Nel titolo del film l’accento sulla ‘e’ non c’è, ma tutti i repertori autorevoli lo ripristinano…
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Rispetto alle cacchiatelle fatte in questo periodo (e Maestro e Maria e Bob Dylan e altra, quale più quale meno, brodaglia), Bolero è un chicchino…
L’attore protagonista, Raphaël Personnaz, non somiglia per niente a Ravel, ma le immagini cerebrali, i veri luoghi (il Belvedere di Montfort-l’Amaury è quello vero), e la suggestione del dramma della mente è carinissimo…
Chi non sa un cavolo di Ravel trova un ottimo sistema di «dire poco, di certo non tutto, ma bene»…
per esempio:
- Dei drammi biografici di Ravel si rispettano la nota asessualità (perfino Stravinskij se ne uscì, con Robert Craft, che Ravel era sessualmente neutro), le piccole ruggini con Ida Rubinstein, e la remissività complessiva…
- Si dice, latente, del suo umorismo (anche se non va negli aneddoti più gustosi: cioè quando si divertiva a lodare quadri davanti a ignari ospiti, che partecipavano alla lode, per poi dire all’improvviso che quei quadri erano falsi, ridendo in faccia all’ospite bugerato)…
- Si tace della polemica con Toscanini sulla durata di Boléro (come si avverte nel film, Ravel aveva previsto 17 minuti, ma Toscanini impose i 15, che sono rimasti anche nella sterminata discografia, con l’esperimento di Barenboim e l’Orchestre de Paris, inciso alla Mutualité nell”81, rimasto un po’ isolato nei suoi 17′ 39”), che fu molto chiacchierata all’epoca…
- Si dice anche, ottimamente, dei dubbi di Ravel sulla sua effettiva autonomia creativa, lui sempre pronto a scrivere per altri, anche se poi riteneva le composizioni tutte sue (nel film si nomina L’enfant et les sortilèges scritta con Colette, ma non si dice che Colette avrebbe voluto dedicarla alla di lei figlia: Ravel rispose che lui non aveva una figlia e quindi non poteva dedicare la sua opera a una «mia figlia» inesistente): un dramma che Ravel ebbe per tutta la vita…
- Anche se si accenna alla sua suggestione americana per i ritmi più swing, si tace del suo fugace incontro con Gershwin: un peccato…
Per cui si guarda un film biografico sfaccettato, non perduto nell’ansia degli aneddoti, ma sinuoso nel raccontare una storia biografica complessiva, priva dei pivotal moments imposti da Hollywood (vedi Walk the Line) e che guarda all’esistenza dell’artista con una stupenda unione tra forma e contenuto, trincerando autentici drammi psichici (di certo il complesso di Edipo verso la madre, che pare sia stato assai cogente davvero) in un continuum che non sa per niente di finto, poiché la gestione della esperta regista Anne Fontaine dei flashback è supersonicissima: i flashback sono malattia invece di essere mero espediente narrativo fine a sé stesso (un modo che Nolan dovrebbe solo apprendere) e rendono il film la mente di Ravel, un suo continuo ricordo, e non una narrazione sulla sua vita fatta da un esterno: splendidone!
In questo senso, Fontaine è bravissima a giocare con le immagini mentali, e a diroccare un po’ le situazioni di gotico e polveroso, anche se la fotografia di Christophe Beaucarne rimane magari un po’ troppo generalmente pulitina… ma la cosa funziona lo stesso… e alla grande!
Nel sogno finale, con tutte le donne di Ravel che si tramutano nell’unico ballerino che finalmente balla la versione sognata del Boléro, il film si conclude davvero come si dovrebbe!
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La storiellina d’amore con Misia Sert (forse un pochino gossipparata ma efficace) ha banalotti ma non brutti commenti musicali da Ma mère l’oye (La belle au bois dormant alle 4 mani e Le jardin féerique orchestrato)…
la gestione musicale è del vecchio Bruno Coulais…
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In sintesi:
filmettino davvero caruccio che si fa mente del suo compositore, invece che documentario, testimonianza o narrazione: così facendo centra perfettamente tante tematiche effettive della sua vita e non strafa né tracima nel finto, nonostante una tutto sommato troppo garbata resa visiva, per fortuna spesso riscattata da un ottimo gusto per l’oscuro mentale…
Carinissimo!
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