È uno straclassico molto famoso (Quinto potere da noi in Italia, dove è giunto con il lussuoso doppiaggio di Mario Maldesi e le sue voci classiche di scuderia CVD, condotte come una compagnia teatrale, con primi attori, attor giovani ecc. ecc.: Massimo Foschi era William Holden, Alberto Lionello era Finch, Ada Maria Serra Zanetti era Dunaway, Luigi Vannucchi, vero e mancato pupillo di Maldesi [quasi solo Maldesi lo utilizzò al doppiaggio con una sponsorizzazione blasonata ma poco fortunata, e comunque stroncata dalla prematura morte di Vannucchi nel 1978] era Duvall, Glauco Mauri [anche lui al doppiaggio quasi solo con Maldesi] era Ned Beatty e Renato Turi era la voce narrante; il titolo italiano ha causato, col tempo, problemi di disambiguazione col film di Bill Condon su Wikileaks del 2013, The Fifth Estate, intitolato in italiano anch’esso Il quinto potere, con solo l’articolo divergente dalla pellicola di Lumet), ancora oggi tirato in ballo per la sua preveggenza…
Il cuore del film è di Paddy Chayefsky, l’unico scrittore con tre Oscar alla sceneggiatura, che, anche produttore, sovrasta Lumet nei titoli, che identificano il film proprio «Network / by Paddy Chayefsky», in forza dei suoi successi iniziati negli anni 1950s…
È di Chayefsky lo spirito iconoclasta del film e la sua denuncia di quanto i media possano sfruttare la rabbia e la coglioneria della gente senza farsi alcuno scrupolo…
e di Chayefsky è anche, totalmente, lo scavo psicologico della crisi degli affetti e dell’Amore, presente nell’arc di love story tra Dunaway e Holden…
–
Peter Finch, vecchio giornalista di una emittente minuscola newyorkese, controllata da un conglomerato multinazionale dell’industria del tempo libero (ed erano i tempi in cui la New Hollywood tutta veniva comprata da tali conglomerati, vedi la MCA che si pappa Universal, Fox acquistata da News Corporation, e Paramount inglobata da Gulf & Western), sta per essere licenziato perché il suo TG serale perde ascolti… gli restano due settimane di puntate e poi basta…
Finch scherza col direttore del TG, William Holden, di spararsi in diretta il suo ultimo giorno di lavoro…
e quasi per scherzo Finch annuncia la sua intenzione di spararsi proprio al TG, in diretta TV!
proprio quell’annuncio rende la puntata una delle più viste dell’emittente e allora la direzione accetta di far fare a Finch una nuova dichiarazione…
in essa, invece di insistere sul proprio licenziamento, Finch si mette a pontificare sull’assurdità della vita e del contratto sociale… e ottiene ancora più ascolti!
intanto, la rampante direttrice dei programmi, Faye Dunaway, ha in mente trasmissioni pulp che sfruttino i bassi istinti del pubblico e spettacolarizzino la lotta di classe degli anni di piombo americani della presidenza Ford (seguenti alle crisi petrolifere della Guerra dello Yom Kippur che impegnarono gli ultimi anni di presidenza Nixon nel ’73, vedi Licorice Pizza), perfino commissionando a una base terroristica pseudomarxista delirante le riprese video dei propri attentati!
fiutando che il qualunquismo di Finch intercetta lo zoccolo duro dei teledipendenti, Dunaway convince Duvall, amministratore del conglomerato che possiede l’emittente, a dare a Finch un programma tutto suo in prima serata in cui pontificare malamente… e ci aggiunge anche la rubrica di una chiromante che, con trance e tarocchi, predice l’andamento del mercato ai broker di Wall Street…
William Holden, vecchio, paludato ed etico giornalista televisivo, affezionato al fatto che un TG debba annunciare notizie e non dare il microfono a un povero depresso come Finch, né, tanto meno, a una ciarlatana, cerca di opporsi all’operazione, ma il capo dell’emittente è sicuro che la prima serata di Finch fallirà perché a nessuno potrà davvero mai interessare cosa pensa un poveraccio depresso: e quando gli indici di ascolto saranno pochi, l’unico da incolpare sarà Duvall che ha dato il via libera all’operazione!
ma Finch va in onda ringalluzzito da un incubo in cui è sicuro di parlare con Dio, che lo invita a farsi portavoce della parola divina… e, tutto invasato, Finch fa il colpaccio anche in prima serata!
da lì, Duvall e Dunaway scalano in denaro e ascolto le alte sfere della corporation proprietaria dell’emittente e il loro modo di fare tv, dando voce ai pazzi come Finch e ai terroristi pseudomarxisti (che sbavano di apparire in TV e di avere il denaro dei diritti di sfruttamento della loro immagine), diventa sistema…
Holden non riesce a farci niente, non solo perché viene licenziato, ma anche perché intraprende una relazione extra-coniugale con Dunaway (i due si erano conosciuti quando lui, esperto anchorman, aveva fatto una conferenza all’università dove lei era studentessa, provocando in lei una cottarella tra “maestro e allieva”), che fa fallire il matrimonio di Holden, con tanto di disperazione della moglie…
il dramma è quando Finch, nei suoi sproloqui, rende pubblico un accordo commerciale tra la corporation e gli arabi, contestualizzandolo con la tragica svendita di qualsiasi democrazia al prezzo dei petroldollari e in barba a qualsiasi regolamentazione del mercato del petrolio che gli arabi monopolizzano…
l’aver esposto i guadagni commerciali immorali della corporation fa convocare Finch al cospetto del capo assoluto della multinazionale, Ned Beatty, che, in un monologo divenuto storico, dichiara che il capitalismo è naturale e religione, che c’è sempre stato, e che il denaro e basta regge il mondo, con democrazie, morali, etiche e leggi del tutto irrilevanti, quando non direttamente ostacoli, al guadagno…
per Beatty, Finch deve smettere di denunciare la magagne soldose della corporation ma al contrario propagandarle come giuste e naturali al suo pubblico di spettatori medi teledipendenti…
nei discorsi ferocemente neoliberisti e propagandistici di Beatty, l’impressionabile Finch è sicuro di sentire l’eco dei discorsi di Dio che aveva udito in sogno la notte precedente alla sua prima serata…
Finch si mette a fare il conferenziere capitalista borghesuccio invece dell’incazzato anti-sistema, e quindi perde ascolti…
intanto, Holden capisce che avere la relazione con Dunaway è stato un errore, e i due sviscerano alla grande tutti i problemi di coppia di una società televisizzata in cui anche la relazione obbedisce a schemi di copione, con Dunaway schiava del proprio arrivismo e con Holden vecchio arnese incapace di sottrarsi a quei copioni vetusti che dice di detestare (anche lui, per sé, sceglie di aderire all’uomo da casa e famiglia, più perché non può sopportare il suo essere subalterno al lavoro nella vita di Dunaway che altro)
Duvall e Dunaway sono sconcertati dal calo di ascolti di Finch, e non solo, i terroristi pseudomarxisti che vendono le riprese dei propri attentati a banche ed enti governativi a Dunaway sono mirino, ovviamente, dell’FBI, che potrebbe ritenere l’emittente complice di atti sovversivi e criminali…
Ned Beatty, il capo assoluto, contento che Finch propagandi il suo verbo in TV, non sente il calo di ascolti di Finch come un problema: lui i soldi ce li ha, e il suo messaggio è veicolato: in quanti lo ascoltano effettivamente, e se il messaggio faccia perdere soldi all’emittente, se ne sbatte… Beatty proibisce a Duvall e Dunaway di licenziare Finch…
per cui Duvall e Dunaway si trovano ad avere un’emorragia di ascolti che li farà sostituire dal consiglio di amministrazione se non fanno qualcosa… ma non possono licenziare l’agente dell’emorragia perché protetto dal capo assoluto…
nell’ultima scena, Duvall e Dunaway progettano l’omicidio in diretta di Finch da parte dei terroristi pseudomarxisti: così si tolgono di mezzo l’impiegato che non vede più nessuno, e dànno al contempo linfa vitale agli pseudomarxisti che, colpendo l’informazione, possono appellarsi al diritto del Primo emendamento della libertà di espressione, dopo aver scaricato gli esecutori materiali del delitto, perché professano idee politiche contrarie a quelle propagandate da Finch ma di eguale peso nel novero delle opinioni…
omicidio che, puntualmente, avviene, in diretta: e noi lo vediamo rilanciato da tutti i programmi prima dei titoli finali…
–
Di Chayefsky c’è tutto: l’urlo della fine delle relazioni, i monologhi attoriali scritti apposta (e su cui si basarono le nominations agli Oscar, in un anno che videro anche Rocky, Pasqualino Settebellezze, e il similare All the President’s Men come agguerriti partecipanti: se Finch, a cui il premio andò postumo [morì due mesi prima della cerimonia: il primo attore, anche se non la prima persona, a vincere un Oscar dopo la morte], e Dunaway vinsero con tanti minuti sulle loro spalle, Beatrice Straight, la moglie di Holden, ha vinto per una sola scena, e Ned Beatty fu nominato come supporting per due sole pose [non vinse: vinse Robards per All the President’s Men]), e lo sgarbo politico che sa benissimo di non poter essere pienamente sfogato, perché il contratto sociale ha le sue leggi…
Quando Finch va a intaccare i fatturati di Beatty, anche le regole sensazionalistiche della TV che può dire tutto arretrano per normalizzarsi, e gli avvoltoi dell’ascolto possono aggirare il problema solo con altro sensazionalismo, cioè solo pianificando l’omicidio in diretta fatto passare per incidente di percorso…
e proprio nel dare voce a un frustrato sesquipedale come Finch, che vomita anticapitalismo con la consapevolezza di non poter effettivamente fare niente contro un capitalismo di cui è ingranaggio e latente strumento di propaganda (col capitalismo che assorbe anche gli elementi di anticapitalismo solo per rattoppare i buchi fisiologici di un contratto sociale organizzato: l’anticapitalismo come il prescelto progettato dall’architetto nel secondo Matrix), Chayefsky fa centro nel prevedere i nostri 5 Stelle, i nostri Celentano (il monologo di Beatty è molto citato, in senso messianico e cristologico, nell’ultimo sproloquio di Joan Lui, di 10 anni dopo [Celentano usa perfino i gesti di Beatty], che, guarda caso, finisce con l’omicidio in diretta dello sproloquiante!) e tutti i profeti politici del mondo, quelli che blaterano di cambiamento radicale anche se sanno bene di essere al servizio di uno status quo che ha solo bisogno di tremori organizzati apposta proprio per far rientrare di più il conservatorismo in forza proprio della reazione a quei tremori predisposti…
la storia d’Amore tra Holden e Dunaway, sì, porta via molto del tempo del film, che rimane molto lungo nei suoi 120 e passa minuti, ma è così sentita e sincera da riuscire a bilanciare la ferocissima rappresentazione dei veri sciacalli dei media, Duvall e Dunaway, che, privi di qualsiasi contezza etica, di qualsiasi costrutto filosofico, servono il capitalismo neanche con la propaganda e la programmata devianza, ma direttamente con l’omicidio, la spettacolarizzazione della violenza e lo sfruttamento della rabbia repressa che loro stessi veicolano col blaterare di profeti televisivi…
una rappresentazione che vale la pena vedere ancora oggi, sorprendendoci della sua smagliante attualità ancora dopo 50 anni…
–
se tutto il film è in mano a Chayefsky, che ha controllato anche il casting (per il ruolo di Finch, Lumet avrebbe voluto Henry Fonda, che però rifiutò), Lumet non è stato a guadare e ha dichiarato perfettamente lui stesso i suoi intenti visivi, ottenuti con la sapienza di Owen Roizman: un film che parte con piani sequenza e luci realistiche che, via via, si deforma in illuminazioni teatrali (evidenti soprattutto nel monologo di Beatty) e in inquadrature fisse, quasi come quelle delle televendite: un sistema che rende visivo il trionfo del sistema comunicativo della TV sul cinema…
Lascia un commento