«Cuore di cane» di Michaíl Bulgákov

Il testo di Bulgákov del 1925 ebbe le sorti di tutti i suoi scritti: misconosciuti e censurati tanto, spesso, da non venire neanche pubblicati, poi tirati fuori timidamente e non sistematicamente in èra Chruščëv negli anni ’60, soprattutto grazie alle cure della terza moglie, Eléna Njurenberg [era nata a Riga forse con registrazione del nome in caratteri tedeschi, Nürenberg, poi sposata Neëlova, risposata Šilovskaja e infine maritata Bulgakova], che affidò le prime edizioni integrali a mercati non sovietici, col risultato che, in patria, il Bulgákov integro, spesso, è arrivato in era Gorbačëv (così è stato per Cuore di cane, pubblicato in Russia solo nel 1987)…

In Libri e librini, a proposito del Maestro e Margherita, c’è un riassuntino della ricostruzione ecdotica dei testi, con le sistemazioni della terza moglie messe in discussione e poi rivalutate più volte dai filologi, con testi affidabili pronti solo a partire dal 1989-’90 (anche per Cuore di cane, il testo più fornito di argomenti filologici è quello di Lídija Janóvskaja, purtroppo non esistente quando la maggior parte delle traduzioni italiane è stata condotta)…

Se fosse uscito nel 1925, Cuore di cane avrebbe convissuto con La metamorfosi di Kafka (1912-’15), con Dalla vita degli insetti di Karel Čapek (1921) e con la Volpe Bystrouška di Rudolf Těsnohlídek (1920) quel momento della letteratura slava (la Repubblica Cèca, dove uscirono gli ultimi due autori [anche Kafka era cèco, ma di lingua tedesca, e Metamorfosi fu stampato a Lipsia da Kurt Wolff], è stata un fiorentissimo snodo culturale da quando ottenne finalmente l’indipendenza dall’Austria nel 1918 insieme alla Slovacchia, nella Cecoslovacchia: il presidente Tomaš Masaryk, in carica dal ’18 fino all’invasione nazista dei Sudeti del 1938, promosse moltissimo le arti autoctone e la lingua cèca) in cui la vita degli animali veniva utilizzata per fare eccezionali metafore politiche della vita umana politicizzata degli anni ’20 della Pace di Versailles e della Società delle Nazioni di Woodrow Wilson (grazie alle cui idee era effettivamente nata la Cecoslovacchia), apertissima alle espressioni individuali e popolari ma, insieme, stretta in coercitive logiche di capitalismo sfrenato e di economia del lavoro ancora schiavizzante (è nello stesso periodo, e nella stessa Repubblica Cèca, che lo stesso Karel Čapek inventa i robot, in R.U.R., nel 1920, 7 anni prima del Metropolis di Fritz Lang)…

Questi grandi esperimenti avevano, certo, fondamenta nel passato (in Cuore di cane sono evidenti gli influssi del Frankenstein di Mary Shelley, nel 1918 gratificato dei 100 anni di circolazione, e del Faust di Goethe, vera e propria fissa di Bulgákov; in R.U.R. si fa consuntivo delle esperienze settecentesche sulla teoria degli automi, da Condillac a Pascal; tanto Settecento, da Sterne a Fielding, anche per il rapporto tra vita degli insetti e vita umana), ma si nutrivano delle aporie del proprio tempo, quando si stava respirando un clima da collasso imminente (che arrivò con la Crisi del ’29) e quando due forze contrapposte erano sicure, entrambe, di aver trovato la quadra sociale del mondo intero, la panacea di ogni cosa: una forza l’aveva trovata nel riscoprire, barbaramente, lo schiavismo genetico che si credeva, malamente, avesse ispirato le civiltà del passato (la Grecia antica, soprattutto), cioè il Nazismo, e l’altra credeva che la negazione del sistema economico capitalista vigente, ingigantita su scala mondiale a dispetto di qualsiasi vita privata, potesse portare del bene a chiunque, anche senza, appunto, vita privata, cioè il Comunismo…

Se Čapek e Kafka scrissero le loro storie denunciando e fiutando un andazzo, vista l’amministrazione repubblicana di Masaryk, in maniera social-speculativa riferendosi alla condizione umana tout court, Bulgákov buttò giù Cuore di cane a pochissimi anni dall’effettivo innesco dello stato che rese effettivo e fattuale un contratto sociale basato sul Comunismo, l’Unione Sovietica…

Cuore di cane usa Frankenstein e Faust per pensare politicamente l’uomo nuovo sovietico e butta fango su qualsiasi sistemazione bolscevica, a livello di filosofia…

Il cane Šárik (che sarebbe una sorta di Pallino), in cui si impianta il cervello di un mezzo criminale spiantato moscovita (tale Klim Grigor’évič Čugunkin: non sono riuscito a trovare in nessun posto dove cada l’accento nel cognome, probabilmente è Čugúnkin, ma vado a tentoni), diventa un sovietico egregio e ligio al dovere, che si registra all’anagrafe col nome Poligráf Poligráfovič Šárikov, simpatizza col bolscevicissimo Švónder (anche di lui non riesco a trovare accenti: la pronuncia tedesca, visto che tanti testi italiani lo traslitterano direttamente in tedesco, Schwonder, fa propendere per la prima sillaba accentata, da leggere quindi shvóndir, ma, nonostante il russo mantenga spesso le accentazioni straniere, molte volte, come fa il tedesco stesso, sposta all’ultima sillaba le parole di origine aliena, vedi Šekspír per Shakespeare, perciò ipotizzare Švondér, da leggere shvandiér, non sarebbe peregrino), ottiene un rispettabile impiego statale (il cacciare i gatti randagi dalle strade), e rende un inferno la vita del suo creatore, il dottor Filípp Filíppovič Preobražénskij, convinto anti-bolscevico (come Bulgákov, che durante la Guerra civile fu bianco), se non addirittura zarista, chirurgo luminare esterofilo (famoso in tutta Europa), e abitante del condominio di cui Švónder è una sorta di amministratore politico da sempre ostile alla ricchezza di Preobražénskij che tiene per sé metri e metri quadrati di un enorme appartamento in uno stato in cui, formalmente, la proprietà privata non esisterebbe e quindi l’appartamentone dovrebbe essere sezionato per dare alloggi ai proletari, laddove per Preobražénskij i proletari sono tutti dei ladri che si appropriano perfino delle calosce da neve altrui [Cuore di cane si svolge tra novembre ’24 e marzo ’25]…

Mentre riflette sulla natura dell’uomo e dell’animale, dimostrando che il cane Šárik sarebbe stato buono e pacioso finché non gli mettevano il cervello di un uomo degenere, Bulgákov cerca di distruggere il Comunismo, ergendo a demiurgo filosofo e quasi eroe il suo Preobražénskij, che sembra avere tutte le ragioni, sia politiche sia mediche…
ma Bulgákov non si affida a Preobražénskij nel tratteggiare un buono nel senso letterale del termine: Preobražénskij sarebbe eugenetista (e quindi, in un certo senso, nazista: prima di occuparsi di Šárik ringiovanisce i suoi pazienti: alcuni commentatori vedono il ringiovanimento come un ulteriore link all’opera di Čapek, alla Cosa Makropulos, 1922, la cui protagonista non invecchia mai grazie alla ricetta di un elisir [c’è anche l’opera di Janáček, di 4 anni successiva al dramma di Čapek], ma mi sembra un link debolino) e il suo lavorare è descritto, anche con sibilline aggettivazioni e modi di dire (anche certe chiusure delle sue frasi usano costrutti russi inusuali che richiamano fonicamente la parola «sabba»), come in qualche modo diabolico (e magico: Bulgákov rimpinza di strane coincidenze fataliste le connessioni tra i personaggi di Cuore di cane: Šárik è nato alla Barriera Preobražénskaja di Mosca, lo stesso luogo dove muore Čugunkin, luogo con lo stesso nome del chirurgo che mette insieme i due; inoltre Šárik chiama Preobražénskij immediatamente Filípp Filíppovič a caso e ci azzecca prima di conoscerne davvero il nome!), e spinto da una sete di conoscenza inestinguibile, effettivamente malsana…
ma la vera funzione di Preobražénskij è quella del rendersi conto di aver avuto torto, se non dal punto di vista politico, almeno da quello scientifico… e infatti espianta da Šárikov il cervello di Čugunkin e lo fa tornare il pacioso Šárik, senza mai rinunciare alla ricerca di qualcosa che vada al di là, scientificamente, delle idee di Švónder, ma forte del suo passo indietro, della sua capacità di correggersi e di imparare dai propri sbagli, nella consapevolezza che la verità è ricerca e non doxa, la ricerca che esattamente manca all’Unione Sovietica impersonata da Švónder…

La lettura Cuore di cane, con la sua focalizzazione bassissima (col cane che descrive ambienti e fatti dal punto di vista del cane), anticipa di parecchio il mio adorato Golding, e alimenta i logos di Wu Ming e Sokúrov nella critica a qualsiasi credo che non ammetta sbagli e che si erge a teoria del tutto per l’intera umanità, senza particolarismi, senza varietas, senza adattamento al ciascuno

La vedova di Bulgákov autorizzò di persona le traduzioni italiane di Márija Olsúf’eva (tale traslitterazione cirillica sarebbe forse fuori luogo per una traduttrice nata e cresciuta a Firenze che ha accettato di firmarsi lei stessa Maria Olsufieva e Maria Olsoufieva) per la De Donato di Bari… è di Olsúf’eva la prima traduzione nostrana del racconto, datata 1967… una traduzione che è stata pubblicata anche da Garzanti nel 1970 ma che poi, purtroppo, è un po’ volata via nei diritti editoriali (credo che oggi il copyright potrebbe detenerlo la BaldiniCastoldiDalai)…

sono seguite le versioni di:

  • Clara Coïsson e Vera Dridso, Torino, Einaudi, 1970…
  • Viveca Melander [tanti la chiamano Viveka ma pare che si sbaglino]: apparsa accorciata in un libro della Antenore di Verona del 1972 e poi arriva integrale in Newton Compton nel 1975
    È l’unica che ci fornisca gli accenti così da poter pronunciare i nomi dei protagonisti, ma non si accorge che Preobražénskij canta l’Aida mentre opera (la stessa Aida da cui Šárik fugge: odia un cantore ambulante che storpia «Celeste Aida» in un parco di Chamóvniki: Preobražénskij opera canticchiando «Su! Del Nilo al sacro lido!»)…
    È una versione scorrevole, leggibilissima ed estremamente user friendly, con venature colloquiali chiarissime e molto adatte a funzionare in italiano, con poche note puntualissime…
    Chiama Šárik direttamente Pallino e Pallinov e usa Schwonder…
  • Giovanni Crino, Milano, Rizzoli, 1975
    è molto simile a Melander, però si accorge subito dell’Aida
    usa Pallino e Švonder…
  • Emanuela Guercetti, Milano, Garzanti, 1990
    usa Šárik, Švonder e si accorge dell’Aida
    un po’ più scientifica rispetto alle precedenti: in qualche modo sembra meno paludata, anche se le altre non lo erano affatto! Io l’ho letta, però, più agilmente…
  • Nadia Cicognini, Milano, Mondadori, 1993
    usa Pallino e Švonder ma non si accorge per niente dell’Aida
  • Serena Prina, Milano, Feltrinelli, 2011
    È quella che mi sentirei di preferire: per prima segue il testo Janóvskaja e quindi legge Al’fóns invece di Móric (reso Moritz in tutte le edizioni che ho letto) per l’amante della paziente di Preobražénskij nel capitolo 2 ed è quella che non solo rispetta l’Aida ma ci informa anche che l’altra canzone prediletta da Preobražénskij, con il reiterato «Da Siviglia a Granada», è la prima delle Sei romanze op. 38 di Čajkóvskij, composta nel 1878 su un testo di Alekséj Tolstój del 1860, e arricchisce la lettura con tante note capaci di sviscerare tutto quanto era ovvio agli occhi di un lettore moscovita del 1925 ed è oggi perduto, e lasciato un po’ incolto dalle altre traduzioni (per esempio tutte le allusioni ai colori, non solo riflettenti gli ovvi bianchi e neri ma anche i colori della divisa che un giorno arriva a indossare Šárikov, uguale a quelli dell’uniforme della polizia segreta; i riferimenti ai mercati moscoviti, molto cambiati dopo l’istituzione dell’Unione Sovietica, addirittura alle singole botteghe, e poi al passato prossimo zarista, e alle edizioni dei libri allora circolanti), oltre che animare minime ma puntutissime idee ermeneutiche…
    Nonostante sia ligia alla traslitterazione dal russo, preferisce leggere Schwonder…

Durante il mio viaggio in Russia ho visto l’angolo di strada in cui Preobražénskij incontra Šárik!

5 pensieri riguardo “«Cuore di cane» di Michaíl Bulgákov

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    1. perché le prime pagine narrate dal cane sono quelle con più allusioni cattive alla Mosca del ’24: non ci si capisce veramente niente (perché certi riferimenti ai vicoli e alla classe sociale della gente che vede il cane erano ovvie al moscovita e quindi sono ancora più inafferrabili per un non moscovita di 100 anni dopo!)

      1. Considera che io l’ho solo “studiato” fino ad adesso! Solo la traduzione di Serena Prina me l’ha fatto assorbire!
        Aspetto succeda con “Cuore di tenebra”: iniziato mille volte e dismesso altrettante!

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