Rigoletto (Livermore/Ranzani) al Maggio Musicale Fiorentino

Tanti i Rigoletto al Maggio, ma ancora enumerabili

Quello allestito da Ugo Bassi e Mario Rossi ha spopolato parecchio in tempo di guerra: 1939, 1942 e molte repliche nel 1944-’45…

nel 1950, Emidio Tieri ne fa uno suo…
nel 1953-’54 fa poche recite quello di Carlo Maestrini (con Bruno Bartoletti e Vittorio Gui)…
nel 1962 fa molte repliche la scena di Tatiana Pavlova e Bruno Bartoletti…
nel 1965: Lorenzo Frusca e Nello Santi…
un allestimento di Eduardo De Filippo si dà nel 1966 (con Carlo Maria Giulini) e nel 1971 (con Argeo Quadri)…
…da allora 13 anni di iato fino allo scandaloso spettacolo di Jurij Ljubimov del 1984, mai più replicato…
nel 1989 fa una breve comparsa lo show di Giancarlo Cobelli (con Eduardo Mata)…
…e ben 14 anni di iato fino alla replica di Graham Vick del 2003 (con Fabio Luisi)…
nel 2009, Rigoletto fa parte di una Trilogia popolare di Franco Ripa di Meana, a dirigerlo Stefano Ranzani…
nel 2015, Zubin Mehta fa il suo primissimo e per ora unicissimo Rigoletto al Maggio, con allestimento di Henning Brockhaus…
nel 2018 c’è la Trilogia popolare di Francesco Micheli e Fabio Luisi
già nel 2019 quello stesso Rigoletto di Micheli viene replicato con Renato Palumbo…
nel 2021 debutta lo spettacolo di Davide Livermore e Riccardo Frizza in uno dei lockdown: lo dànno in streaming a febbraio, e lo replicano il prima possibile col pubblico a ottobre…

quello spettacolo si replica oggi, nel 2025, con Stefano Ranzani, al suo secondo Rigoletto fiorentino dopo il 2009…

Gilda è Ol’ga Peretjat’ko, alla soglia dei 45 anni…
Rigoletto sarebbe Daniel Luis de Vicente, ma io ho beccato il povero Leon Kim, impegnato solo in una recita… bell’impegno!
Il Duca è il caro Celso Albelo, classe 1976…
Sparafucile è Alessio Cacciamani, sempre un buon basso…
Maddalena è Eleonora Filipponi, due anni fa unica nota positiva di un Otello di Mehta quasi da sfacelo…

il Rigoletto di Ranzani del 2009 io l’avevo pure visto!
allora, Ranzani non azzeccò un attacco che fosse uno…

dopo 16 anni non è cambiato granché…

è stato un Rigoletto mortalmente moscio…

l’orchestra languida e molto trattenuta (sono stati blandi anche gli scoppi del «Sii maledetto» e di «Io vo’ mia figlia!»), senza le stilettate sonore taglienti e accentate della partitura, ha prodotto un Rigoletto pieno di legati ritmicamente pessimi, melodiosi senza alcuno scavo ermeneutico, con ogni sezione a suonare per conto suo quasi allo stato brado, in una concertazione che si è adagiata sugli allóri del classico «tanto la musica è bella come la fai, la fai, sicché chissene della precisione, della narrazione, dell’intepretazione»…

in un’impostazione simile hanno fatto eccezione, un pochino, il quartetto, per lo meno irreggimentato a dovere, «Piangi fanciulla», impreziosita da un timidissimo rallentando miracolosamente voluto e ben concepito, e il finale con Gilda morente, che se ti viene male quello, che prende per forza, allora è bene smettere di fare musica dal vivo (il prolungamento di un acuto d’agonia è stato davvero efficace)…

il resto è stato una sorta di professionale sbrodolìo: una lettura senza arte né parte, neanche divisa in episodietti ognuno per sé, alla Dahlhaus, ma intesa tutta insieme come indistinta: un reading quasi inespressivo, neanche inteso come tutta musica senza narrazione, perché non erano rispettati neanche certi snodi completamente musicali: i duetti padre/figlia avevano sì gorgheggi ben fatti ma non solo non avevano il nervo della diegesi ma non avevano neanche lo scintillìo di chi canta e ci crede, neanche l’estasi del suono per il suono: erano, appunto, un eseguito comodo, di quelli che non ti ci immedesimi, quasi più una prova che uno spettacolo

L’allestimento di Livermore era ripreso da Stefania Grazioli…

non aveva i contro dello spezzettamento drammaturgico di Trovatore a Bologna, ma al contempo non aveva granché pro…

credo che Livermore non abbia compreso neanche Rigoletto
ma è più facile sia io che non comprendo Livermore…

l’azione è spesso completamente scollata dal tono della musica e le ambientazioni non sembrano giustificate dalla gestica…

la casa di Rigoletto è una lavanderia con tante lavatrici…
quando Livermore mette in scena questo Rigoletto nel 2021 era fresca l’ambientazione Wash & Dry di Krzysztof Warlikowski e Kirill Petrenko per la Frau ohne Schatten di Strauss alla Bayerische Staatsoper del 2017, ma in quel caso l’ambientazione era la casa di un tintore…
Rigoletto abita in una lavanderia inconscia perché?

per prendere alcune foto di famiglia sulle lavatrici, Gilda sale su una scaletta lignea che la fa innalzare solo pochi centimetri, che non agevolano affatto la presa delle foto che Gilda avrebbe potuto effettuare anche senza la scaletta…

durante «Caro nome» alcune lavatrici e i lampadari a neon vengono spostati fuori scena, con dispendio di macchineria, e alla fine dell’aria vengono rimessi al loro posto come se niente fosse… vabbè che c’è l’aria da allestire, ma il canto di Gilda non ha richiesto lo spazio creato né le luci hanno sottolineato il suo imbambolarsi sognante che magari quello spazio voleva significare…
sicché lo spostamento delle lavatrici e dei neon cosa c’è stato a fare?

nella lavanderia, il Duca si palesa con un pesante colpo di pistola che fa lampeggiare a intermittenza i neon: l’effetto creato è suggestivo, ma scenicamente non ha senso…
Gilda e Rigoletto stanno lì dopo il colpo di pistola come se il colpo di pistola non fosse avvenuto e cantano i loro addii come se le luci non lampeggiassero…

Ceprano e la moglie, all’inizio, vengono forzati dal Duca a fare parte della festa, e magari questo giustifica la voglia di vendetta di Ceprano e magari trova sensi alle battute «in testa che avete», visto che Ceprano ha “in testa” la pistola del Duca, ma passano pochi minuti e Ceprano torna a essere il cortigiano qualsiasi che ce l’ha con Rigoletto e non col Duca… e la moglie di Ceprano, da seviziata schiava timorosa diventa come per magia una delle tante odalische del Duca…
per cui?
che senso ha avuto l’inizio?

il personaggio di Gilda, già assai problematico in Hugo (l’eterno angelo di Hugo, bella come una madonna, buona come una santa, ma incapace di ragionare se non per autodistruggersi come pegno d’amore: sono così anche Éponine, Esmeralda, Dea ecc. ecc.: e non sono personaggi scemi ma simboli della tragedia della bontà e dell’amore: ci sarebbe da maneggiarli con molta attenzione), è inondato da gesti ai limiti della sconnessione cerebrale: Rigoletto le parla e lei giocherella con una televisionaccia nella lavanderia, che non si sa cosa voglia simboleggiare, e passeggia senza meta…

Rigoletto fa pose tradizionali di puro metateatro: quasi da maschera tragica: poi fuma come un turco in atteggiamenti da gangster noir… boh…

certi décors leitmotivici (il teatrino col fondale con la scritta «follow your dreams») sono solo cellule di puro utilitarismo macchinistico (per far costruire la scena lunga successiva), che si rivelano gratuiti di senso…

forse suggestive le qualità costruttive, soprattutto luministiche e figurative, che creano alcuni tableaux vivants che colpiscono un po’ l’occhio e indubbiamente suscitano rispetto per la τέχνη impiegata e le professionalità coinvolte (molto bello il quadro video dell’inizio e del secondo atto)…

ma il lounge bar di Sparafucile (anche quello popolato da continui cambi di posizione di oggetti non giustificati: il pianoforte viene spostato a destra per poi tornare a sinistra dopo pochi secondi e non si sa perché) arriva per illustrare «La donna è mobile» e il quartetto e poi torna via senza lasciare traccia…

sicché boh…

un pochino più ficcante l’ambientazione squallida della metropolitana sotterranea dell’ultimo quadro, ma allora sarebbe stato carino vederla anche prima, magari anche nel preludio o alla fine del primo atto…

in poche parole: è un allestimento pastrocchio, da pesca a strascico di scene e ambientazioni che punta, come tutti gli allestimenti di Livermore, sull’ammirazione del know how… ma in quanto a comprensione del testo, bah… e meno che mai c’è comprensione della musica…

in un allestimento simile, i cantanti hanno vita difficile…

con un personaggio mal costruito e con un direttore spreciso, Ol’ga Peretjat’ko ha fatto quanto ha potuto: ha un po’ calato negli acuti, ha optato per abbassamenti comodi, e ha fatto sentire quanto oramai sia pesante per Gilda…
ma con tecnica, mestiere e doti attoriali da serie A ha dimostrato di essere forse la meglio del branco…

Albelo l’ha cantata come si cantava negli anni ’60: con le N vocalizzate («la donna è mobile qual piuma al veNEto, muta d’acceNEto e di peNEsiero»), potenze dove torna meglio (note centrali sparate perché ci si arriva bene), anche quando le potenze non c’entrano nulla, e rimpicciolimento là dove è più difficile…

Leon Kim, nella sua sola recita, ha cercato di fare il mattatore e musicalmente è stato diligente, ma certamente non ha fatto piangere, anche perché l’allestimento e il direttore non lo hanno mai aiutato davvero (Ranzani ha optato per gli acuti su «Mi coglierà sventura? Ah no, è follia» e su «All’onda», ma non lo ha voluto su «un vindice avrai»: c’è del metodo? io non l’ho visto)…

stavolta Eleonora Filipponi è stata grave e pomposa su Maddalena: sembrava Santuzza vestita da Maddalena…

Non dico che questo Rigoletto rappresenti tempo perso o denaro sprecato…

ma io non ne sono uscito granché contento…

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