La direttrice d’orchestra Tianyi Lu e il pianista Roberto Cominati propongono, con l’Orchestra della Toscana, il seguente programma:
Cantus in memoriam Benjamin Britten di Arvo Pärt;
Burleske per pianoforte e orchestra di Richard Strauss;
Serenata in re maggiore n. 1, op. 11 di Johannes Brahms…
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Strauss aveva una ventina d’anni quando ha scritto la Burleske per pianoforte e orchestra…
e Strauss è campato 85 anni, fino al 1949: ha vissuto molti cambiamenti culturali, forse di più di quelli che altri artisti longevi hanno vissuto (vedi Megalopolis o le resilienze di Spielberg e Scott)…
a 20 anni ha partecipato al modernismo del tempo della sicurezza (espressione di Stefan Zweig, amico di Strauss) della Belle Époque con un brio creativo sì lisztiano ma tutto “nuovo” di concettismi, di filosofismi spiccioli e di estro tecnico-sonoro maestoso tali da farlo salutare da subito come uno dei top di una particolare “neonata” avanguardia che allora, dopo Wagner, sembrava a tutti impossibile…
a 25 anni era già una leggenda: celeberrimo e additato come il massimo dei massimi della musica classica, con pochissimi a essere in disaccordo (quasi soltanto Brahms e Čajkovskij, molto più vecchi di lui)…
quando l’aria culturale cambiò con la Fin de siècle, Strauss cavalcò l’onda e sguazzò felicissimo nei tormenti estetisti: a 40 anni era di nuovo un super con le sue opere teatrali alle quali solo Puccini sembrava proporre alternative valide continuative…
a 50 anni assorbì benissimo il fauvismo feroce di Stravinskij e quasi lo precedette nel neoclassicismo…
non tremò all’avvento della dodecafonia, che, anzi, al pari di Mahler, in un certo senso lo rispettò, e, pur arroccando, mantenne un lustro che lo fece rimanere indenne nella risacca degli anni ’30 e ’40, quando a 70 e 80 anni suonati, e completamente distrutto dal rimorso di aver creduto nel nazismo, riuscì a sopravvivere perfino alla cancel culture di Adorno, rimanendo ancora un esempio per taluni…
e in tanti anni è sorprendente osservare in lui una ferrea coerenza stilistica, anche esagerata da vari aneddoti…
alcuni si ricordano che a 85 anni, quand’era più di là che di qua, lo si sentisse mormorare che la morte tanto vicina era *esattamente* come lui l’aveva messa in musica 60 anni prima nel poema sinfonico giovanile Tod und Verklärung, scritto appunto a 20 anni, coevo della Burleske…
e, al primo ascolto, non si sente granché differenza tra la musica dello Strauss giovanile e quella dello Strauss vecchio…
ok, una cesura tra le cose scritta prima della rabbiosa e ferrera Elektra (1909) e quelle scritte dopo il lezioso e cristallino Rosenkavalier (1911) un po’ si avverte, ma, tutto sommato, tutta ‘sta differenza tra Aus Italien del 1886 e la Alpensinfonie del 1915 non si avverte granché… e, in effetti, in accordo agli aneddoti, la sua ultima composizione completata, i 4 “ultimi” Lieder del 1948 (eseguiti postumi nel ’50), si spegne davvero quasi come Tod und Verklärung…
e anche la Burleske è così: sicuramente giovanile, ma mica così diversa dalle inquietudini post-nazismo…
magari davvero, a 20-25 anni, Strauss trovò una quadra, un quid di lucidità e di compattezza creativa che mantenne per il resto della vita…
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Burleske è una meraviglia…
esattamente come sarà per moltissime opere di Strauss (in modo più evidente, rimanendo nel concertistico, nel Concerto per oboe di 60 anni dopo: Burleske è tra le prime cose composte da Strauss, il concerto per oboe tra le ultime), Burleske si origina da una celluletta, affidata ai timpani (nel Concerto per oboe sono i violoncelli il nucleo del materiale musicale)…
la celluletta fa duetto tra timpani e pianoforte e, ritornando e intorcinandosi, dà vita ad almeno 3 aree che si combinano tra loro: un’area A di pezzettoni appunto concertanti tra pianoforte e piena orchestra, un’area B tranquilla e danzante quasi di valzer (la danza prediletta dal bavaresissimo ma nell’animo viennesissimo Strauss) e un’ultima area C pensosa e un po’ triste…
nel complesso, si può vedere uno schema ABC-ABC con vari sviluppi che ampliano e accorciano le singole parti, per un totale di una 20ina di minuti di musica, finché, dopo almeno 3 rievocazioni del Tristan Akkord di Wagner, l’area C si ripresenta stanchissima e si trasforma in una sfuriata arrabbiatissima tra piano e orchestra, che, sfinita, diventa una scalata di ultime risatine maliziose e poi, all’ultima nota di una progressione in su quasi glissata del pianoforte fa eco un pizzicato unisono degli archi e l’ultimissimo colpo del timpano, singolo, che conclude quell’idea che proprio il timpano aveva proposto…
la parte tranquilla è una delle tante danze “valzeronate” composte da Strauss: ancora senza le vaporose Luftpause di Zarathusta (di una decina d’anni dopo), ma già con un andamento fluttuante a intervalli pieni e perentori, che le dànno quel genuino sapore di Baviera da allora in poi vera cifra di Strauss (tantissime le sbavierate della maturità, tipo i cori finali della Frau ohne Schatten e di Friedenstag), la danza tranquilla evoca una felicità sentita ma meditata, consapevole della sua stessa fugacità: la melodia va su e su, altissima, e ridiscende felice davvero come un tale che saltella in preda alla gioia, ma sa che quella gioia o se la immagina o non durerà: magari è un fugace innamoramento, una bella giornata, o l’ottimismo della volontà, oppure una bella notizia insperata che fa, per un po’, apprezzare la vita…
la sua dolcezza è ancora più potente perché ha in sé una sorta di sarcasmo, di insicurezza, un senso di consapevole autoinganno consolante, che non è deludente, ma è ludico, autoconsolatorio, proprio di chi gioca con se stesso… ed è commoventissimo vedere chi riesce a divertirsi anche quando non avrebbe alcun motivo…
nella parte C, fatta di un sistema di 5 note discendenti, è facile sentire quello che sarà Somewhere in West Side Story, 70 anni dopo…
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le composizioni di Pärt, col loro minimalismo strappacuore, sono sempre motivo di commozione di default, e figuriamoci quando sono composte apposta per piangere come il Cantus in memoriam Benjamin Britten…
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la Serenata di Brahms è invece un pezzo liscio, gioioso, di pura gioia compositiva, del tutto tecnica…
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Roberto Cominati, al pianoforte, ha molto indugiato sull’atletismo forsennato, gettando via molti momenti cadenzali della Burleske, ma non ha mai esagerato, e ha compreso tutti i momenti salienti bisognosi di adeguati rallentando, che ha eseguito prontamente e benissimo…
Burleske è difficile: richiede agli orchestrali di stare in campana e belli forzuti: hanno anche solo pochissime note a riecheggiare col pianoforte, fatte proprio da parti solistiche oltre che dai comparti d’orchestra: cioè, mentre il piano suona, magari un solo flauto, un solo clarinetto e un solo fagotto lo seguono, anche solo con due note (là dove, col timpano e la piena orchestra, il pianoforte fa duetti più duraturi): è un inferno per chiunque farsi trovare solerte, carico e pimpante…
pur con leggerissime imprecisioni da live, l’Orchestra della Toscana si è comportata stupendamente con i suoi professori!
Tianyi Lu ha mantenuto un gesto tecnico capace di fare da vigile urbano nel virtuosismo richiesto e ha mantenuto un suono orchestrale più fievole del solito per non sopraffare il pianoforte (cosa più che regolare al Teatro Verdi), ma ha garantito una concertazione piena di carattere e di intenzioni: allegra ma ironica, come richiesto dal tono della composizione, e con adeguati lampi di rabbia, anche sonora, nei tutti, quando ci volevano…
uno spettacolo!
Cominati, tra i bis, ha fatto una bellissima fantasia pianistica da Over the Rainbow del film del ’39 del Wizard of Oz…
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Lu ha voluto presentare il pezzo di Pärt a voce, parlando inglese, celebrando i 5 anni dall’inizio del Covid…
ha reso Pärt davvero una catabasi dell’anima: un Pärt emozionatissimo, sentitissimo ed estremamente toccante…
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in Brahms, Lu ha ripreso la sua perfezione cristallina, da vigilessa, capace di far procedere liscio come l’olio qualsiasi tecnicismo compositivo della Serenata
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