Continua il Materia Prima Festival del Teatro Cantiere Florida con questo enigmatico show scritto e diretto da Francesca Sarteanesi (con Tommaso Cheli)…
in scena solo Sarteanesi e Alessia Spinelli, ai due lati opposti del palco, destra e sinistra, quasi “sdraiate” dietro un vetro da effetto pixellato celestino…
il testo recitato allude al fatto che Sarteanesi (il personaggio si chiama Nikita) si stia facendo fare la pedicure da Spinelli, ma le due sono troppo lontane l’una dall’altra…
il testo recitato indica lo spazio come una veranda o un terrazzo…
…a me quel vetro celeste, sulle prime, ha dato l’idea di una sorta di piscina…
oppure quei finti arbusti che si mettono intorno ai terrazzi per dare l’idea di verde in mezzo al metropolitano…
in tempi non precisi, ogni tanto, fasci rotondi di faretti colorati si mettono a vorticare tra palco e platea…
in sottofondo, come voci stradali, si sentono quelli che sembrano i suoni di una radio, ma che invece sono rumori di un luna park… leggendo la presentazione in brochure si evince che Nikita è infatti un luna park a Pistoia…
il personaggio Nikita parla a Spinelli, molto logorroicamente (in una koinè italiana di dizione perfettissima, che esula dal doppiaggese solo grazie ad alcune caratteristiche familiari un po’ più vive), in una sorta di Stream of consciousness o di enunciazione sinaptica alla Proust, di certe sue avventure del passato, occorse o immaginate…
di quando ha passato una notte d’amore con Julio Iglesias a Venezia, per esempio…
di quando ha accettato quello che sembra un matrimonio combinato…
di quando ha avuto un aborto spontaneo…
di quando ha rifiutato queste o quelle avances…
di quando gestiva una ruota panoramica sul mare, impresa poi fallita…
si lamenta del marito di Spinelli, Alvaro, con Spinelli lì ad assentire, muta: Nikita non le permette di prendere parte al suo monologo…
Nikita va avanti con la sua logorrea per quasi un’ora…
le attrici quasi non si muovono: rimangono lì…
il vetro smerigliato celestino rimane lì…
la ruota dei cerchi variopinti di luce balena ogni tanto…
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seguire il proustiano di Nikita per me è stato pressoché impossibile…
Nikita, nella sua koinè colloquiale ma fondamentalmente autoriferita, sproloquia senza curarsi granché del contenuto: come se si parlasse addosso, fiera del suono affilato e allenato della sua voce…
la sua prosopopea mi ha veramente intontito: a un certo punto non ci ho capito più niente…
le mie consuete voglie psicanalitiche mi hanno fatto concludere che era, davvero alla Proust, tutto una proiezione mentale di Nikita: la mente di Nikita: simboleggiata anche da quel vetro che a me, sulle prime, ha dato l’idea di acqua (la famosa «acqua = inconscio» di Northrop Frye & Co.), e da quella girandola di luci, randomica, a fare da neuroni sporadici che si incontrano… magari in un sonno…
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dopo un’ennesima storia di Nikita (i suoi racconti sublimano l’uno sull’altro), c’è però un lungo silenzio…
dopo il quale si mette a parlare Spinelli…
che un po’ riprende le storie raccontate da Nikita (soprattutto quella di Julio Iglesias)…
e parla con una sorta di romagnolo rapidissimo, mangiandosi le frasi, risultando anche lei molto difficile da comprendere…
Spinelli parla meno
poi riprende la parola Nikita, e ci dice di quando le è entrato un tafano in casa, e se l’è tenuto per un po’ rinchiuso in una stanza, finché non ha deciso di ucciderlo con uno spillo…
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uno show che dura pressapoco un’ora…
che si fatica a seguire
che quasi si compiace di sfuggire alla fruizione: tutto urla «non potete seguirmi!»: le parole rapide, lo Stream of consciousness feroce, le simbologie incerte, l’improbabilità dei racconti, dettagliati quanto vuoti, di Nikita…
…è tutta roba che non comunica… come il lungo silenzio che precede l’ugualmente nulla risposta di Spinelli…
con, infine, l’avvento della morte crudele e quasi estetizzante del tafano…
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se Sarteanesi voleva buttarci addosso tutta la vuotezza del mondo logorroico, inconcludente e noioso, così tanto da raggiungere la crudeltà mortifera, in cui tutti oggi viviamo, c’è riuscita alla grande…
io sono uscito sfiancato, annoiato, allappato da questo interminabile monologone volutamente soporifero, impossibile da comprendere e inconcludente se non nella morte gratuita e da banalità del male…
se l’intento era abbattermi con tutta la vuotezza della società in cui viviamo, espressa in un monologo atroce che la allegorizza, ok…
…se voleva essere qualcos’altro, allora boh…
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