Daddio

La povera Christy Hall l’ha scritto già nel 2017 e per un po’ l’hanno fatta nicchiare tra pièce teatrale e film con Daisy Ridley… Poi Dakota Johnson c’ha messo dei soldi e ha garantito Sean Penn (suo vicino di casa): il film si è fatto nel 2023 con la Sony…

Arriva in Italia solo ora col titolo Una notte a New York

La sfida di fare un film in un posto chiuso, a limitare i punti macchina possibili, è vecchia, e non è per tutti…

e l’idea di fare il film sulla gente in macchina a chiacchierare, a parte gli esempi di Alberto Sordi (Il tassinaro del 1983) e del classico dimenticato Night on Earth di Jim Jarmusch (1991), è nel relativamente recente Locke di Steven Knight (2013)…

Knight aveva la fotografia del grande Haris Zambarloukos e la musica di Dickon Hinchliffe…

Christy Hall deve averlo tenuto presente perché diversi elementi sono simili al suo Daddio: Hinchcliffe è alle musiche anche in Daddio, per esempio, e un altro vecchio della fotografia hollywoodiana, ossia Phedon Papamichael (classe 1962), cerca di andare al di là dei risultati di Zambarloukos pur seguendone molto fedelmente le tracce…

se Hinchcliffe non fa granché di nuovo con i suoi suonetti sintetizzati, Papamichael (e la vecchia scenografa Kristi Zea, nata nel 1948) aiuta molto a rendere visiva la sceneggiatura di Hall con ottimi colori digitali, eccellenti idee sull’uso degli specchi e sul posizionamento della macchina da presa per ampliare lo spazio ristretto, e, soprattutto, con un sacco di problem solving tecnico per la particolare poiesi scelta, cioè il girare tutto in una 15ina di giorni, completamente in studio, con il paesaggio autostradale proiettato su un avvenieristico sistema di LED (Sordi, 40 anni fa, usò in maniera strabordante la retroproiezione classica, ottenendo un effetto fumettaro, anche se la tecnica non sarebbe di per sé obsloleta: Kubrick e Larry Smith la usarono con grande efficacia in Eyes Wide Shut, nel 1999, per far camminare Tom Cruise per le strade di New York anche se il film era girato a Londra)…

Il drammone di Daddio è però nella scrittura, non nel tecnico…

La solita sbobba della 35enne bella come una 20enne (Dakota Johnson è nata nel 1989) che si confida con un perfetto sconosciuto “paterno” perché, alle volte, fidarsi del primo che passa è molto più rincuorante che farsi giudicare da chi si conosce… è roba che a me non sembra mai verosimile…

E mi è parso insopportabile il boomer (della Generation Jones) che vomita addosso alla 35enne tutti i complottismi grillini più oRendi proprio mentre gioca con lei a fare lo psicanalista de noantri sfruttando i più logori luoghi comuni per fare colpo

Si sente che Hall voleva ottenere qualcosa alla Lost in Translation, col maturo che si incapriccia della ragazzina, ma i personaggi sono meno calibrati, e che l’un l’altro si prendano a badilate di confidenze intime è veramente poco plausibile…

e anche se ci si credesse, quelle confidenze sono appunto frutto di cliché (la 35enne intelligente e in carriera però afflitta dai soliti problemi edipici che le fanno cercare uomini poco adatti a lei), di esagerazioni varie (naturalmente, entrambi non sono persone comuni perché hanno da raccontare aneddoti fantastici e lo fanno con la cura descrittiva esemplare di un Flaubert!), e di schematismi beceri (la rendicontazione del rapporto uomo/donna che fa il boomer, non smentito dalla 35enne, è da voltastomaco, e il fatto che ci azzecchi è ancora più imbarazzante)…

vabbé, per chi si accontenta facilmente rimangono due o tre cosette:
la storia nascosta (quella che la 35enne non confida al boomer) che vede lei ottenere una soddisfazione personale, insieme a una presa di coscienza pro choice per quel che riguarda l’aborto, è nutriente… e l’attimo in cui si ammette che evento e ricordo sono cose che non coincidono è molto carino (peccato che la tematica venga buttata via come carta igienica nel cesso: chissà perché molti film odierni rifiutano le loro stesse trame metacinematografiche, vedi anche quella cagata di Northman)…
Dakota Johnson, nonostante tutto, sembra aver dato tantissimo a questo progetto e, benché con un campionario espressivo da zero virgola, porta a casa alcune sfumature di interpretazione ben messe (al contrario, Sean Penn getta via tutto quanto come se non gliene fregasse un cacchio)…
dura solo 100 minutini, che non dànno fastidio…

e molti, magari quelli che vanno al cinema una volta all’anno, si stupiscono ancora di certe delicatezze da Kammerspiel, e vanno in brodo di giuggiole a vedere solo due personaggi che chiacchierano dei cazzi loro sullo schermo, con accennetti ai gay, ai traumetti d’infanzia, al mondo che cambia e che non si capisce più: tutto rigorosamente all’acqua di rose ma ugualmente motivo di batticuore in certe persone…

…accenni, traumetti, delicatazze, grillissmi…
…roba che spesso piace sia ai vecchi che ai giovani…
ai vecchi perché si riconoscono nel qualunquismo e nelle schematizzazioni del boomer, e ai giovani perché ancora, nonostante l’ostentata voglia di adultaggine dell’indipendenza lavorativa, hanno ancora voglia di stare sulle ginocchia di un nonnetto a farsi raccontare le favolette di quanto si stava meglio quando si stava peggio…

Hall non ha ancora reso pubblica la sua età ma non deve essere “antica”, lavora solo da 4 anni…
ma la sua storia, al contrario di Lost in Translation di Sofia Coppola (e dovremmo esserci per quel che riguarda l’anagrafe: Coppola ha scritto Lost in Translation a poco più di 30 anni), non trascende in un universale senza soluzione ma rimane nell’aneddotica del borborigmo natalizio, della camomilletta delle cose già sentite, dell’usato sicuro di un dramma di parola che usa solo le lettere delle vite borghesucce, uguali a mille altre (e mamma mi trattava male, e voglio scopare quella più giovane anche se ho una moglie ecc. ecc.: drammi quasi anni ’90 per non dire perfino anni ’60), che confeziona perbenino, per piacere a tutti, senza scomodare né offendere nessuno…

Daddio è proprio come i bestsellers libreschi di oggi, quelli che cito sempre, di Carofiglio, di De Gregorio, di Fabio Volo, di Ardone, di Mencarelli, di Veronesi, della Ferrante (che io non ho mai letto ma i film tratti dai suoi libri mi hanno sempre fatto schifo: in uno c’era perfino Dakota Johnson!): un decotto di roba che già si conosce e che si legge e guarda per vedersi rappresentati, per consolarsi che la banalità della nostra vita è meno grave perché è condivisa, e quindi non c’è da preoccuparsi tanto, perché la tristezza che proviamo la proviamo tutti in un modo o nell’altro e c’è quindi da essere indulgenti non con gli altri, attenzione, ma con noi stessi, perché usiamo gli altri non per interesse verso le loro storie ma come semplice specchio per pensare a noi altri e quindi autoassolverci, additando il protagonista della storia che abbiamo appena visto non come nostro fratello nel dolore ma come qualcuno che sta peggio di noi!

Non lo so se tutto questo incontra il mio gusto…

Nel 1991, Jarmusch aveva scritto questo film 5 volte, tante sono le storie di Night on Earth, e tutte erano più interessanti di Daddio, perché esploravano la concordia tra i diversi e non il riconoscimento tra i finti differenti che si scoprono uguali… e, inoltre, non pensava affatto a fare contenti chi si vuole autoconsolare con l’autoindugenza, e aveva il coraggio di dire che certe volte la cose finiscono pure male proprio per colpa degli autoindulgenti!

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