L’«Aida» di Michieletto al Maggio Musicale Fiorentino

L’Aida al Maggio non era così rara… poi, un po’ come è successo con Norma, dopo il risultato di Riccardo Muti, tra dicembre ’75 e gennaio ’76, con un vecchio allestimento di Carlo Maestrini, non s’è fatta più…

A riesumarla è stato proprio Zubin Mehta (che si alternò con Elio Boncompagni), con Lorenzo Mariani, ben 20 anni dopo, nel 1996…

La scena di Mariani si è rivista al Comunale anche nel 1999 con Rico Saccani…

Poi altri 12 anni di nulla, finché di nuovo Mehta propone lo spettacolo di Ferzan Ozpetek nel 2011…

Ed eccoci… 14 anni dopo…

Stavolta l’Aida non è nuova: questa di Damiano Michieletto è stata concepita per la Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera (con Daniele Rustioni) nel 2023…

Di Aida si parla tanto (troppo) al n. 24 di Operas III

Per smussare le coglionate colonial che affliggono l’opera, Michieletto, con tutti quanti almeno da 30 anni, punta sull’antifrastico

sicché scena di palestra smorta con mura diroccate da cui cola cenere mortifera, tra un set di Fellini e gli sfaceletti di Hal Hartley (che, almeno, sono autoironici: il libretto di sala scova talmente tanti riferimenti artistici, dall’introduzione del calendario gregoriano a Magritte, da far pensare a uno scherzo, come dice Ellen Burstyn nell’Esorcista: «Il film è una storia di Ho-Chi-Minh alla Walt Disney»), in cui lo sfarzo espressivo della musica cozza con immagini di aftermath bellico…

per capirsi:
per annullare il lusso della musica, secondo tanti una colpevole ostentazione colonial rea di glorificare i saccheggi del più forte (prospettiva un pochino miope vista la trama, ma per tanti sostanziale stando alla “luccicanza” dei suoni), allora si illustra quella musica con scene di guerra:
«Su del Nilo al sacro lido» è cantato sul cadavere di un bambino che viene chiuso in una piccola bara bianca…
Il trionfo (parola che in partitura non c’è) è commento musicale a un film (la solite esagerazioni di Michieletto, vedi anche il Rigoletto al Circo Massimo) in cui Radamès ricorda gli orrori visti in battaglia…
«Nume custode e vindice» è una bieca vestizione militaresca…

Anche Ozpetek, nel 2011, aveva fatto una cosa simile e così fanno tantissimi: in pratica Aida, oggi, la si può vedere solo così… oppure con il carnevale di Viareggio da Museo Egizio… non c’è via di mezzo…

Michieletto, un po’ afflitto da horror vacui concettuale, basandosi sulla linea antifrastica se ne inventa tante, e non tutte funzionano…

anche perché il senso antifrastico vale anche al contrario: magari l’intento è quello di sporcare il trionfo musicale con una crudeltà bellica che lo annulli, ma potrebbe finire, e spesso finisce, che la crudeltà bellica venga esaltata dal trionfo musicale
cioè quello che era partito come calmierante il trionfo, dal trionfo (essendo la musica effettivamente “irresistibile”) viene catalizzato, corroborato e perfino sottolineato…
…e finisce che a essere sottolineata, e perfino glorificata, è la guerra… ovvero ciò che si voleva evitare in prima istanza…

spiego ulteriormente:
fai il filmino con le bombe e la gente mutilata durante la Marcia trionfale (titolo, ripeto, che in partitura non c’è) apposta per dire che la Marcia trionfale è brutta e cattiva di colonial, ma poi finisce che la Marcia trionfale è così accattivante e orecchiabile che finisce per esaltarti la gente mutilata e le bombe!

…un disastro…

roba alla Arancia Meccanica che ispirò emulazione invece che riflessione e suscitò risate per gli stupri proprio perché in colonna sonora c’era Rossini!

in questo dramma cadono molte Aide odierne e Michieletto proprio ci affonda come nelle sabbie mobili…

ok, alcune cose funzionano:

che, nei suoi monologhi, Aida veda i flashback della sua infanzia, con lei bambina che sgambetta in scena a giocare con oggetti che dal flashback fluiscono nella realtà (tipo la palla rossa che rimbalza dal ricordo al presente), non è male…

che «Nume custode e vindice» finisca con la vestizione militare, va bene…

il trionfo con le medaglie date ai mutilati… forse…

ma il filmino commentato musicalmente dal ballabile egizio è forzatissimo…

…e negli atti 3 e 4, Michieletto perde un po’ la trebisonda…

in una piramide di cenere nera si inventa una fascinazione di Ramfis per Amneris, con tanto di Ramfis che forza Amneris a baciarlo più volte! [una cosa che ricorda, alla lontana, il rapporto tra Charlton Heston e Carroll Baker nel Big Country di Wyler: e Heston forza Baker al bacio solo una volta!]
e con quello giustifica l’anatema di Amneris nel quarto atto…
‘sta cosa annulla il naturale anticlericalismo di Aida, che tutti si rifiutano di interpretare…
…è una soluzione che fa rabbia, oltre che ridere (senza appigli di didascalie e senza che la musica avverta un bel nulla, vedere Ramfis che salta addosso ad Amneris è come vedere Topolino che tradisce Minnie con Paperina!)…

fa sparare nella schiena ad Amonasro subito, con Radamès che vede tutto… mah…

mette in scena il processo a Radamès lasciando in scena solo un semplice scribacchino mezzemaniche che veramente fa ridere con la sua scrivania mobile e il suo mutismo alla Tati…

rende la morte di Radamès e Aida una sorta di Passerella d’addio di 8 e mezzo (e rieccoci), con palloncini e suonatori di strada da fiera paesana “sognati” da Radamès e Aida come una specie di paradiso (se io, in paradiso, trovassi la fiera paesana chiederei subito di tornare in vita anche se fosse una sempiterna vita a 38° centigradi)

quindi, bah, è stata una messa in scena di tanti sensi, che magari si annullavano, come succede spesso di questi tempi…

per fortuna, però, non peccava della frammentazione slegata del Rigoletto di Livermore!

Zubin Mehta ha fatto Aide da benedire e da santificare…

con Tosca, Turandot, Trovatore, Also sprach Zarathustra, il Sacre, Petruška, i Carmina Burana o magari Otello e le sinfonie di Beethoven, Aida è una di quelle cose che Mehta ripete e ripete dall’alba della sua carriera… e come succede con tutti questi titoli, sentire il Mehta 90enne che la riimpasta è insieme interessante e sfuggente…

la cura del dettaglio sparisce completamente (gli attacchi sono allo stato brado), ma la visione d’insieme matura guadagna in ampiezza di respiro e in maestosità generale…

Ne esce un’Aida che si ascolta bene e che, rispetto alle Aide degli anni 2010s (che sono almeno 3 di cui sia rimasta traccia sonora: quella con Ozpetek dell”11 venne ripresa per la RAI da Emanuele Garofalo; quella con Peter Stein alla Scala del ’15 è stata ripresa per Unitel da Tiziano Mancini; e poi c’è il disco in studio, col Maggio e Andrea Bocelli, ancora del ’15), e rispetto alla sua classica incisione EMI del 1967 (o ’66?), è più densa, più sfaccettata, più dolorosa, più poderosa… ma è un’Aida che negli ultimi due atti si perde… e diventa discontinua…

Un po’ come nel suo ultimo Trovatore fiorentino tante cose si polarizzano tra supercurate e tirate via: i monologhi di Aida nel primo atto li ha studiati e condotti certosinamente con lentezze stanislavskiane capaci di armonizzarsi bene con la musica, ma altri momenti dialogici (vedi «Già i sacerdoti adunansi» o il duettone Aida-Amneris nel secondo atto), o anche «O Patria mia» nel terzo atto, li ha tramortiti in una voglia di recitazione che ha fatto sembrare la musica rachitica: un vero peccato… e se nelle scene d’insieme dei primi due atti la grana sonora e il senso kolossal non è mancato, e non è mancata la tensione nella rabbia di Amonasro nel terzo atto, il quarto atto è stato invece quasi del tutto sfiancato da uno sfilacciamento complessivo e da una stanchezza evidente…

Nei primi due atti, Olga Maslova (Aida) era da incorniciare…
timbro godurioso, potente di acuti e gravi, impareggiabile per volute melodiche e intensità scenica: roba, davvero, da adorazione…
negli ultimi atti ha perso chiarezza negli acuti e «O Patria mia» è stato ottimo ma non eccelso come «Ritorna vincitor»…
con Mehta che negli ultimi atti ha marcato visita, i suoi attacchi nel terzo atto sono stati quelli che sono mancati in modo più evidente…

SeokJong Baek (Radamès) era ideale, forse il migliore del cast: un Radamès agile, caldissimo e giovanile…

Daniela Barcellona (Amneris) è entrata nel progetto in corso d’opera dopo l’indisposizione dell’annunciata Agnieszka Rehlis… è sicuramente una straordinaria cantante e le sue basse ancora sfiammano, ma è stata travolta dal decadimento generale degli ultimi atti…
e che Michieletto abbia trattato il suo personaggio alla Carroll Baker del Big Country non l’ha aiutata: il suo smanettare contro il mezzemaniche del processo era ben poco esaltante, e i baci che gli ha imposto Ramfis a caso l’hanno resa una grande parte nel decadimento nel ridicolo in cui incappa l’allestimento nella seconda parte…

Daniel Luis de Vicente (Amonasro) è stato impareggiabile…

Simon Lim (Ramfis) era bravo, davvero un basso eccellente… peccato che Michieletto tagli il suo personaggio con l’accetta…

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