La «Turandot» di Pappano in disco

Dopo Aida (febbraio 2015) e Otello (24 luglio-6 giugno 2019) di Verdi, Antonio Pappano, Jonas Kaufmann e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia registrano nella Sala Santa Cecilia del Parco della Musica di Roma (dal 28 febbraio all’8 marzo 2022), la Turandot di Puccini…

Aida e Turandot battono bandiera Warner (etichetta di Pappano), mentre l’Otello fu inciso sotto l’egida della Sony (etichetta di Kaufmann)… Aida e Turandot sono anche testi che Pappano ha affrontato per la prima volta in studio senza mai averli letti dal vivo in un teatro…

Tutte e tre queste release in CD e in Digital Download sono state supportate da massicce campagne pubblicitarie… su Otello ha un po’ gravato il lockdown e la pandemia, ma sulle altre la promozione è stata feroce, e si instradava su una consuetudine discografica che Pappano inaugurò subito appena arrivato a Santa Cecilia, con la EMI prima e con la Warner poi:
nel 2005-2006 incisero le sinfonie e pezzi orchestrali di Čajkovskij,
nel 2008 la Madama Butterfly di Puccini con Angela Gheorghiu e Jonas Kaufmann,
nel 2009 il Requiem di Verdi,
nel 2010 (a luglio) lo Stabat Mater di Rossini,
a fine 2010 il Guillaume Tell di Rossini,
nel 2011-2012 il concerto per violoncello e la sinfonia Dal nuovo mondo di Dvořák,
nel 2013 il War Requiem di Britten,
nel 2014 le ouvertures di Rossini,
nel 2014-2015, Brahms e Bartók con Janine Jansen,
nel 2015 il concerto pianistico di Schumann con Jan Lisiecki,
ancora nel 2015 (a luglio) il concerto pianistico di Čajkovskij con Beatrice Rana,
nel 2016 la sinfonia d’organo di Saint-Saëns,
nel 2018 le sinfonie di Leonard Bernstein…
…ecc. ecc. ecc…

Nonostante i tanti dischi fatti, anche in studio, da più di 10 anni, quando nel 2015 Pappano e Kaufmann vollero incidere Aida, la Warner pubblicizzò la cosa come nuova e inaudita, perché il CD, dal 1999-2000, era in crisi e la foga “incisoria” di Pappano era una sorta di eccezione…

la parabola dell’opera in disco, e di quell’Aida, le abbiamo già velatamente viste quando abbiamo ascoltato l’Otello, il secondo capitolo di quest’avventura Pappano/Kaufmann…

E Turandot, terzo episodio del sodalizio, potrebbe essere l’ultimo poiché Pappano ha lasciato la direzione di Santa Cecilia a Daniel Harding: un’eredità vistosa, dato che, proprio a fine mandato, Pappano ha ottenuto perfino che l’orchestra vada ad animare il Festival di Pasqua di Salisburgo, ruolo in passato ricoperto dai Berliner Philharmoniker e dalla Staatskapelle Dresden…

Come per Aida e Otello, la sicumera di stare incidendo quelle opere «come mai nessuno prima d’ora» lascia il tempo che trova…

Turandot è stata incisa in studio moltissime volte, una più famosa dell’altra…

in una breve elencazione spiccano:

  • Alberto Erede con Del Monaco, Borkh e Tebaldi nel 1955, proprio con Santa Cecilia (Decca);
  • Tullio Serafin alla Scala, con Fernandi, Callas e Schwarzkopf, 1957 (EMI);
  • il film RAI di Mario Lanfranchi del 1958: Fernando Previtali dirigeva l’orchestra di Milano con Corelli, Udovich e Mattioli;
  • Erich Leinsdorf con Björling, Nilsson e Tebaldi all’Opera di Roma nel 1959 (RCA);
  • Francesco Molinari-Pradelli con Corelli, Nilsson e Scotto ancora all’Opera di Roma nel 1965 (EMI) [è il «Nessun dorma» che si sente nei Killing Fields di Roland Joffé, ’84];
  • il film RAI di Margarete Wallmann del 1969: Georges Prêtre dirigeva l’orchestra di Torino con Cecchele, Nilsson e Tucci;
  • la famosissima lettura di Zubin Mehta con la London Philharmonic, Pavarotti, Sutherland e Caballé del 1972 (Decca), vedi i 10 album;
  • il diffusissimo disco di Alain Lombard con la Philharmonique de Strasbourg, Carreras, Caballé e Freni del 1977 (EMI);
  • la celebratissima incisione di Herbert von Karajan con i Wiener Philharmoniker, Domingo, Ricciarelli e Hendricks del 1981 (DGG);
  • la non brutta edizione di Roberto Abbado con il Münchner Rundfunk, Heppner, Marton e Price del 1992 (RCA);
  • il video di Hugo Käch dalla Città Proibita di Pechino con lo spettacolo di Zhang Yimou del 1998: Zubin Mehta dirigeva il Maggio Musicale Fiorentino con Larin, Casolla e Frittoli (RCA);
  • la curiosa esecuzione in inglese di David Parry con la Philharmonia, O’Neill, Eaglen e Plazas (Chandos)

e sono innumerevoli le versioni che si possono vedere in giro, specie su YouTube:

  • l’audio di Georg Solti con il Westdeutscher Rundfunk di Colonia, cantato in tedesco nel 1956, con Hopf, Goltz e Stich-Randall;
  • il video (di Pierre Desfons) dello spettacolo di Margarete Wallmann dall’Opéra de Paris del 1981: Seiji Ozawa dirigeva Giacomini, Caballé e Mitchell;
  • lo spettacolo di Harold Prince (video di Rodney Greenberg) alla Wiener Staatsper del 1983: Lorin Maazel dirigeva Carreras, Marton e Ricciarelli;
  • lo spettacolo di Franco Zeffirelli alla Scala del 1983: Lorin Maazel dirigeva Domingo, Dimitrova e Ricciarelli;
  • lo spettacolo di Zeffirelli è poi andato
    • al MET di New York, ripreso da quello della Scala dell”83, immortalato più volte in TV:
      • da Kirk Browning nel 1988: James Levine dirigeva Domingo, Marton e Mitchell;
      • da Gary Halvorson nel 2009: Andris Nelsons dirigeva Giordani, Gulegina e Poplavskaja;
      • ancora da Halvorson nel 2019: Yannick Nézet-Séguin dirigeva Ejvazov, Goerke e Buratto;
    • all’Arena di Verona:
      • è rimasto un video di Andy Sommer per Mezzo del 2010: Giuliano Carella dirigeva Licitra, Gulegina, Iveri;
  • lo spettacolo di Jean-Pierre Ponnelle per la Bayerische Staatsoper del 1987: Giuseppe Patanè dirigeva Bartolini, Dimitrova e Freni;
  • lo spettacolo di Hugo de Ana per il Comunale di Bologna del 1997: Daniele Gatti dirigeva Martinucci, Eaglen e Norberg-Schulz;
  • lo spettacolo di Keita Asari per La Scala del 2001: Georges Pêtre (al posto di un appena defunto Giuseppe Sinopoli) dirigeva Martinucci, Marc e Gallardo-Domâs; Pierre Cavassilas ha fatto il video per la RAI;
  • lo spettacolo di David Pountney per il Festival di Salisburgo del 2002: Valerij Gergiev dirigeva i Wiener Philharmoniker con Botha, Schnaut e Gallardo-Domâs: il video lo diresse il vecchio Brian Large: show che rappresentava il finale di Luciano Berio dopo i debutti affidati a Riccardo Chailly a Las Palmas (a gennaio: con eseguito solo il finale) e a Kent Nagano a Los Angeles (a maggio 2002: nel contesto dell’intera opera);
  • lo spettacolo di Chen Kaige per il Palau Reina Sofia di Valencia del 2008: Zubin Mehta dirigeva Berti, Gulegina e Voulgaridou; video di Tiziano Mancini per la Unitel;
  • lo spettacolo della Fura dels Baus per la Bayerische Staatsoper del 2011-2012: debuttò con Mehta ma è rimasto un video forse non professionale di una replica di Marco Armiliato a dirigere Lee, Theorin e Farnocchia;
  • lo spettacolo di Nikolaus Lehnhoff alla Scala del 2015: Riccardo Chailly dirigeva ancora il finale di Berio con Antonenko, Stemme e Agresta; Patrizia Carmine ha ripreso per la RAI;
  • lo spettacolo di Denis Krief alle Terme di Caracalla del 2015: Juraj Valčuha scelse di fermarsi là dove si era fermato Puccini alle parole «Liù poesia» mentre dirigeva de León, Theorin e Katzavara: esiste un ottimo video di Nicola Calocero e Jerry Saltalamacchia;
  • lo spettacolo di Stefano Poda per il Regio di Torino del 2018: Gianandrea Noseda dirigeva de León, Lokar e Grimaldi; Tiziano Mancini ha ripreso per Mezzo; anche Poda e Noseda non hanno eseguito alcun finale di altri compositori…
  • lo spettacolo di Ricci & Forte per lo Sferisterio di Macerata del 2017 è stato ripreso nel 2018 a Zagabria: Marcello Mottadelli dirigeva Zulian, Lokar e Fijačko Kobić: il video è stato per un po’ disponibile su OperaVision;
  • lo spettacolo di Fabio Cherstich per il Teatro Massimo di Palermo del 2019: Gabriele Ferro dirigeva Jagde, Mel’ničenko e Sepe; video di Antonio Di Giovanni per lo streaming del teatro;
  • lo spettacolo di Bob Wilson per il Real de Madrid del 2019: Nicola Luisotti dirigeva Kunde, Theorin e Auyanet; video di Andy Sommer;
  • il fantascientifico spettacolo di Franc Aleu per il Liceu di Barcellona del 2019: Josep Pons dirigeva de León, Theorin e Jaho…

e si potrebbe continuare: il non più aggiornato database CLOR elenca 122 edizioni di Turandot

Pappano cerca di farsi largo in questa maestosa concorrenza incidendo per la prima volta in assoluto il finale completo che Franco Alfano scrisse su incarico di Ricordi nel 1925…
finale che una commissione, affidata dalla stessa Ricordi ad Arturo Toscanini e molti altri, tagliò assai, di più di 100 battute…
e i motivi dei tagli erano tanti: molti, non solo Toscanini, avevano sentito Puccini, negli ultimi giorni, suonare al pianoforte l’ultimo duettone di Turandot e tutti se lo ricordavano breve, taluni si ricordavano anche che finiva in pianissimo, come quello di Fanciulla del West (1910)… [vedi ancora la disamina dello show di Ricci & Forte]

essendo gli autografi degli abbozzi del finale un vero rompicapo per gli studiosi, visto anche che Puccini aveva una calligrafia che non capiva proprio nessuno, forse solo le sue sorelle (le idee musicali ben definite, come «mio fiore mattutino», «che è mai di me», il ritorno di «nessun dorma» sono chiare, e sono state tutte incorporate sia da Alfano sia da Berio: gli altri accenni ai «monti» e «poi Tristano» sono rimasti inintelligibili: solo io penso che i «monti» si riferiscano al tema Mo-Li-Hua, cantato per la prima volta da ragazzini dopo l’invocazione alla luna e al boia nel primo atto con un testo che parla proprio dei «monti dell’est», e che poi si presenta così tante volte nell’opera da risultare anche stanco nel terzo atto, subito prima della morte di Liù: e che si ripresentasse anche nel finalissimo, data la sua “onnipresenza” ogni volta che viene chiamata in causa Turandot, non lo trovo per nulla improbabile: ma è opinione personale; per «Tristano» non sono poche le interpretazioni che lo voglio un cenno alla ripresa del finale I, assai costruito sul tema del mare del Tristan, ben evidente nelle parole «ho troppo sofferto» di Calaf, e che, in ottica di coerenza motivica tipica di Puccini, non stonerebbe per niente se ripreso alla fine dell’opera), preferire una versione di altro autore rispetto a un’altra mi sembra assurdo…

e da molti anni apprezzo assai coloro che, come Valčuha e Noseda, decidono di stoppare l’esecuzione alle parole «Liù poesia»…

ovvio è che, come semplice documentazione di un fatto musicale (il finale integro di Alfano), l’operazione di Pappano è meritoria, e lo sarebbe anche se fosse semplice specchietto per le allodole per semplici curiosi (come è stato fare Tosca alla Scala nella scrittura della prima esecuzione romana invece di farla come Puccini scelse di pubblicarla; o come è incidere pezzi scritti per pianoforte nel primo ottocento con strumenti coevi, così solo per sentire come suonano: è roba da Wunderkammer, da collezionisti, di quelli che collezionano i francobolli, o le copie fallate in libreria, quelle magari con una pagina stampata al contrario: superbello, ma anche super-inutile una volta sfogato l’istinto ipofisario del curioso e del peculiare)…

io che dei finali turandottiani di chi che sia me ne sono sempre sbattuto le balle, e che ho a noia da sempre l’autenticismo

DIGRESSIONE: sono così fidente nell’idea di opera come opera collettiva che, fino a prova contraria, non ho alcuna intenzione di considerare quanto i compositori abbiano concordato con esecutori o editori come inferiore rispetto a quanto abbiano scritto da soli alla scrivania: se i compositori si sono resi conto che ciò che alla scrivania funzionava in sala da concerto o in teatro funzionava meno, allora non vedo perché voler per forza eseguire ciò che “non funzionava” e che oggi, dopo secoli, noi ritroviamo nel cestino accanto alla scrivania!; e che i compositori si siano resi conto del non funzionamento grazie ad altri professionisti, perché dovrebbe essere un male per l’arte? forse butteremmo giù un edificio ingegneristicamente solido solo perché l’architetto, nel suo progetto, lo voleva in un altro modo? e se poi l’edificio non sta in piedi? i consigli dell’ingegnere di cantiere hanno deturpato l’idea primigenia dell’artista-architetto anche se hanno permesso al suo edificio di esistere invece di restare semplice disegno sul tecnigrafo? ovvio che sul tecnigrafo stava in piedi, ma poi è stato grazie all’ingegnere che è stato in piedi anche “nel mondo”: i consigli dell’ingegnere li dovrei buttare nel cesso per autenticismo? io dico di no: ma in musica spesso lo si fa: se l’idea viene dall’editore invece che dal compositore è considerata cacca e non capisco perché… in special modo con Puccini, che la quadra da solo non credo l’abbia mai trovata: senza Giulio Ricordi Manon Lescaut non ci sarebbe stata; senza Illica e Giacosa non avrebbero preso forma Bohème e Tosca; Butterfly ha trovato il successo solo grazie ad Albert Carré [vedi gli studi di Michela Niccolai in proposito]; Rondine ha tre finali proprio perché Puccini, da solo, la quadra non la trovava!: FINE DIGRESSIONE


…a me, dicevo, del finale di Alfano non me ne potrebbe fregare di meno…

per cui, cosa mi rimane di questa incisione…?

mi rimane la sensazione, come nell’Aida pappanosa (e un po’ meno in Otello per il quale, in ogni caso, riascoltato a freddo, non avrei le parole così benevole con cui lo ho accolto nel 2020), di stare sentendo una prova musicale di artisti che guardano Turandot come una meraviglia, come una bizzarria musicale, un rompicapo peculiare da risolvere: appunto come qualcosa di curioso, come il finale completo di Alfano…

come nell’Aida, la gestione del suono è fragorosa ma spesso molto smussata nei timbri meno centrati: gong e percussioni si sentono, ma non come li fa sentire, che ne so, Mehta…
forse li si intendono come li aveva intesi Karajan, cioè come gloriosa e corpulenta massa sonora da valorizzare preziosamente come fatto musicale in sé per sé e non come mezzo per raccontare una storia archetipico-fiabesca…

e forse è questo aspetto che meno mi ha sconfinferato di questa incisione…
…un’incisione che è virtuosistica e portentosa per suono e resa orchestrale quanto del tutto priva di passo narrativo, di partecipazione diegetica, di efficacia attiva…

un passo che Pappano aveva forse trovato nell’Otello, ma che in Turandot, come in Aida, torna a perdere…

nelle sue dichiarazioni nel booklet (in inglese, tedesco e francese), Pappano ammette candidamente che fino a questo disco Turandot non gli piaceva: la trovava gretta nella trama e del tutto manchevole rispetto alle altre prove di Puccini, e per questo non l’aveva mai affrontata…

in studio la affronta trovandoci un poema sinfonico, che lui interpreta quasi come fosse Mahler…
la cosa non è male, e regala molti momenti interessanti, ma tramortisce per noia e per mancanza di tensione…

e anche se i tempi sono più spediti rispetto all’altra famosa Turandot sinfonica di Karajan dell”81, il risultato è comunque “ectoplasmico” come lo era Karajan: tanto bello e lussureggiante quanto diafano, oppure meticolosamente calcolato, così tanto che, ascoltando, ti immagini il cablaggio dei microfoni nella Sala Santa Cecilia invece che la Cina fiabesca…

è un disco in cui senti lo studio, senti l’artificio della costruzione acustica del suono invece che il fluire di un’opera magica

e la cosa è paradossale poiché i dischi più emozionanti, in passato, sono stati proprio quelli che hanno usato tutti gli artifici possibili per fare finta di essere a teatro e non in studio!

Pappano rovescia questa Weltanschauung e fa di tutto perché non ci si senta a teatro ma in studio con lui, a Santa Cecilia…

potrei dire che sembra il disco di una esecuzione in forma di concerto se non ci fossero esempi illustri a ricordarmi che anche i live collected in forma di concerto sono stati spesso grandiosi di emozione (due potentissimi li ha fatti proprio Santa Cecilia: La Bohème di Bernstein dell”87 [ne esiste anche un video della RAI di Elena Porpora de’ Medici] e lo stesso Tell di Pappano del 2010)…

per cui dico che è un disco che si compiace di essere disco…

quasi il disco di un disco

e per gli audiofili, per quelli che non si muovono senza cuffie Sennheiser a 380€, sarà una libidine…

per chi cerca un’opera, bah, forse sarà un bell’ascolto, senza dubbio non tempo buttato via, ma forse difficilmente ricordabile considerando il ben di dio su elencato con cui è in concorrenza…

come successo con Aida, Kaufmann trabocca: arriva facile agli acuti, ok, ma fa un Calaf che sembra vecchio: è spesso pomposo, pesante, stentoreo: è davvero Lohengrin che fa finta di essere Calaf…

più vecchia ancora sembra Sondra Radvanovsky: non le manca l’agilità per affrontare le impervie undicesime di Turandot, ma il suo timbro è così marmoreo che sembra non farcela anche quando ce la fa: paradossale…
nel secondo atto, sentirla piangere come un’adolescente con quel timbro da matrona è quasi ridicolo…

Ermonela Jaho, l’unica al sicuro di una ben consolidata esperienza teatrale nel ruolo, è quella che ha fatto meglio…

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