«La leggenda del santo bevitore» di Joseph Roth

Non sono riuscito ad avere tra le mani (ma presto l’avrò) la prima traduzione italiana Adelphi di Chiara Colli Staude del 1975 (condotta sull’edizione di Colonia del 1956), per cui ho optato per la versione di Giulio Schiavoni per Rizzoli, copyright 2012, che invece si basa sull’edizione di Amsterdam del 1939…

Schiavoni usa il termine clochard per definire Andreas, offre diverse note esplicative (forse un pochino pleonastiche ma puntuali) e ha apparati introduttivi davvero sommi…

Per curiosità ho letto la versione Newton di Monica Pesetti, probabilmente del 2010, in un ebook che non accredita alcun traduttore (che vergogna): scorrevole, senza note e con Andreas indicato come vagabondo…

In poco meno di un’ora di lettura Roth riesce a organizzare un intreccio avvincente (con analessi “cattive” tutte da indagare), a garantire la malsana “magia” dell’atmosfera, e a designare con precisione mastodontica le piccolezze dei meschini maschi etero basic alcolizzati e narcisisti, la loro micragnosità un po’ velenosa, la loro memoria selettiva, il loro egosintonismo di ritenere come “dovuti” o “meritori” eventi del tutto casuali, in una rappresentazione della maledizione della dipendenza, e della disperazione del fallimento della mascolinità tossica, che ancora colpisce…

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