Glass (diminuitivo di Gladysmarli) Marcano è nata nel 1995, ed è della colmata venezuelana del metodo Abreu, tanto pubblicizzato da Claudio Abbado negli anni 2000s, i cui rampolli più famosi sono stati niente meno che Gustavo Dudamel e Diego Matheuz…
è della generazione successiva, di quasi 10 anni più piccola dei suoi famosi predecessori…
Si presenta al Maggio dopo essere stata la prima donna nera a dirigere in Francia (all’Opéra de Tours, almeno così dicono i giornali, sempre passibili di sensazionalismo in questi casi: quante volte hanno promulgato la minchiata che Beatrice Venezi sarebbe la prima donna direttrice d’orchestra in assoluto?) con un programma americano:
la prima parte di Bernstein:
le Symphonic Dances di West Side Story
I feel pretty di West Side Story col soprano Génesis Moreno
Ouverutre del Candide
Glitter and Be Gay dal Candide ancora con Génesis Moreno…
la seconda parte era la Sinfonia 9 Dal nuovo mondo di Dvořák…
sono titoli a cui sono molto legato:
di West Side Story io parlo all’infinito (qui e qua, soprattutto) e le Symphonic Dances sono state tra le prime cose di “musica colta” che ho ascoltato nella vita (vedi 10 album), per cui l’aspettativa era tanta, visto anche che i due concerti più “prossimi” da me visti al Maggio (i concerti pianistici di Rachmaninov e Čajkovskij) sono stati buoni ma non da strapparsi i capelli… e, tra l’altro, era ancora vivo il ricordo delle scoppiettanti Symphonic Dances che al Maggio ha condotto John Axelrod nel 2016, generando «ansia di confronto»…
Anche le ultime esecuzioni da me sentite della Nuovo mondo con l’Orchestra Toscana (con Renzetti e Yashima) erano carine ma mica da esaltarsi… e anche l’Orchestra Toscana mi aveva imposto nei ricordi delle splendidissime Symphonic Dances con Daniele Rustioni nel 2014…
sicché, da una parte c’era concorrenza di ricordi, e dall’altra ansia per un’orchestra che l’ultima volta avevo sentito spompa e sprecisa…
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è finita che le Symphonic Dances sono state un tripudio di gioco divertentoso che si tragicizzava quando doveva, proprio come nel musical!
non hanno avuto un passo narrativo e serrato, e si sono mantenute, appunto, sinfoniche (il fischio del Prologo, per esempio, non è giunto a Coup de théâtre come avrebbe potuto e neanche il finale della Rumble), ma Marcano ha sottolineato molto le singole emozioni dei pezzi (che sono 9) cercando di differenziare moltissimo la gamma dei colori e delle enfasi, dando mano libera alle percussioni e ai sorprendentemente eccellenti ottoni (ma, per fortuna, non ha concesso l’acuto ad libitum nel Mambo, che va di moda almeno dal 1997 [c’è nell’incisione di Paavo Järvi a Birmingham di quell’anno, per esempio], ma che Bernstein non mi risulta avallasse, così come non lo ha mai davvero avallato il suo allievo Michael Tilson Thomas) in una lettura che è risultata coinvolgentissima e interessantissima per micro intenzioni e gesti che Marcano ha impresso nella concertazione, come far sentire di più i fiati che gli archi in certi punti (rischiando anche spesso alcuni “fraintendimenti” nel ritmo, per fortuna del tutto trascurabili), oppure dare al finale non la solita grana sacrale ma mantenendolo più numinoso e sconcertante… Cool è diventata davvero un paradiso della fuga, stranamente melodiosissima, il cha-cha di Maria era cristallino, quasi liberty, e il Mambo ha avuto una coerenza ritmica sorprendente!
Le arie con Génesis Moreno, sì, sono state carine, ok…
Il Nuovo mondo è stato, paradossalmente, come sentirla per la prima volta… e non è esagerato dirlo…
Marcano l’ha intesa lirica più che stilettante e ha apparecchiato piccolissimi crescendo e minuscoli pianissimi là dove meno te l’aspettavi, e ha tagliato con l’accétta le corone con pausone strappacuore, producendo quell’effetto narrativo che aveva evitato in West Side Story…
nelle sue mani il Nuovo mondo è diventata una storia avvincente, in cui le urla degli ottoni (proprio quando stavo per rallegrarmi del primo concerto senza stonature dei corni, questi hanno steccato proprio come peggio non si poteva subito prima della stretta finale) avevano quel senso che mi era mancato nelle esecuzioni da me sentite nel recente passato, un senso fatto neanche dalle “emozioni”, ma proprio da un passo diegetico da seguire, che ha portato a soluzioni che potrebbero non essere gradite (in fin dei conti certe pause non ci sono nella partitura, e alcuni pianissimi non sono per nulla previsti: nel famosissimo finale la pausona prima della corona finale di spegnimento è stata quasi scioccante! così come certe corse da Marcano intese, come dicevo, più liriche e quindi per nulla inclini agli accelerando previsti, che hanno fatto da negativo ad altri episodi che reclamavano un rallentando che lei invece ha negato non perché non l’abbia colto ma perché l’ha traslato nel volume sonoro invece che nella velocità: una soluzione quasi alla Sinopoli o alla Giulini, da confrontare con il taglio maestoso della lettura di Kondrašin con i Wiener Philharmoniker del 1979) ma che erano di una coerenza interna speciale ed erano veicolate con un know how convincentissimo!
Un know how “proprio” del metodo Abreu, che ha insegnato a Marcano un gesto caldo e mimetico, che dà gli attacchi anche con l’abbassamento della schiena o con movimenti del corpo a batacchio di una campana per indicare i passaggi tra violini e viole, e che rende i rimbalzi tra compartimenti dell’orchestra quasi come degli hoquetus, che lei sancisce con mosse come quelle di un gatto che muove entrambe le zampe alternate per afferrare qualcosa, e aveva anche la faccia da gattone nero giocherellone, che ha prodotto attacchi ottimi e una concertazione a dir poco favolosa!
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Per cui le ansie di confronto si sono risolte con un concerto interessantissimo che sarebbe quasi da risentire! Spero in diffusioni radiofoniche prossime!
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