«Niente di vero» di Veronica Raimo

Se la regola della letteratura italiana contemporanea rimane «mi raccomando, non scrivere niente di cui tu non conosca tutto: ne consegue che l’unica cosa di cui puoi scrivere è te stesso, perché tu sei l’unica cosa che conosci», allora saremo sempre tutti costretti a leggere queste cacchiatelle di libri che non sanno di un accidente…

Niente di vero si legge in 3 orette… 3 orette di vuoto cosmico sulla regola detta prima…

Raimo cerca di buttarla in «metaracconto», ammettendo che lei ha difficoltà a seguire la regola perché lei stessa “si conosce poco”…
ma intanto la sua vita insulsa ce la racconta tutta…
nel solito florilegio, comune a tutti gli scrittori consimili (vedi, per esempio, Caminito, che almeno scrive ricercato), di

  • famiglie pazzarelle ma simpatichelle che ti condizionano in una vita che a te sembra pazzerella e simpatichella;
  • ammissioni che la tua vita, nonostante la famiglia peculiare, tu ammetti essere banale e uguale a mille altre…
    e allora tu, con deliberati e crudeli atti insensati, cerchi di renderla “straordinaria” solo per avere qualcosa da scrivere…
    cioè: hai una vita smorta, ma sei scrittore, e allora, come in quei film in cui si vede l’attore cretino che si droga per interpretare il drogato (vedi quella cagata di La vita che vorrei di Giuseppe Piccioni, 2004), ti inventi il dramma così c’hai qualcosa da dire: lasci il fidanzato così a caso, così puoi dire di averlo lasciato, per esempio… oppure tradisci amici e parenti solo per descriverne gli effetti… e altre scemenze varie…
  • presunte corna del babbo alla mamma, sempre quelle; quelle che si scoprono magari dopo i fatti, grazie a lettere scovate fortuitamente…
  • alla fine però constatazione che, nonostante le azioni scriteriate per fare fatti da scrivere, decidi che invece è più figo dire che la tua vita banale è “speciale” proprio perché è banale, sperando nella trasfigurazione del banale (il libro di filosofia dell’arte moderna di Arthur Danto) per salvare la baracca…

Ne esce fuori un libro che è una sorta di Grande Fratello

Quando il Grande Fratello uscì, più di 20 anni fa, la TV si popolò di gente che non sapeva fare un cacchio di niente e aveva un livello di scolarizzazione pari allo zero…
Taricone (che poveraccio è anche morto), Salvo, Fedro, Floriana, Pasquale, Vittoria, Jonathan, Patrick, Serena, Katia, Ascanio e tutti gli altri che, poverini, hanno partecipato, stavano lì, davanti alla telecamere, a ribadire l’ovvio di scopacchiare, di parlare del nulla, di parlottare di luoghi comuni tediosi, di ammorbarsi i coglioni con frasette fatte depauperate di qualsiasi senso…

e avevano però l’orgoglio di dire «siamo noi quelli *veri*, noi che non sappiamo un cacchio e lo spiattelliamo in diretta TV, ignorando che già il nostro essere ripresi costituisce una “costruzione” che contraddice la nostra pretesa di verità»

e in questo orgoglio si crogiolavano e beavano, appunto godendo della trasfigurazione del banale: diventavano opinionisti de ‘stocazzo da Costanzo, gli venivano chiesti pareri perfino sull’energia nucleare, su questioni etiche, sulla mafia, ecc. ecc. a cui rispondevano con le solite frasette da scolarizzazione zero, del tipo: «sul nucleare non so nulla ma so che le pale eoliche rovinano il paesaggio», oppure «la mafia è orrenda ma le spiagge di Taormina sono stupende» e altre menate…

e, con la stigmatizzazione di Ron Howard in EDtv (di quasi 25 anni fa), «prima si diventava famosi perché si era speciali, oggi siamo speciali perché siamo famosi»

e se qualcuno si azzardava a dire: «ma vi rendete conto che dite cose banali, idiote, basilari e inutili?»
loro rispondevano: «eh, ma io che vi devo dire? io sono così, non so nulla, che posso dirvi di più se non il nulla che rappresento?»
e la gente applaudiva, incantata da questa sentenza che dava l’illusione dell’autenticità… e che faceva concludere: «meglio la merda che è sincera nell’autoproclamarsi merda rispetto a chi si autoproclama cioccolata ma invece è merda!»

un modo che non solo faceva trasfigurare il banale, ma lo glorificava!
e lo “glorificava” proprio in un contesto, ancora la TV, preparato e ingegnerizzato apposta per glorificarlo!
come chi dice «eh, ma io sono vero!» mentre sta facendo una storia su Instagram col filtro!

Veronica Raimo fa uguale a come facevano Salvo, Taricone, Patrick e Floriana 20 anni fa…

  • Dice lei stessa di non aver fatto un cacchio nella vita, e che i suoi “meriti” nascono da menzogne…
  • Dice lei stessa che i suoi genitori erano dei dementi, ma che grazie alla loro demenza è riuscita a mantenersi il “nulla” che è, così da poter scrivere per glorificare, in stile Patrick del GF, quel “nulla”…
  • Dice lei stessa di aver provato a impepare la sua vita lasciando fidanzati a caso… e la cosa ha portato solo alla riflessione sull’obbrobrio del cimitero dei feti a Roma: una riflessione sacrosanta ma che arriva quasi de abrupto in un libro come questo… ti viene da chiederti «parli di questo tema perché ci credi o lo hai buttato nel mucchio per fare numero di pagine?»
  • Dice lei stessa di essere una abulica rompicazzo, buona a nulla, indolente e infingarda: però lei è così, e così è autentica… esattamente come un GF qualsiasi…
  • Dice lei stessa di usare la sua famiglia e i suoi ricordi per scopi ilari, e dice lei stessa che quei ricordi sono finti, costruiti da lei apposta!
    Cioè, esattamente come un GF, Raimo confessa di essersi FINTA autentica apposta: falsificando ricordi, fatti, familiari, amici, inettitudini e incompetenze apposta per sembrare scema, indolente e buona a nulla, così da cavalcare l’andazzo gieffino della trasfigurazione del banale

Cioè, Niente di vero (che potrebbe anche essere Niente di Vero) è una che dice: «faccio finta di essere una cretina perché la cretineria vende, e quindi faccio un libro divertente con i familiari ghiozzi: e poi metanarrativamente confesso di aver fatto così onde spacciarmi per sincera!»

è come qualcuno che si professa schietto così tanto da mentire la sua stessa schiettezza

di quelli che ti svezzano a bugie per poi dirti «ma dai, quelle bugie erano innocenti e divertenti»

esattamente come un GF, un talent, un incontro di wrestling: è tutto finto, lo sai, ma ti ci diverti perché la finzione è fatta apposta per farti percepire che la finzione non c’è…

Quando queste cose succedono al cinema, io sono contento, i film mi piacciono…

ma spesso il cinema, con la metafinzione raggiunge la filosofia dell’essere, e appunto del conoscersi…

in questo Niente di vero, invece, c’è solo una attestazione di presa in giro…

una pazzoide banale e infingarda di natura che è convinta di “migliorarsi” NON semplicemente essendo banale e infingarda di natura, ma FACENDO FINTA di essere banale e infingarda…
e siccome ha fatto finta di essere quello che è, invece che semplicemente esserlo, deve essere salutata come un genio di autenticità e schiettezza…

mah

Quando questi giochini li faceva Oscar Wilde (in The Importance of Being Earnest) almeno rifletteva sulla natura caduca della “verità”, aggiungendo la componente inconsapevole (Jack non sa di stare fingendo di essere se stesso)…

Raimo è consapevole a mille, e sembra non avere niente da ridire…

presenta un mondo in cui occorre perfino fingere di essere come si è, e la cosa le sta bene… perché è divertente…

come se il banale non fosse solo trasfigurato e glorificato ma perfino reso divertente

…si vede un cesso esposto e non solo lo si ritiene bello (e già era un qualcosa di molto particolare) ma lo si ritiene degno di preghiere (lo si glorifica) e motivo di risate, grasse e terapeutiche…

Io credo di non aver capito niente di Niente di vero
ma nelle 3h che mi ci sono volute per leggerlo non ho riso mai…
la protagonista mi è rimasta totalmente indifferente: non ho né fatto il tifo per lei né il contrario: mi sono solo chiesto perché stessi perdendo tempo…
il lessico era a livello di una intervista sul giornale del paesello…
alla fine, con l’ammissione della finzione di essere se stessi, mi ha confermato il tempo perduto nel leggere il libro…

tempo che non tornerà mai più

10 pensieri riguardo “«Niente di vero» di Veronica Raimo

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  1. Ma sai che l’idea di creare un dramma per poi parlarne mi piace? :)
    Mi hai fatto ridere (nel senso buono della parola), grazie,… solo una curiositá, ma come fai a conoscere i nomi di quelli del grande fratello? :D

    1. Questo libro è davvero uguale alla Straniera di Durastanti: stessi presupposti!

      L’anno di Fedro, Floriana, Pasquale e Vittoria l’ho visto quasi assiduamente…
      Anche l’anno di Patrick, Ascanio e Serena: quello forse anche di più…
      Del primo e delle altre edizioni so solo le leggende e le parodie della Gialappa’s… ma un paio di puntate di quello con Mascia e Montrucchio le ho viste… e senza vergogna: ne vedo tante di cacchiate!

  2. Gli hai dato dieci, via! X–D

    Comunque hai nominato EDtv di Ron Howard di cui sto leggendo la biografia (The Boys), devo recuperarlo! Grazie! :–)

      1. Sono a metà libro, quasi, e per ora continuano sia Ron che Clint a parlare della loro infanzia come bimbi attori televisivi, spero arrivino ad un certo punto a parlare di cose più interessanti come i lavori che hanno portato a termine e che significato abbiano per loro…

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