L’ho detto e ripetuto mille volte che i film Marvel sono tutti uguali…
e tutti portano avanti una metafora della Seconda Guerra Mondiale:
si usa l’arma potentona, che potrebbe distruggere il mondo, o no?
si fa i conti con il male inspiegabile combattendolo senza quartiere con la guerra…
senza la guerra “santa” il mondo è in pericolo…
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I fratelli Russo, che hanno diretto tanti terribili film Marvel, producono questo Everything Everywhere All at Once, che, come lo Spiderman: Homecoming (o come, mi dicono, Deadpool, che però non ho mai visto neppure da lontano), vorrebbe avere sapori parodici, della Marvel e della master-metafora Marvel…
e come filmetto comico, Everything Everywhere All at Once non funziona male…
solo che, come tutta la roba Marvel o pseudo-Marvel (e questo Everything Everywhere All at Once non è Marvel, ma è così Marvel da essere più Marvel dei Marvel), prende la master-metafora Marvel come qualcosa di serio, di importante, che non può essere oggetto di vera parodia…
È la Seconda Guerra Mondiale, cribbio: non ci si può ridere per davvero!
Il contorno del film potrà anche essere assurdo, ma l’anima, il cuore da WW2, deve essere “grosso”, deve avere «tutti i sentimenti» da WW2… [stesso problema s’era visto in Thor: Love and Thunder]
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Ne esce fuori un film che, come sempre, trabocca in più di 2h e 30′ di tempi lunghi e combattimenti eterni, e corrobora la solita sbobba sul rapporto tra gli americani bombaroli atomici e un Hitler depressoide…
Cioè:
Hitler è la depressione fulminante e nichilista: vorrebbe che tutto morisse: è la cultura della morte nazista…
gli Americani, come sempre in Marvel, concludono che Hitler va annientato con la guerra e la bomba atomica…
però poi gli Americani constatano che con la guerra e l’atomica si realizza proprio la cultura della morta voluta da Hitler!
e allora si mettono a riflettere…
e vedono che Hitler è solo un povero malato, appunto depresso, e, colpo di scena, è perfino figlio degli americani, di fondo fasci (la religione capitalista e il conservatorismo sono comuni a Hitler e americani)…
ma se è figlio allora la guerra e l’atomica non vanno usate, perché occorre colpire la depressione intrinseca più che la persona…
e la depressione intrinseca la si combatte con la gentilezza, l’ottimismo, il supporto e gli abbracci, e magari comprendendo che il conservatorismo va un po’ mediato, edulcorato: cioè la depressione, che è personale e anche sociale, si combatte con la socialdemocrazia…
cioè Hitler si combatte con la socialdemocrazia e con gli abbracci!
cioè Hitler, o un figlio triste, lo si riacchiappa con la socialdemocrazia aperta ai diritti, e con gli abbracci…
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Everything Everywhere All at Once dice questo…
dice questo in 160 minuti di mirabolante showing in cui si sfoggiano grandi talenti costruttivi (scenografia e costumi sono eccellenti) e tecnici (il montaggio è splendido e la fotografia è geniale e inventiva), si usano ottimi attori davvero bravini (però, a mio avviso, sono state un po’ esagerate le tante candidature: io non l’avrei data né a Yeoh né a Jamie Lee Curtis, per esempio, pur riconoscendo il loro buon lavoro), e si apprezza un generale tono scanzonato e canzonatorio…
e si può essere certamente d’accordo con il peana socialdemocratico di fondo, soprattutto quando così bene aperto ai diritti e agli abbracci…
…ma le persone un pochino più ciniche, o anche chi ha un’età mentale superiore ai 15 anni, rimarranno un pochino perplesse di vedere spesi così tanti soldi in una metaforona di guerra alla depressione che si compiace del suo montaggio esibito, e si balocca entusiasta della sua ricercata ed esagerata confusione assurda…
…una confusione voluta e rincorsa, deliberata e intenzionale, che, evidentemente secondo i registi, dovrebbe contribuire all’aspetto parodico dell’operazione…
cioè Everything Everywhere All at Once è un film che concepisce il divertente nella più spensierata assurdità…
…e ricerca e ottiene quell’assurdità con l’impegno e la devozione che altri metterebbero nel realismo…
…finisce che Everything Everywhere All at Once somiglia a una canzone di Elio e le Storie Tese in stile Parco Sempione: un velato e forse lontano tema sociale comunicato con gusto dell’assurdità che suscita risata, ma nel contempo è lavorato con una tecnica che è sopraffina…
il famoso «fare le cose sceme con lo stesso impegno e la stessa professionalità di quando si fanno le cose serie»…
non è una cosa disdicevole…
anche perché, per un ragazzino, magari, Everything Everywhere All at Once rappresenta una visione metaforica forse più ben messa rispetto all’ispirativa Marvel…
…per chi la Marvel sta sulle palle, beh, Everything Everywhere All at Once rappresenta solo un microscopico gradino di carineria in più, e null’altro…
anche perché, per i cinici (dicevo), la lotta alla depressione fatta in questo modo, pur riconoscendo essere mediamente più nutriente rispetto ad altra merda sull’argomento che s’è vista (tipo Ben is back ecc.), sarà sì apprezzabile, ma adorabile proprio no… perché nella scanzonatura generale l’equilibrio con il serio forse viene meno…
oppure è proprio quel serio che magari è mal posto in un contesto di assurdità, perché pare essere il serio il mattone da cui nasce l’assurdo, mentre forse si poteva fare tutto quanto assurdo e in mezzo lasciarci cadere il serio come per caso…
per capirsi: si poteva concepire la parodia con solo due o tre scene serie nascenti quasi dalla schiuma del faceto (il sistema dei Monty Python, per esempio), invece che scovare un serio e comunicarlo col faceto…
ma questo è gusto…
…e difatti io entro nel gusto nel dire che questi filmetti a me non piacciono mai… poiché si sta parlando di 2h 30′ di assurdità, tantissime delle quali del tutto gratuite (i mondi creati sono troooooooooooooooooppi: che ppppppallllle!)…
ma due risate te le strappa di sicuro,
e il lavoro svolto è davvero mirabile…
sicché, boh…
nella schedina del Tototcalcio è una X…
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Molte le derivazioni dall’immaginario del Michel Gondry più sognante (La Science des rêves, 2006; L’écume des jours/Mood Indigo, 2013 [anche quello era assurdo, ma parlava di tumori], Is the Man Who Is Tall Happy?, 2013) e del costruttivismo anarcoide e svagato della Hitchhiker’s Guide to the Galaxy (il film di Garth Jennings, 2005)…
…ma molti anche i difetti comuni a quel decotto che fu Cloud Atlas dei Wachowski con Tykwer (2012): l’esagerata durata, i personaggi inutilmente “moltiplicati”, lo scambiare il mezzo (le scazzottate varie ed eventuali) per il fine (la metafora vera e propria)…
al 99% lo vado a vedere al cinema domani^^
per pura casualità, io avevo già deciso, la prof di inglese si è sognata che dobbiamo vederlo per forza entro mercoledì perke ne parleremo in classe – quella è scema