Per il terzo show, il Materia Prima Festival torna al Teatro Cantiere Florida, dopo le “trasferte” in case private, con uno spettacolo che usa la sceno-illumino-tecnica e la gestica attoriale in maniera paradisiaca…
L’attore Mario Russo è quasi sempre da solo in scena a recitare il testo di Dino Lopardo, un monologone di 1h in uno sgargiante siculo letterario…
Recitando, Russo fa tutti i personaggi, e ogni tanto compare con lui Alfredo Tortorelli a impersonare, spesso sullo sfondo, i ricordi deformati, le violenze e i lutti che Russo narra…
Narrando, Russo rattrappisce ed esalta il suo corpo impersonando una pratica attorico-ginnica di smagliante lustro e lusso: una roba che io, nella mia limitata bolla, ho visto quasi solo a Pontedera negli allievi di Grotowski: un attore che non solo è personaggio ma è complesso organismo mimetico-narrativo solitario (non è la piccola “folla” che ci ha fatto vedere Murmuris nelle Case del malcontento)… sembra quasi il Petruška di Fokine, che però parla…
Parlando, Russo interagisce con luci e scene, progettate dallo stesso Dino Lopardo, di un’efficacia costruttivo-diegetica sconcertante: un unico marchingegno mobile con incorporati tutti gli oggetti e i macchinari richiamati dal testo: vasche da bagno, lavatrici, pentole, lavelli, lavandini, mura graffitate: tutto contenuto e fuoriuscente nel e dall’attrezzo, da cui scaturivano perfino fumo e acqua e sul quale si riflettevano, roboanti, le luci colorate ferocissime dell’atmosfera inconscia [da paragonare ai moduli di Francesco Micheli nella Trilogia popolare del Maggio del 2018, però molto meno potenti]…
qualche volta, la scena si allungava, mostrando il retro del palco, dove si intravedevano i simboli dei probabili fattacci narrati: paperelle gonfiabili giganti, piscine e immagini mentali ad apparire e sparire sul trasparente, con effetti simili a quelli di Storaro e Coppola in One from the Heart…
A livello attorico e costruttivo, Affogo è una roba che stende: proprio grandini di lacrime per quanto è ben compiuta, ben recitata e ben realizzata…
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a livello drammaturgico, il testo è interessante, ma, forse, meno ficcante…
il siculo letterario è ghiotto, ma le funzioni inconsce e i traumi narrati, tutti interpretabili, dai genitori assenti o morti (come nei Paperi Disney/Barks), agli zii pervertiti, alle filastrocche fiabesche evocative (la storia della paperella che, vergognosa di aver scambiato il riflesso della luna per un pesce, per paura di altri errori non prende più pesci e muore di fame), agli istruttori di nuoto pedofili, ai luoghi dell’orrore vario ed eventuale (la piscina è il crogiuolo delle tragedie, popolata dei vecchiacci maligni alla Polanski di Rosemary’s Baby e del Locataire), al fattaccio numero 1 (la morte, ovviamente per affogamento, accidentale o no, del fratello del narrante, forse Down forse no: ammetto che potrei non averci capito un ciufolo), sfociano nel brodo primordiale che «era bene non essere mai nati perché la vita o è merda di per sé o te la fanno vivere male le persone incattivite a loro volta da altri incattiviti» dei Fratelli D’Innocenzo o del recente Pigen med nålen, con fievoli ricordi perfino dal Tommy degli Who e di Ken Russell…
un brodo primordiale che Lopardo e Russo sono bravi a far virare verso certe accezioni grottesche perfino divertenti per qualcuno (diverse evocazioni strapaesane dei ricordi d’infanzia, con l’aneddotica della gente svampita o parodicamente maligna, hanno fatto ridere molto il pubblico), ma che, tutto sommato, non afferma tanto di più del solito «tagliamoci le vene, tanto si sta male» che tutti proviamo tutti i giorni…
ma qui sono io che pecco di insensibilità e di nichilismo…
lo spettacolo è bello e le sue magie scenico-attoriche portano davvero via: sono proprio un prodigio tutto da ammirare!
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