«Cabaret» di Bob Fosse, 1972

Dopo i disastri di La La Land, ci si stupisce per come un film di 50 anni fa, ambientato 100 anni fa, possa essere così odierno…

La trama mostra la lotta di personaggi genderisticamente complessi, e sicuramente fluidi, tra il doversi guadagnare da vivere a ogni costo, tragicamente, con l’alternativa di morire di fame, e la conseguente dipendenza dall’alcool, dagli infantilismi e dagli autoinganni per reggersi in piedi, mentre un intero paese si dà al nazionalismo violento e irrazionale, ed è attualissima, quasi urgente…

Nello showing, il look di Geoffrey Unsworth con le sue luci così spesse, piene di texture, così presenti materialmente (le luci, come si poteva ottenerle solo con la pellicola, con tanti soldi e con un genio a inquadrare tutto, sono quasi sculture!), e il montaggio velocissimo e zeppo di allucinazioni metaforiche (con Joel Grey e i flashback leitmotivici che balenano seguendo addirittura le terzine della musica di John Kander) producono un’esperienza perfino simile a quella di una serie TV (il film è quasi a episodi, con Griem e Berenson a fare quasi una puntata a testa), che non perora soluzioni e non predica moralismi, ma mostra lo status quo atroce dell’esistenza nel mondo che si è creato, dove l’unica strada è mentire a se stessi nel seguire il sogno capitalista, e inghiottire bocconi amari, perché le classi sociali, la povertà e lo sfruttamento non producono altro che nazismo…

e non c’è che piangere di quello che ci mostra, deformato dallo specchio, il Master of Ceremonies…

13 pensieri riguardo “«Cabaret» di Bob Fosse, 1972

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  1. Spesso pensiamo ai musical come qualcosa di allegro, colorato e spensierato. Non è proprio il caso di Cabaret, che a casa Verdurin è un classico. Hai ragione quando dici che è attualissimo, molte volte mi vengono in mente le canzoni (soprattutto Two Ladies ultimamente) che sono usate con grande intelligenza (cosa che La La Land nemmeno si può sognare) per sottolineare e amplificare le situazioni.

  2. Anche secondo me La La Land è materia escrementizia. Il film che lo batté agli Oscar (Moonlight) è ancora peggio. Per fortuna negli anni successivi la qualità dei film candidati agli Oscar è aumentata (anche se non sempre l’Academy ha saputo riconoscerla: le zero statuette di The Irishman gridano ancora vendetta).

      1. Io invece ritengo che le nomination agli Oscar siano un’ottima fotografia del meglio che il cinema ha da offrire, perché i film migliori dell’anno almeno una nomination la prendono quasi sempre. Magari una sola (come nel caso di Silence e House of Gucci), ma la prendono.
        Colgo l’occasione per consigliarti questo splendido libro: https://wwayne.wordpress.com/2024/09/02/sto-per-sposarmi/

      2. Gli Oscar sono una kermesse di promozione di prodotti esclusivamente hollywoodiani (anche chi viene nominato alla buffonata del film “international” è spesso una coproduzione americana, o è arrivato in USA grazie a una coproduzione americana)…
        dire che i migliori film dell’anno sono i film hollywoodiani è come dire che il miglior ristorante italiano nella storia è stata la mensa FIAT perché in essa hanno mangiato, ogni giorno, migliaia di persone…

      3. Il miglior ristorante italiano nella storia è Pastation. E infatti da Firenze è partito alla conquista del mondo, aprendo altri ristoranti prima in Italia e poi all’estero. Che orgoglio nel vedere un nostro concittadino arrivare così in alto. Volendo ci è arrivato anche l’Antico Vinaio, ma su quel brand ho più riserve, perché sta aprendo filiali a nastro, e quando cominci a gestire così il tuo business stai ponendo le basi per il fallimento di tutta l’attività.

      4. Pastation è molto carino, ma ti devo dire che “non ci vivrei”… è ovvio che il suo scopo è fare business invece che far da mangiare (è lo stesso problema di Eataly: si riempie la bocca di biodiversità solo perché vuole confezionarla e venderla: come se certe cose si potessero in effetti vendere e comprare: la destra, se potesse, farebbe pagare a tutti l’affitto del sole solo perché è convinta di essere lei quella che incassa)…
        in realtà, il miglior ristorante di Firenze, è noto, è il Vegetariano di Via delle Ruote: praticamente cruelty free, sostanziosissimo, atmosfera amichevole, tutto biologico, acqua gratuita, nessun “brand” a guardarti in cagnesco perché non lo vuoi comprare (tranne alcune bibite bio a km zero), e nessuna ansia di essere, tu cliente, un pollo da spennare…

      5. Non conoscevo il ristorante in questione, quindi ti ringrazio moltissimo per la preziosa segnalazione. Tu invece conoscevi il libro che ti ho consigliato?

      6. No.
        Io detesto le serie librarie young adult o limitrofe o imitanti tali perché sono un insopportabile elitario che più in là di Tolstoj (che è morto nel 1910) vede quasi soltanto melma…
        però ho adorato Gossip Girl (i libri “classici”, non i Carlyles), segno che sono anche molto incoerente…
        vedo che però Newton Compton mette l’ebook a 3€, quindi, boh, magari per passare il tempo al gabinetto potrebbe rivelarsi sorprendentemente efficace (e quando snobbo così qualcosa di solito diventa la mia preferita!)

      7. Probabilmente adoreresti anche Beverly Hills 90210, perché Gossip Girl è praticamente quella serie ambientata 10 anni dopo. Anzi no, volendo oltre all’ambientazione temporale c’è anche un’altra differenza, ovvero un’attenzione più marcata ai personaggi femminili (in Beverly Hills 90210 invece veniva dato lo stesso spazio a tutti i personaggi, con un equilibrio davvero sopraffino).
        Riguardo al fatto che talvolta finiamo per apprezzare qualcosa che è l’esatto opposto dei nostri gusti, posso dirti che è capitato spesso anche a me. Ad esempio, di norma schifo la fantascienza, ma il libro più bello che abbia letto l’anno scorso (“Nessun domani” di Giulia K. Monroe) apparteneva proprio a questo genere. E nel 2023 ho letto 48 libri, alcuni dei quali scritti da dei giganti come James Ellroy, Stephen King e Wilbur Smith, quindi ha avuto la meglio su una concorrenza impressionante per quantità e per qualità.

      8. Mi fai forse più giovane di quello che sono: Beverly Hills 90210 io l’ho vissuto in diretta negli anni ’90 (e l’accostamento con Gossip Girl non lo colgo se non alla lontanissima: in Beverly Hills 90210 manca il darwinismo sociale della scuola privata, l’ansia dei pettegolezzi, degli status symbol dello shopping e l’obbligo del glamour a ogni costo. In Beverly Hills passano il tempo al Peach Pit che è praticamente un bar sotto casa, e in ore diurne, là dove Gossip Girl vive di party privati principeschi in posti dove non entri se non hai un Rolex e soprattutto in ore notturne – senza contare la grana tutta californiana e solare di Beverly Hills che è tutt’altra cosa rispetto all’aria upper class più “dark” della New York di Gossip Girl)

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