«Arlecchino», spettacolo di Zaches Teatro al Materia Prima Festival

Un spettacolino lussuosissimo nella fattura e molto carino nel testo…

In un teatro vuoto, diroccato, franante e fatiscente, la Morte in persona, stanca di essere “seguita” solo da tre topini scemotti, che non capiscono le sue battute shakespeariane, rimpiange i tempi di quando c’era Arlecchino: tempi fatati e leggendari, quando Arlecchino era un re, Re Elra, trasformato in mito-maschera da una trappola del demoniaco Re Nano…

Però tre Pulcinella irrompono nel teatro: stanchi e affamati, sono proprio alla ricerca di Arlecchino, il leggendario Arlecchino che li guiderà verso il successo teatrale e che cercano da tutta la vita (una vita di stenti e perenne fame)…

Nel vederli, la Morte è felice: sono professionisti, non come i topastri ignoranti: con quei Pulcinella la Morte potrà mettere in scena uno show bellissimo…

…oppure quei Pulcinella sono solo vittime di una trappola simile a quella in cui è caduto Re Elra…

spettacolo di macchineria e di stupefazione scenotecnica, agito fantasticamente da Gianluca Gabriele, Amalia Ruocco ed Enrica Zampetti (regia di Luana Gramegna, elaboratissime scene di Francesco Givone e musiche sontuose di Dylan Lorimer), con immaginari da musical (i lampadari vengono giù, strillano di scintille e lampeggiano di bagliori come Phantom of the Opera), da fiaba nera (alla stop-motion di Tim Burton), tutto sommato molto puccioso e adatto ai bambini più pronti al senso di Halloween (i topolini iniziali sono adorabili, e la materia teatrale è quasi da spettacolo magico), che finisce, forse, per raccontare l’eterno ritorno malinconico della continuità della vita e dell’ineluttabilità della morte (i due poli di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino) con nuance alla Debussy e Maeterlinck (e riecco Burton), o anche solo alla Celentano (la sua L’ascensore ricalcata su Sixteen Tons grazie a Miki Del Prete e Pinuccio Pirazzoli), e almeno una citazione diretta da Petruška di Stravinskij (quando i Pulcinella sono prossimi alla Morte vedono Arlecchino, mobile e gioioso a ballare con loro: ma è solo una marionetta, come il fantasma di Petruška alla fine della coreografia di Fokine)…

È tutto carino, nutriente e ben fatto, e si esce di sicuro contenti…

…ma è anche vero che il flat circle della vita è evidente fin dalla prima battuta;
…che il racconto della nascita dell’illusione del Re Elra, con i calchi beckettiani, è da primi della classe in attesa delle lodi che già sanno che riceveranno (il famoso «lodami lodami lodami» della Ropponmatsu Nishinki di Excel Saga);
…che i simbolismi sono risaputi e vanno per le lunghe (i Pulcinella ovviamente muoiono, ma morendo vedono l’Arlecchino vero, non la marionetta, che invita bambini del pubblico sul palco a “iniziare” un nuovo ciclo: ai bambini viene offerto anche un cappellone di Pulcinella: è il famoso «maintenant, à sa place c’est au tour de la pauvre petite»);
…che i lazzi dei Pulcinella, pur fantasticamente coreografati, sono intermimabili….

è uno spettacolo visivo, tutto ballato, con una scena inconscia di degrado del mondo/mente (settecentesca/o ma con cascami odierni: una mente/mondo altra/o dal tempo) che esprime in deformazioni graveyard gotico-burtoniane quanto la vita di illusioni che ci autocostruiamo non è effettivamente vita ma è messa in scena di una vita, allestita dalla Morte: una vita che è essa stessa la morte, lo spettacolo illusionistico di quel decesso continuo che è l’esistenza (messaggio nichilistico targhettizzato per i bambini: geniale!)…
…aveva tutte le carte in regola per piacermi ed essere oggetto delle mie più ampie adorazioni…

…invece boh…

proprio la sua targhettizzazione infantile, e la sua fantasmagorica esecuzione splendidissima, me l’hanno fatto un po’ rimanere distante, come un soprammobile bellissimo, meraviglioso e arte pura, ma, tutto sommato, lì a non far altro che prendere polvere…
…quasi forse come un disco di Karajan degli anni ’77-’81! (proprio quando Karajan decide di registrare Pelléas et Mélisande! Ma guarda tu!)

[c’è poco da fare: a meno che non ci siano di mezzo Strauss o Prokof’ev, a me la Commedia dell’Arte mitizzata in sé per sé m’è sempre rimasta sul gozzo]

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