Čajkovskij e Ravel al Maggio Musicale Fiorentino

Di nuovo un concerto per pianoforte al Maggio: a solo una settimana dal secondo di Rachmaninov, ecco il primo di Čajkovskij (già nelle Musiche per l’Estate), accompagnato da due pezzi “di Ravel”, e cioè Ma mère l’oye e i Quadri di un’esposizione, che sarebbero di Musorgskij, ma vengono eseguiti nella famosa orchestrazione di Ravel del 1922…

a dirigere Luciano Acocella, che non è in giro da poco, ma non in piazze così grosse: è molto attivo a livello didattico e ha avuto un posto fisso un pochino controverso all’Opéra de Rouen, dove fu licenziato per i suoi progetti troppo ambiziosi di fare opere nelle carceri…

al pianoforte Giuseppe Albanese, una consolidata star internazionale…

Ma mère l’oye è sempre una cosa carina, in qualsiasi modo uno la approcci, anche se l’approccio è di puro riempitivo come stavolta…

come per tutte le cose di Ravel, la scrittura orchestrale (e Ma mère l’oye sarebbe nata per pianoforte a 4 mani come un dono poi tramutatosi in incomodo compitino per due bambine conoscenti di Ravel, poi strumentata dal compositore con tutti i crismi su ricca commissione) è tosta ma il Maggio ha svolto il compito con disinvoltura, anche se si sono contati alcuni fiati corti (perfino Domenico Pierini, il concertmaster, ha stonato in un acutissimo)…

Il concertone di Čajkovskij (nel programma di sala del Maggio, redatto dal vecchio Franco Pulcini, si legge ancora la puttanata che l’apertura di accordi pestati iniziale non sia dovuta a Čajkovskij, nonostante le autorevoli e circostanziate prove scoperte dal Tchaikovsky Research di Klin nel 2022) ha avuto diversi pregi, ma, come quasi sempre succede al Maggio con questo concerto (è un pezzo sfortunato per il Maggio, come lo è Petruška di Stravinskij), è stato depauperato da insormontabili problemi esecutivi…

Acocella ha deciso di dirigerlo a memoria, senza la partitura davanti: pessimo errore…
quasi tutti gli attacchi sono stati sprecisi, miracolati dal non cadere nell’errore lancinante solo da un leggero senso del rubato che però non ha salvato tutto…

l’attacco immortale degli ottoni è stato sfiatato…

i corni hanno stonato nelle peggiori circostanze: sebbene siano tutto sommato andati bene come comparto, non hanno quasi mai attaccato insieme agli altri ottoni nei momenti dove era più evidente… e moltissime volte erano fuori tono o fortissimi quando dovevano essere in pianissimo

le intenzioni interpretative, però, non erano per niente da buttare…

Albanese, quasi sempre preciso benché non esente da rari ma evidenti effettacci, ha eseguito un primo movimento molto pensoso e meditativo, pieno di pause contemplative molto affascinanti: il suo era un pianoforte davvero molto vivo e quasi shakespeariano, con la melodia spianata ma pervasa da intensi dubbi… ne è venuta fuori un’interpretazione frastagliata, tutto sommato lentina, ma densissima di intenzione stanislavskiana, capace di accendere di virtuosisimo anche passi eseguiti da altri in modo standard…

Acocella, pur a memoria e con i difetti detti, è riuscito a seguire il taglio di Albanese, scaldando spesso il volume orchestrale, seguendo il pianista nelle aree meditabonde, e aprendo bene il suono nei pezzi virtuosi…

peccato che gli attacchi fossero sprecisi!

dopo un secondo movimento interpretato in maniera uguale a mille altre, nel terzo movimento l’idea di Albanese si è ripresentata con un intenerimento dolcissimo e irresistibile della melodiona tematica ritornante, risolta con volute caldissime, rotonde e soffici, davvero formidabili e spettacolari, che al contempo non sono mai venute meno al passo spedito richiesto dal pezzo…

Acocella, data la ritmica implacabile del movimento, non ha fatto male finché le cose sono state cronometriche: quando ci sarebbe stato da intervenire, cioè nella stretta finale, tutto è andato un po’ a carte quarantotto e la chiusura è stata sincronica solo per modo di dire: il ritmo dell’explicit è stato ripreso per i capelli, ancora senza plateali brutte figure solo grazie all’enfasi sonora garantita da un Maggio sparato a mille, ma si è visto che Acocella e Albanese si sono guardati in accordo col famoso meme della musica d’insieme: «quando gli altri hanno finito, non ti mettere mai a suonare le note che ti sono avanzate!»…

in solitaria, negli encore (The man I love di Gershwin e una fantasia dall’Hedwig dell’Harry Potter di John Williams), Albanese ha dimostrato ben altra precisione e spettacolarità…

i Quadri di un’esposizione nella versione di Ravel è un must di qualsiasi orchestra: roba che non si può sbagliare…

e infatti il Maggio non sbaglia, anche se il tono di Acocella è stato quello delle grandi occasioni, e cioè enfatico e fracassone ma, tutto sommato, smorto…

parliamoci chiaro: la sua gran figura l’ha fatta, ancora una volta tutto a memoria, ma lo scoppio della grande porta di Kiev ha sofferto assai di una esagerata sproporzione tra il battere e il levare e la Baba Jaga ha volato e spadroneggiato, ma non ha granché né spaventato né divertito…

ovvio, la spettacolarità è stata in ogni caso garantita e il gran dispiego di mezzi (e di massa sonora) stende ogni volta, ed è stato capace di coinvolgere il pubblico, assai meno numeroso dello scorso concerto, ma non sparuto…

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