Pietari Inkinen viene spesso a dirigere al Maggio e da diversi anni…
il programma presentato stavolta comprendeva:
la sinfonia n. 2 di Sibelius…
La valse e la suite 2 di Daphnis et Chloé di Ravel…
Si sa tutti (vedi anche le Musiche per San Valentino) che il finale della seconda sinfonia di Sibelius è L’amour toujours di Gigi D’Agostino (un omaggio che quasi certamente è volontario), e molto evidenti sono le suggestioni che dal secondo e dal terzo movimento di questa sinfonia passano alla musica per film, a John Williams come a James Horner… evidenti anche gli stilemi di Sibelius del primo movimento, cioè certe sue cellule che torneranno più volte nei suoi pezzi futuri, in special modo nel celebre concerto per violino, composto a distanza di solo un annetto da questa sinfonia (è nelle Musiche per l’Inverno)… molte sono le interpretazioni secondo cui la sinfonia (scritta durante una vacanza-studio in Italia, a Rapallo, nel 1901, quando ancora l’Italia era meta obbligata per gli artisti) nasconda tematiche extra-musicali nazionalistiche finlandesi: interpretazioni di cui molto pubblico finlandese si è appropriato negli anni delle prime esecuzioni (la creation nel 1902 a Helsinki, e la seconda première, dopo diversi ritocchi di rodaggio live, nel 1903 a Stoccolma, anch’essa piazza di nazionalismo finnico), ma con cui Sibelius si è sempre baloccato, ogni tanto confermandole e altrettante volte smentendole…
Ubriaco depressoide, Sibelius (come Richard Strauss, solo un anno più anziano) non ha avuto la forza di contrapporsi al nazismo, anzi, in accordo con la sua Finlandia, non ha disdegnato di «dormire sotto l’ala del drago»… la sua vita alcolica, e mostruosamente infelice, è continuata fino al 1957, ed è quindi passata dalle forche caudine della rivoluzione adorniana e darmstadtiana (cenni qui), che non risparmiò nessun compositore estraneo alla dodecafonia: da quelle forche uscivano malconci anche i tonali (cioè i non dodecafonici) “di sinistra” quindi figuriamoci cosa succedeva a quelli “di destra”!
Tacciato di essere un reazionario musicale, antiquato e logoro (come successe a Rachmaninov e, per certi versi, addirittura a Britten e Šostakovič, per non parlare di Vaughan Williams e, naturalmente, di Stravinskij, vero bersaglio di Adorno), venne piano piano riscoperto proprio da certi darmstadtiani più intellettualmente lucidi (tipo Hans Rosbaud, già negli anni ’50, quando Sibelius era ancora in vita), fino a riconquistarsi il mainstream intellettuale solo dopo che Morton Feldman disse ai suoi allievi, proprio a Darmstadt, che «i compositori che pensate siano radicali sono in realtà conservatori, e chi pensate siano conservatori sono invece radicali!», cioè addirittura nel 1984!
ma nell”84, Sibelius aveva già da anni riconquistato il pubblico postbellico, da sempre ignaro delle remore adorniane, grazie all’interesse di tutti i grandi, da Bernstein a Karajan (oltre che degli specialisti precipuamente sibeliusiani, come Paavo Berglund, Neeme Järvi, Alexander Gibson, Vladimir Aškenazi ecc.), con una menzione speciale per Lorin Maazel, che nel ’68 registrò le sinfonie a Vienna con grande estro romantico…
oggi, la nuova generazione di specialisti (come Jukka-Pekka Saraste, Osmo Vänskä o Hannu Lintu) tende a interpretarlo in modo più asciutto rispetto al romanticismo che ancora si sente nei non compatrioti (campioni di Sibelius, oggi, sono anche Rattle, Nézet-Séguin, Mark Elder ecc.): una esattezza che lo vuole una sorta di neo-Brahms o di para-Mahler, ovvero un compositore di cui apprezzare elementi prettamente tecnici, tipo le settime di dominante distribuite tra archi e ottoni, capaci di stimolare le fantasie degli interpreti-esegeti, ma delle quali il pubblico di massa manco si accorge…
Inkinen è finlandese e guida il Maggio in una lettura tutto sommato in linea con tale nuova generazione di specialisti (di cui fa ampiamente parte, grazie ai suoi dischi di sinfonie sibeliusiane incisi in Nuova Zelanda nel 2008-’09 e in Giappone nel 2013), ma non rinuncia a grandi accensioni melodiche, dal suono cristallino ma appassionantissimo, che il Maggio garantisce con uno smalto per me sorprendente: erano anni che non sentivo gli ottoni del Maggio suonare così bene!
Gli attacchi del primo movimento erano assai sprecisi, ma nell’ultimo si è ritrovata l’esattezza…
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Nella Valse c’è sempre da stare attenti a far sentire, nel pur preponderante edonismo virtuosistico, l’oscurità della deformazione che potrebbe non essere felice ma istrionica per sconforto: non dimentichiamoci che certe ispirazioni extra-musicali del pazzo riguardano la disperazione per la Prima guerra mondiale (vedi anche le Musiche per le epidemie)…
e Inkinen è riuscito proprio a far sentire tale disperazione, pur guidando un Maggio ancora smagliante per esattezza ritmica e forza sonora…
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Daphnis et Chloé è uno di quei pezzi che imbambolano già solo nel vedere le percussioni coinvolte, le sordine impiegate, e i comparti d’orchestra coreografati come un vero balletto…
Inkinen si è beato dei frastagliati suoni di Ravel, sottolineando le parentele che quei suoni hanno con le coeve intenzioni di Stravinskij (Fokine rappresenta Daphnis et Chloé con Djagilev, e Nižinskij protagonista, un anno dopo Petruška [vedi Musiche per la Primavera]) invece di limitarsi a illustrarne le vicinanze con l’impressionismo debussiano o col compiacimento radical chic alla Roussel o alla Massenet (come esegeticamente perseverano quasi tutti gli altri interpreti famosi), ancorando quindi il ritmo al suono, al movimento e all’azione, più che a se stesso…
un risultato molto coinvolgente!
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Inkinen ritrova il Maggio dopo le cure di Daniele Gatti in forma splendida, e fa risuonare la Sala Zubin Mehta con grazia e furore, facendo risplendere tutte le intenzioni nascoste o immaginate di queste musiche non semplici, troppo spesso relegate al prosaico atletismo orchestrale…
davvero un bellissimo spettacolo!
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