La «Salome» in studio

Non sono così tante le incisioni in studio della Salome di Strauss, almeno stando ai classici canali di ricerca online per la gente normale, che non godono di un aggiornamento continuo…

Purtroppo il panorama di studio di quest’opera non è così vario: i Wiener Philharmoniker imperano, così come impera la povera Christel Goltz…

ma così è!

1948:
Joseph Keilberth, Staatskapelle Dresden
Salome – Christel Goltz
Jochanaan – Josef Herrmann
Herodes – Bernd Aldenhoff
Herodias – Inger Karén
Narraboth – Rudolf Dittrich

I database online indicano a maggioranza questa come princeps: registrata in uno studio radiofonico del Mitteldeutscher Rundfunk il 20 maggio 1948 (è ancora formalmente Germania: la DDR viene proclamata un anno e mezzo dopo, ma eredita la proprietà del phonogram, e i ristampaggi dei dischi vengono tutti distribuiti da etichette della Repubblica Democratica, quali Berlin ed Eterna) per un broadcast alla radio… Strauss è ancora vivo (anche lui ci sarà per un altro anno e mezzo: morirà il mese prima dell’istituzione della DDR)…
Ma non si sa se davvero includerla nelle vere incisioni di studio, vista l’impossibilità di determinare quanto allora intervenissero nelle “dirette”: se venisse trasmessa una performance live che si eseguiva in tempo reale o se venisse diffuso un audio registrato, e in che modalità…
comunque, ad ascoltarla, sembra davvero un lavoro in studio anche se non adeguatamente postprodotto… e forse per questo molti, anche se non tutti, i database la indicano come princeps e considerano live altri broadcast radiofonici di poco successivi sui quali c’è più che concordia nel considerarli una trasmissione dal vivo, tipo quello di Nino Sanzogno con la RAI di Torino nel 1952 (l’Auditorium RAI di Torino pare sia stato inaugurato dopo la ricostruzione dai bombardamenti due mesi dopo questo broadcast, che quindi non so da dove possa essere stato trasmesso), quello di Kurt Schröder con l’Hessischer Rundfunk di Francoforte ancora del ’52, o quello di Herbert Weigert con il Bayerischer Rundfunk del ’53 (probabilmente non era ancora in piedi lo Studio 1 vicino all’Hauptbahnhof di Monaco, ma i posti in cui registrare, nella Monaco di allora, non mancavano affatto: il considerare questa di Weigert un live per radio è però davvero dibattuto perché la commercializzazione del 2000 di Orfeo, etichetta specializzata nel recupero e nella distribuzione di phonogram scaduti e di bootleg, segna un lungo periodo per l’incisione: dal 21 al 25 giugno ’53: un po’ troppo per una ripresa in diretta per la radio: anche se, prima del Ring di Solti e Culshaw iniziato nel ’58, le opere in studio, in effetti, non si facevano granché, o se si facevano, appunto, spesso non si dichiaravano, perché i puristi concepivano l’opera possibile solo se cantata dal vivo; inoltre, le date potrebbero riferirsi alle prove, o a giorni successivi di trasmissione di un evento comunque inciso live)…
La Staastkapelle Dresden è l’orchestra che ha battezzato la prima dell’opera nel 1905, e Keilberth allora era una sorta di dio in terra dell’opera tedesca: il mono non permette di assaporare i suoi immensi colori, ma si sente un’esecuzione chiara, rapida e barbarica, dall’opprimente senso di sciagura imperante, che viene preferito alle altre componenti possibili di sensualità, di leggerezza sessuale torbida o di sbrindellìo virtuosistico… e il fato avverso macignoso è trattato da Keilberth con agilità, velocità e nervosismo, e con nessun magone liturgico…
purtroppo, nei duetti concitati si avverte tutta la mancanza di una verve teatrale dialogica, in ottemperanza all’idea di poema sinfonico con parole che la critica aveva appioppato a Salome dai tempi del debutto… e Goltz, non vecchia (36enne), nonostante gli squilli pungenti, ha però una voce che non appare giovanile…
Esiste anche un bootleg di Keilberth catturato alla Bayerische Staatsoper nel 1951, con Inge Borkh, Hans Hotter (uno dei più grandi amici di Strauss), Max Lorenz, Irmgard Barth e Lorenz Fehenberger…

1952:
Rudolf Moralt, Wiener Symphoniker
Salome – Walburga Wegner
Jochanaan – Josef Metternich
Herodes – László Szemere
Herodias – Georgine von Milinkovic
Narraboth – Waldemar Kmentt

Non si trovano molte info su questa incisione…
È circolata quasi esclusivamente in pochissimi vinili: esiste un fantomatico numero di catalogo Philips di un CD, ma anche quello stampaggio digitale dev’essere stato assai minimo…
se Keilberth è in bilico tra studio e live, e se Weigert, con tutti i dubbi detti, è del ’53, la princeps diventerebbe lei, in quanto tutti i repertori online indicano come periodo di incisione il dicembre ’52…
Purtroppo, la Philips, che ha distribuito questo lavoro in modo così reticente (perché? scarse vendite? master non conservati bene? brutta critica? boh), non ha mai comunicato dove si tennero le sessions di registrazione… luoghi probabili sono la Brahmssaal del Musikverein, o direttamente il Konzerthaus di Vienna, luoghi che Moralt frequentò in quegli anni…
Moralt era figlio della sorella della mamma di Strauss: la parte Pschorr (riccona e para-nobilastra) della famiglia… ci sono lettere tra il compositore e Moralt, ma pare che non si siano visti così tante volte: Moralt ha fatto la sua carriera senza pubblicizzare granché la parentela… e non fu una brutta carriera…
Magari, come è successo ad altri prima dell’avvento dello stereo, Moralt non ebbe la fortuna di intercettare il divismo, e le sue imprese sono poi state fagocitate da quelle di altri, oppure è vissuto in uno Zeitgeist dove c’erano sì tutti i mezzi tecnici per rimanere ma ancora non avevano scalzato l’effimero del live: per esempio, uno dei lavori più celebrati di Moralt, la prima trasmissione radiofonica (fatta proprio a Vienna) del Ring di Wagner dopo la Seconda guerra mondiale (i broadcast furono tra 1948 e 1949), è rimasta solo in bootleg delle trasmissioni del tempo… e, come si diceva prima, i suoi dischi in studio (oltre a questa Salome ha registrato anche diverse opere di Mozart: Don Giovanni e Così fan tutte con lo stesso contratto Philips e ugualmente con i Symphoniker, nel ’55-’56), sono arrivati quando la cultura dello studio incontrava diversissime forze di contrasto…
È davvero un peccato che questo lavoro abbia goduto di scarsa diffusione…
Ha una durata di almeno 5-10 minuti minore degli altri dischi e per immediatezza d’azione quasi si mangia tutte le altre!
Il suono mono, certo, la penalizza, ma il lavoro di studio, leggermente più “compiuto” di quello fatto dai radiofonici di Keilberth, fa risuonare la musica davvero come un fascinossissimo bicchiere decorato di intrecci liberty, che brilla di nervosismo, spicca per estro “motorio”, vibra di sussulti erotici, e se ne scandalizza nel migliore dei modi!
Nelle intenzioni anticipa di tanto il lavoro di Sinopoli e in quanto a preziosimo, pur nel mono (e quindi in modo soprendente), Moralt fa sbraitare i Symphoniker come Mehta farà con i Berliner quasi 40 anni dopo, con in più le voglie di mantenere quel legame (che tanto si sentirà in Solti) di sottigliezza stilettante, di rasoiata acustica, cristallina e crudele, con l’estetica decadentista più effimera, più fatua e diafana, che Strauss infuse a profusione nella sua musica: per Moralt, la Salome è un dramma fulmineo, che sconcerta per metallica violenza sonora, che balena di luce appunto come un vetro decorato di ninnoli inutili quanto conturbanti, che stordisce per la brevità della constatazione dello sfacelo, per invasata gioia dei colori, per bacchica follia, e, insieme, attrae per seducente e malatissima fantasia sessuale patologica: un portento!
Forse, Moralt trascura la componente religiosa su cui tanto invece insistono Krauss o Ozawa: per lui, le preghiere, le contemplazioni e le profezie di sciagura mistica sono solo accidenti che fanno parte della schiettezza rapida della sua impostazione…
Il trattamento sonoro delle voci è ancora “antiquato”, privo dei bilanciamenti di là da venire, ma Wegner ha degli acuti che tagliano le orecchie, davvero fastidiosi come quelli di una bambina viziata!

1954:
Clemens Krauss, Wiener Philharmoniker
Salome – Christel Goltz
Jochanaan – Hans Braun
Herodes – Julius Patzak
Herodias – Margareta Kenney
Narraboth – Anton Dermota

Incisa nella Sala d’Oro del Musikverein a marzo…
seconda volta in studio per Christel Goltz…
Krauss è stato amico intimo di Strauss: ha diretto le prime di Arabella, Capriccio (di cui ha anche scritto il libretto: l’opera è proprio dedicata a lui), Friedenstag e Der Liebe der Danae… mentre registrava questa Salome non sapeva che gli rimanevano solo due mesi di vita…
Per un animale da live e da orchestrone da far risuonare come lui, lo studio e il mono sono stati dei punti deboli… inoltre, da espertissimo con le controgonadi dello Strauss successivo alla morte di Hofmannsthal, intendeva la Salome, scritta quando ancora Strauss e Hofmannsthal non si conoscevano, come una nobile sinfonia… davvero questa, più di quella di Keilberth, è la lettura dove si sente il poema sinfonico con parole
Le volute volumetriche, maestose, dell’orchestra (che anticipano Karajan e Ozawa), nel mono si intravedono ma non quagliano, e la conduzione da dramma liturgico serio, pomposo e perfino altezzoso, non la rendono simpatica…
Goltz, poverina, sembrava vecchia già 6 anni prima, quindi figuriamoci, ma anche il resto del cast segue Krauss nel suo intento di fare di Salome un qualcosa non di estetizzante o sessuale, ma una roba di sconcerto quasi mistico, che pre-sente il francescanesimo di vent’anni dopo (Debussy, Honegger, Elgar: quest’ultimo, per altro, un entusiasta della Salome; o perfino lo Stravinskij dei melologhi): roba in ogni caso molto interessante e moooolto curiosa, ma che fa sentire tutti gli anni che questo testo inciso ha sul groppone e non suscita mai la furia, la ferocia o la paura che invece in partitura sarebbe richiesta…
Alla fin fine, però, la sola Danza dei sette veli è un portento di sapidità interpretativa!

1961:
Georg Solti, Wiener Philharmoniker
Salome – Birgit Nilsson
Jochanaan – Eberhard Wächter
Herodes – Gerhard Stolze
Herodias – Grace Hoffman
Narraboth – Waldemar Kmentt

Catturata nella gloriosa Sofiensaal di Vienna, a ottobre, dalla troupe Decca di John Culshaw…
È la prima incisione stereo fatta in studio, ed erano tempi in cui la Decca, Solti, Culshaw e Nilsson erano un dream team di quelli bertaderi, proprio potentissimi…
in effetti, quello che fanno è miracoloso…
Sebbene non amico di Strauss, come Böhm o Krauss, Solti però fu così vicino al compositore negli ultimi anni da dirigere l’orchestra al suo funerale nel 1949, perciò i suoi argomenti sono eccelsi…
Va molto al di là del concetto di poema sinfonico con parole, e sfrutta tutto lo stupeficio tecnico a disposizione in una lettura vivida, giustamente schizoide, con un ritmo teatrale coinvolgentissimo, tutta puntuta e graffiante…
Forse Nilsson ha un po’ un vocione, ma Stolze è proprio quell’ubriaco gigione che c’è in partitura…
Si può considerare tra le chicche

1963:
Otmar Suitner, Staatskapelle Dresden
Salome – Christel Goltz
Jochanaan – Ernst Gutstein
Herodes – Helmut Melchert
Herodias – Siw Ericsdotter
Narraboth – Heinz Hoppe

Orgoglioso prodotto della DDR, alla Lukaskirche di Dresda, dal 24 al 29 agosto…
Ha avuto tutto il dramma di concorrere con quella di Solti, che gli ha tolto tutto il pubblico…
La carica di novità, tecnica e di cast, di Solti, ha fatto quasi subito scolorire il ritorno a cantanti oramai anzianotti… e la distribuzione della gloriosa Eterna non era quella della Decca…
Ma l’oblio di questa incisione è immeritato…
Suitner, che in quegli anni godeva di una stampa favorevolissima, ai limiti dell’idolatria, proprio per la sua capacità di mantenere una vita musicale fiorentissima nella DDR (la stessa stampa di cui poi, dal 1970, godette Kurt Masur per le stesse ragioni: Suitner era capo della Staatskapelle Berlin, Masur del Gewandhaus di Lipsia), si pone proprio forse consapevolmente in netta contrapposizione a Solti: là dove Solti cerca vitalità e follia scardinante il pensiero teatrale di Wagner, Suitner trova rovello speculativo e filosofico, ancora saldamente wagneriano; là dove Solti cerca la violenza sonora per accodarsi all’Espressionismo psicologico, Suitner scova la stessa forza nerboruta in orchestra per ragioni di pittura, di anti-narratività, negando quasi i personaggi
Suitner fa una Salome quasi ideale, dall’eloquio nobilissimo (anche se Goltz, purtroppo, dopo tanti anni, fa parecchia fatica), con l’orchestra pastosa e piena di texture potentissime ma sempre aurate di atarassia acustica: è una Salome di lusso, di astrazione, che, proprio come le idee di Huysmans, vive di immaginazione e non d’azione, di “se ne parla ma non si fa” (disvelando certa ipocrisia di Strauss nell’affrontare l’opera), di “ci si immagina” ma non si vive, che si allaccia a Debussy non dal punto di vista sacrale, come Krauss, ma da quello proprio simbolista, quello del Pelléas et Mélisande
Suitner ritrova nella Salome l’ispirazione autenticamente Simbolista, ed evita l’azione, rende i personaggi immagini di personaggio e ammanta tutto di una musica sì roboante, poderosa e genuinamente straussiana, con tutti i ghiribizzi bavaresi al punto giusto, ma soprattuto mentale, mai agente e solo pensante… quindi, magari, è Simbolista più nel senso del Wagner interpretato che di Debussy (quel Wagner che comunque ispirò anche Debussy e tanto Simbolismo), un Wagner che Suitner intende completamente meditativo, come lo intendeva Mallarmé…
È una Salome strana, stranita e straniante, ma non noiosa: è bella da sentire come quella di Ozawa o addirittura come quella di Karajan (il know how dei tecnici Eterna fanno sentire strumenti e colori che non si sentono in nessun altro, forse neanche in Mehta coi Berliner), ma rispetto a loro ha quest’idea di wagnerismo come principio di Simbolismo che la rende veramente unica…
Però chi la accusa di lentezza e di pesantezza non ha torto, per certi versi, poiché, in alcuni casi, il confronto vicino con la corazzata Solti, tutta fatta di barbarismi, di sesso, di pazzia ematica, di ritmo incalzante e di follia viscerale, la fanno apparire davvero come conservatrice e magari marmorea
E anche per questo, per quel mal compreso senso di retroguardia (che non era), è rimasta indietro…

1968:
Erich Leinsdorf, London Symphony
Salome – Montserrat Caballé
Jochanaan – Sherrill Milnes
Herodes – Richard Lewis
Herodias – Regina Resnik
Narraboth – James King

Alla Walthamstow Town Hall di Londra, il 24, 26 e 27 giugno, Leinsdorf legge bene la partitura: era un grande esperto di incisioni e con la RCA ha il coraggio di affrontare l’opera senza un’orchestra tedescofona (rimarrà uno dei soli due a fare questo, con Schønwandt, che coinvolse la radio danese) e senza neanche un cast veramente tedescofono, comunque costituito da impressionanti divi di allora, che si approcciavano ai ruoli senza sovrastrutture…
Il risultato tecnico-sonoro è ottimo: la London Symphony è giustamente potente, con una sonorità bella sfacciata: non fa rimpiangere nessun’altra compagine… magari i tempi di Leinsdorf sono più comodi rispetto a quelli di Solti, e Caballé, pur somma, forse può risultare poco sensuale… ma Milnes è in spolvero!
quindi, tutto sommato, se uno se la trova tra le mani non è che ha una brutta esperienza…

1974:
Karl Böhm, Wiener Philharmoniker
Salome – Teresa Stratas
Jochanaan – Bernd Weikl
Herodes – Hans Beirer
Herodias – Astrid Varnay
Narraboth – Wieslaw Ochman

Nonostante al funerale di Strauss il direttore “ufficiale” sia stato Solti, Strauss e Böhm erano amicissimi: diresse le prime di Daphne e Schweigsame Frau, che sono proprio dedicate a lui! Le sue interpretazioni sono quindi sempre intelligentissime e fanno forse un testo “a parte” rispetto agli altri…
Nel novembre 1970, la Deutsche Grammophon aveva registrato le performance di Böhm alla Staatsoper di Amburgo, con Gwyneth Jones, Dietrich Fischer-Dieskau, Richard Cassilly, Mignon Dunn e Wieslaw Ochman e le aveva montate in un live collected che aveva commercializzato con successo… ed era una lettura molto interessante: pazzoide, smodata e bacchica, davvero aderente alla natura spesso lubrica della musica, con una Jones calda e vivida…
Quattro anni dopo, Böhm fa la colonna sonora al film Unitel di Götz Friedrich…
Unitel non ha comunicato né lo studio di registrazione né quello usato per le riprese, e ha solo messo copyright 1974 e phonogram addirittura 1988, quando il film viene distribuito in VHS…
Erano altri tempi: i filmopera in studio erano una cosa strana
la RAI, in Italia, dagli anni ’50, e le televisioni della DDR a partire almeno dal 1968, li riprendevano davvero come se fossero cose teatrali (evidenti fondali dipinti, costumi di indicibile paccottiglia anche fumettara), con tanti piani sequenza (il più teatrale degli espedienti cinematografici), ma spesso con “direttive” prettamente televisive (l’infinita frontalità data dalla quasi mancanza di controcampi) e allestimenti di pedissequo e cristallino gemellaggio con le didascalie dei libretti; negli anni, soprattutto nella DDR, grazie a registi come Walter Felsenstein e Wolfgang Nagel, ogni tanto, le riprese potevano essere un po’ più varie, ma, tutto sommato, si rimaneva nella trasmissione televisiva
Rolf Liebermann (col suo regista più assiduo Joachim Hess), ad Amburgo, e gente come Vaclav Kašlik in Repubblica Cèca, almeno dal 1968, ogni tanto, timidamente, aprivano alle esterne, ai titoli un po’ al di là del repertorio standard (soprattutto Liebermann, grande campione del Novecento), e cercavano di fare effettivi film, senza allusioni alla performance teatrale e con dei veri controcampi… ogni tanto anche con alcuni accennatissimi espedienti di visualizzazione della musica, in accordo alla videomusic di allora, tipo stacchi a ritmo e sinestesia cromatica…
La Unitel si era in un certo senso formata con le idee di Herbert von Karajan, tutto sommato accodate alle realizzazioni della RAI e della DDR, ma aveva anche assunto registi più anticonformisti, capaci di svecchiare l’andazzo, tipo Jean-Pierre Ponnelle (che lavorò con Karajan nel ’74) o Franco Zeffirelli, molto aperti alle riprese esterne e a una fotografia cinematografica curata…
anche perché nel 1975 viene distribuita la Zauberflöte di Ingmar Bergman, il cui successo di critica mette tutto il genere in discussione: è soprattutto dopo Bergman che Ponnelle e Zeffirelli possono assumere gente come Armando Nannuzzi e Pasqualino De Santis e portare i loro prodotti anche sul grande schermo, e che Liebermann (trasferitosi da Amburgo all’Opéra de Paris) si sente pronto a “gestire visivamente” (con Patrice Chéreau, Yvon Gérault e Bernard Sobel) la Lulu di Alban Berg, produrre (con Lorin Maazel) il Don Giovanni di Losey (’79), con i suoi successori a portare al cinema la Carmen di Francesco Rosi (’84, la cui fotografia è proprio di De Santis)… Il successo di Bergman aiuta a rendere visivo anche il Festival di Bayreuth, con Patrice Chéreau ad assistere Brian Large per la primissima ripresa del Ring di Wagner nel 1980…
Quando Böhm accetta di fare il film di Salome, però, Bergman ancora non era uscito, e il regista designato è Götz Friedrich, persona molto polarizzata tra lampeggianti idee eversive e innovative, e risacche di paludata ovvietà da immaginario collettivo
Il suo film Unitel cerca in tutti i modi di fare roba non banale: l’inizio è in un piano sequenza non “teatraloso” (non tipo RAI), con il personaggio cantante che entra a ritmo nel long take; Salome si rivolge spesso in macchina (la poetica del primo piano rivolto in macchina era un fissa di Ponnelle), e se ne dimostra consapevole quasi ammiccando verso la cinepresa con le mani e le braccia; certe soluzioni di montaggio (specie nella Danza dei sette veli) spiccano…
ma, tutto sommato, si vede che l’intento è quello di fare una sorta di versione standard, al di là del tempo, che uscisse subito classica, che rappresentasse per sempre una Salome da immaginario collettivo, e quindi con gesti risaputi, costumi parrucconi apposta per non alludere troppo all’oggi, e, nell’intento di «non invecchiare», risultante subito «vecchissima»… anche a livello di ripresa, dove, nonostante tutto, la fotografia non riesce mai a non far pesare il crinolinoso e posticcissimo set…
Böhm si adegua con una lettura molto più lenta di quella di quattro anni prima, certo sontuosa per quel che riguarda il suono, e che conserva qualcosa della barbarie del live amburghese, specie alla fine e nelle scene iniziali di Jochanaan (un generico ma più che buono Weikl), ma con una corte di Erode lentissima e un Hans Beirer bradipesco…
Nonostante tutto, Teresa Stratas c’arriva: all’inizio con diverse difficoltà, ma con un impegno davvero ammirevole…

1977:
Herbert von Karajan, Wiener Philharmoniker
Salome – Hildegard Behrens
Jochanaan – José van Dam
Herodes – Karl-Walter Böhm
Herodias – Agnes Baltsa
Narraboth – Wieslaw Ochman

Stessa orchestra e stesso studio che aveva assunto Solti 16 anni prima (la Sofiensaal di Vienna: nonostante la post-produzione prolungata, fonti autorevoli indicano il disco inciso dal 10 al 20 maggio ’77), ma l’etichetta è EMI (anche se circola una leggenda che questi ultimi contratti EMI di Karajan, nella seconda metà degli anni ’70, prevedessero l’impiego di tecnici Decca, per chissà quale retaggio dei privilegi di cui godette Karajan in Decca 15-20 anni prima)… Tra Solti e Karajan si narrava una leggera antipatia (come si narrava tra Karajan e Bernstein): alcuni morbosi del pettegolezzo, nella blogosfera, riferiscono di un Karajan forse geloso del successo del Ring di Solti e Culshaw, gelosia dovuta, magari, al fatto che Karajan, almeno stando ai pettegolezzi, era tra quelli che riteneva una pessima idea incidere il Ring in studio, e rifiutò ingaggi coevi a quello, rivelatosi milionario grazie alle royalties, di Solti, o, addirittura, lo stesso contratto che venne poi affidato a Solti: ma siamo nell’area delle leggende (Karajan lo registrò eccome un suo Ring in studio, alla Jesus-Christus-Kirche di Dahlem a Berlino con i Berliner, sotto l’egida Deutsche Grammophon, tra 1967 e 1970: 10 anni dopo il Ring di Solti/Culshaw)…
Karajan usa questa lettura in studio per preparare le performance che nel ’78 avrebbe diretto a Salisburgo con lo stesso cast, seguite da un paio di broadcast radiofonici forse dal Musikverein…
Karajan non era più di primo pelo, ma gli anni ’70 sono stati veramente importanti per il suo divismo… curioso che con Salome non ebbe per niente un rapporto stretto: prima di questo disco si conta solo l’esecuzione alla Scala di Milano, 20 anni prima (con Christel Goltz), e un giovanile tentativo addirittura nel 1929 (Karajan ha solo 21 anni) al Mozarteum… è come se in questa incisione non solo volesse dettagliare l’ermeneutica per lo spettacolo di Salisburgo ma cercasse di scolpire la sua «unica e sola» Salome
L’esperienza e la sua acribia di animale dello studio, affinata in 30 anni di divismo mistico idolatrato, si sentono tutti in questo disco… È lentissima ma sontuosissima, carichissima di lusso sonoro, roboante e potentissima! In effetti spacca a mille!
Ha però il difetto di tornare un po’ alla concezione di poema sinfonico con parole, e quindi, magari, manca di verve narrativa… e rischia di essere solo ninnolo per i puristi della bellezza del suono inciso più che una effettiva performance di un’opera di teatro… luccica così tanto da abbagliarti e magari lo squallore sconcertante fin de siècle della pièce e della musica lo fa squillare bene, ma dal punto di vista della superficie e del décors più che per comprensione di ciò che avviene…
anche se questa distanza è forse insita nella stessa musica di Strauss, che, per alcuni, non crede a Wilde…
per tanti, questa incisione è bellissima e forse il disco (proprio disco d’opera tout court) più bello della storia (esagerazioni dovute all’uso sapiente dello studio, ma sono valse tanto che, in effetti, nessuno più è tornato a registrare in studio la Salome prima dell’invasione dei tre super Mehta/Ozawa/Sinopoli di 13 anni dopo), ma per altri la non comprensione della morbosità malata, traslata in bellezza di suono invece che in sfacelo della società, dà fastidio…
Hildegard Behrens è comunque, con Studer, forse la voce più seducente della discografia incisa!

1990:
Zubin Mehta, Berliner Philharmoniker
Salome – Éva Marton
Jochanaan – Bernd Weikl
Herodes – Heinz Zednik
Herodias – Brigitte Fassbaender
Narraboth – Keith Lewis

Come abbiamo visto altrove, il 1990 fu un anno in cui, chissà perché (per esorcizzare con una corazzata di major il demone Karajan?), le etichette discografiche si dedicarono assai a Salome
Mehta registra nella Jesus-Christus-Kirche di Dahlem a Berlino dal 3 all’8 e il 12 novembre…
Rispetto ai sempiterni Wiener, il suo disco si distingue per la presenza dei Berliner, che davvero sfrutta ed eterna al meglio: il loro suono è maestoso e dai dettagli sopraffini, e rivaleggia con i più postprodotti Wiener di sempre…
Purtroppo, Mehta non è da 10 e lode: quasi sempre tiene tutto molto misurato e ricerca i dettagli in sordina, interpretando gli horror vacui liberty con modalità leggere e cristalline, forse cercando di rispettare i dettami di Strauss, che disse che Salome andava diretta come se fosse stata scritta da Mendelssohn…
In ogni caso acchiappa gli accenti tensivi dove servono e nell’arioso finale scova un sentimentalismo lisztiano inaspettato e molto coinvolgente…
Il cast è molto buono: Éva Marton (allora gemellata con Mehta in diversi progetti: e.g. la Tosca di Miller e i Gurrelieder a Firenze) ha una voce da matrona ma sul finale strombazza molto tagliente di follia in maniere molto calde e fascinose…

1990:
Seiji Ozawa, Staatskapelle Dresden
Salome – Jessye Norman
Jochanaan – James Morris
Herodes – Walter Raffeiner
Herodias – Kerstin Witt
Narraboth – Richard Leech

Nello stesso novembre 1990, Ozawa registra Salome alla Lukaskirche di Dresda…
Ozawa e Norman ebbero una collaborazione molto proficua, e certamente Norman è la cosa migliore di questo disco, perché Ozawa legge Salome in maniera tragica e disperata: il suono è eccelso ma è lentissimo, mormorato e marmoreo… è di quelle bellissime se lette con la partitura sott’occhio ma che di normale annoiano…
Anche la lettura Ozawa/Norman della Carmen (incisa a Parigi nell”88) è lenta e tragica, ma lì il risultato, del tutto diverso da tutti gli altri, dava un taglio interpretativo accattivante… nella Salome, questo approccio, del più ortodosso sistema da poema sinfonico con parole (dalle parti di Karajan e Krauss), rimane un dilemma: Salome diventa una sinfonia romanticissima, alla Beethoven più ieratico e serio, che funziona più come mistero religioso
Molto interessante anche lo ieratico James Morris…

1990:
Giuseppe Sinopoli, Deutsche Oper Berlin
Salome – Cheryl Studer
Jochanaan – Bryn Terfel
Herodes – Horst Hiestermann
Herodias – Leonie Rysanek
Narraboth – Clemens Bieber

Basata su uno spettacolo live alla Deutsche Oper, allestito da Peter Weigl a settembre ’90 e ripreso in video da Brian Large, con Catherine Malfitano, Simon Estes, Hiestermann e Rysanek…
A dicembre, solo un mese dopo Mehta e nello stesso studio, Sinopoli cambia Malfitano ed Estes con Studer e Terfel…
Sinopoli non ha i Berliner, ma è un interprete straussiano davvero massimo, che sfrutta tutte le potenze possibili e tutte le sapienze musicali immaginabili, con Cheryl Studer al top dei top: carina, cerbiattosa e perfettamente dissociata tra parola e pensiero…
Lei e Sinopoli costruiscono una lettura sempre goduriosamente asimmetrica, violentissima, che pur rinunciando a tutti i sentimentalismi romantici (la cosa si sente nel finale), è forse la più psicanalitica, e quella in cui si sentono di più, in ogni suono, i lapislazzuli Secession e l’eleganza feroce dell’Art Nouveau: Sinopoli, da grande conoscitore artistico, riesce davvero a tradurre in suono i quadri di Franz Stück, le decorazioni “inutili ma indispensabili” di Klimt e Olbrich, le inquietudini tragiche del fin de siècle, che, magicamente o morbosamente, si esprimevano con quell’eleganza tecnicamente prodigiosa, quell’art pour l’art che lambiva l’Espressionismo scuro senza però mai arrivarci, pur conservando raggrumato tutto il suo portato denso di trauma, che Strauss aveva così tanto respirato e che tanto voleva incarnare in questa sua terza opera ansiosa di successo!
Sinopoli è forse quello che comprende il sostrato culturale più di tutti e, con gli argomenti degli esperti e senza temere alcun confronto blasonato (Sinopoli era più giovane di Mehta e Ozawa, anche se già godeva, da una decina d’anni, di diversa stampa favorevole) fa un portento di disco, veramente stupendo, che non a caso è additato spesso come l’exemplum

1994:
Christoph von Dohnányi, Wiener Philharmoniker
Salome – Catherine Malfitano
Jochanaan – Bryn Terfel
Herodes – Kenneth Riegel
Herodias – Hanna Schwarz
Narraboth – Kim Begley

Incisa dall’11 al 18 aprile al Konzerthaus di Vienna… Dohnányi, per l’ennesimo disco con i Wiener, guida molto bene le masse, in una lettura misurata tra l’amore per il suono di per sé e l’istanza narrativa: una sorta di via di mezzo tra Mehta e Karajan, somigliante a Leinsdorf ma con alcuni guizzi geniali in più… Malfitano, comunque, è in spolvero!
Non è un portento né una meraviglia, dati i precedenti, ma se uno si trova ad ascoltare solo questa non trova una brutta Salome

1997:
Michael Schønwandt, Danmarks Radio Symfoniorkestret
Salome – Inga Nielsen
Jochanaan – Robert Hale
Herodes – Reiner Goldberg
Herodias – Anja Silja
Narraboth – Deon Van Der Walt

Registrato alla Danmarks Radio Koncerthuset di Copenaghen, tra 18 e 23, e poi dal 25 al 29 agosto, è forse rimasta l’ultima Salome in studio, prima della crisi del disco
Schønwandt è forse poco pronto alla lascivia musicale di Salome, e l’orchestra non è così sensibile all’horror vacui Secession: tutto sommato l’andamento è leggermente lentino, e neanche la sacralità di Jochanaan è al top…
ma lo sforzo è sommo e la giustificazione stanislavskiana è imperiale: è una musica davvero recitata
soprattutto giustamente selvaggia è la corte di Erode: in particolar modo è di eccellente verve l’enumerazione delle ricchezze, forse per la prima volta una rapida elencazione folle e non mero compiacimento sonoro…
Un testo, quindi, che si ascolta molto volentieri!
Essendo rimaste soltanto in strepitosi live le performance di Karita Mattila, Nadja Michael, Malin Byström o Asmik Grigorian, Inga Nielsen rimane una delle ultime ad aver affidato la sua voce al disco, ed è davvero incantevole: infantilissima e insieme cattivissima, come in preda a un infinito capriccio!

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