrici…

Con il metacinema bello pimpante ed esposto, che si compiace di farci vedere tutti i gangli dell’estetica del mezzo, quando l’inquadratura è più un soprammobile lussuoso che parla di se stesso invece che narrare qualcosa…

Con le risposte che non arrivano perché conta la ricerca…

sì sì

dovrebbe piacermi

Invece m’ha sfatto le gonadi

Capiamoci:

sì, l’alieno che si mette in posa per farsi fare la foro e che inventaria l’asteroide mi ha estremamente divertito (anche per il mestiere che faccio: io inventario di continuo)

e ho molto apprezzato una, per una volta, assai misurata interpretazione di Jason Schwartzman

ma per il resto

non solo, come in French Dispatch, Anderson si trastulla col suo modellino

ma è anche così manierato da rasentare la tragedia, quando non direttamente una patetica autoparodia…

e finisce per essere, come un Cuarón, un Iñárritu, un del Toro (il citare la trinità messicana di Hollywood è un puro caso), uno Snyder qualsiasi: uno che non solo si masturba da solo coi modellini, ma che è anche convintissimo che così facendo stia a lì creare il miglior cinema mai visto (la calligrafia delle immagini nelle immagini è proprio da persona che si loda e s’imbroda), che davvero così veicoli qualche cosa oltre alla sua personale tecnica…

ma non è così…

perché utilizzare un bulldozer per prendere la tazzina del caffè nella credenza (così sono le inquadrature auto-spompinanti di Asteroid City), e poi esultare come un piccione giocatore di scacchi per essere riuscito a prenderla senza rompere niente, non rende nessuno un genio, ma solo uno sfigato che anela attenzione e che per ottenerla fa sciocchezze estreme (esattamente come i bambini genialoidi del film)

la strapotenza delle inquadrature, e l’ipertrofia inutile dei personaggi e delle drammaturgie (del tutto tempo perso sono i cowboys canterini, Matt Dillon, Margot Robbie, Willem Dafoe, la scena di Johansson sul treno, la storiella deficiente di Jeffrey Wright, Maya Hawke, lo stesso Bryan Cranston), nasconde un lavoro da giocoliere del tutto fine a se stesso, che ti fa sembrare di stare a vedere uno che fa uno sport estremo da solo per divertimento personale, o un giocoliere che fa volare 1000 birilli: sono cose che fa per lui, non per te che lo guardi…

e se fosse così, se fosse quindi dalle parti di von Trier, vabbé, almeno ci sarebbe qualcosa da comprendere, ma invece, in Asteroid City, la mia tanto adorata metafora del comprendersi attraverso il cinema (vedi anche A Haunting in Venice), non va in nessun posto se non nel banalissimo, nel triviale, perfino nel quaquaraquismo, tra Sorrentino e Paul Auster: cioè in quell’aspetto della vita che si conosce tutti e che tutti si sa e sperimenta, che nel film viene gigantizzato in una supposta maniera geniale anche se è una cosa del tutto ovvia…

lo dico sempre: la trasfigurazione del banale della Pop Art, negli anni ’50 e ’60, era una critica alla banalità dell’arte, non una sua conferma… Anderson invece sembra aver capito che la eterna replicazione sciatta, ma confezionata da nerd e geek, del cagotto mattiniero, cioè di una cosa che affligge il 90% degli occidentali, renda quel cagotto della splendida arte che risveglia i popoli invece di semplice merda…
ma invece no: la merda rimane merda: è solo un’ovvietà, una scoperta dell’acqua calda, una cretinata impacchettata coi brillanti che sempre cretinata è…

come in French Dispatch si stava chissà quanto ad auto-pompinarsi per poi dire «eh, ma i gay si dovrebbero sposare», e cioè una cosa ovvia, in Asteroid City si sta ore e ore a menarla sulla metafora di rappresentazione e teatro, tra Antonioni e Stanislavskij, solo per dire che le emozioni vanno comunicate perché sennò in un mondo inconoscibile si sta male: e grazie al cazzo!
per dire questo bastavano 4 secondi di corto a inquadratura fissa invece di 104 minuti di masturbazione del regista…

e la cosa è così evidente che, infatti, negli unici dialoghi che esprimono il concetto, cioè quelli tra Schwartzman e Hanks vicino all’auto e tra Schwartzman e Robbie sui terrazzi, la superfetazione visiva si arrende e si rimpicciolisce in scolasticissimi campi/controcampi: e se quelli tra Schwartzman e Robbie sono frontali, a scimmiottare pessimamente Kubrick e Ozu, quelli tra Schwartzman e Hanks sono mediocremente hollywoodiani, diegetici quanto quelli di Andy Tennant…
per cui: tutto ‘stocazzo per nulla…

Ma la cosa veramente odiosa è che i film metacinematografici fatti per capirsi autorappresentandosi col cinema, con un cinema bello tracimante di metafora del tutto al servizio del concetto, senza un’ombra di compiacimento (tipo Almodóvar, Pawlikowski, Van Sant, Mike Nichols, o i veri, e non malamente imitati, Ozu, Bresson o Antonioni), spesso devono passare dalle forche caudine dei criticoni della domenica che urlano di «sentimentalismo», di «indulgenza», di «incomprensibilità»…
…mentre invece ‘ste stronzate come Asteroid City e i citati di prima (e potrei metterci anche Northman, Guadagnino o Zemeckis), allora c’è da gridare al miracolo e dar loro i premi…

io voglio morì

12 pensieri riguardo “Asteroid City

Aggiungi il tuo

  1. Io ho pensato quello che dici guardando French Dispatch, una porcheria dove Anderson copia male il suo vecchio geniale Anderson. Credo che ormai sia diventato vittima del suo stile come Tim Burton… peró non toccarmi Paul Auster hehe… beh scherzi a parte come ti dissi quando parlasti di 4 3 2 1, vale la pena leggere altro di suo prima di buttarlo nel girone delle vittime del proprio ego.

    1. Sì, sono ingiusto: dovrei linkare 4 3 2 1, ma vabbé, tu sai che, da me, quando leggi Paul Auster vale il mio pregiudizio!
      poi leggerò altri di Paul Auster, li adorerò, e dovrò rifare tutti i link e aggiustare tutte le menzioni!

      e su Burton, ahi, io confido ancora: avevo dato per spacciato Spielberg che poi invece mi ha stupito con West Side Story: ora si vedrà Burton!
      già andrò a vedere la mostra a Torino per immergermi nella sua “artistry” (si dice così?) di un tempo

      1. Io ho smesso di guardare film di Tim Burton dopo il vampiro Johnny Deep e Alice, ho trovato guardabile Wednesday… ma altri suoi film recenti (e decenti) da guardare ce ne sono?

      2. Ah, io sono di parte (ho fatto ben 6 puntate di “special” cronachistico su di lui!): ho sopportato perfino Dumbo!

    1. La “maniera” rovina, e rovina l’aver detto tutto quello che avevi da dire in gioventù: poi uno diventa grande ma dice sempre le stesse cose di quando aveva 25 anni: alla fine fa quasi pena

  2. È un po’ un esercizio di stile fine a sé stesso… Alcune battute, scene e idee sono carine, ma alla fine non mi ha coinvolto. Peccato, a me piace l’idea di base degli sconosciuti costretti a stare a contatto, conoscersi e superare ostacoli.

Scrivi una risposta a Aussie Mazz Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Blog su WordPress.com.

Su ↑