Evelyn e la magia di un sogno d’amore

È la seconda delle majokko (le maghette) della casa di animazione nipponica Studio Pierrot, uscita nel 1984…
la prima, L’incantevole Creamy, era uscita nell”83…
seguiranno Magica Emi (’85) e Sandy dai mille colori (’86)…
nel 1998 ci sarà una riproposizione post-moderna del ciclo in Fancy Lala

Rispetto a Creamy (che è nel 10 personaggi) è evidente che il target si abbassi, e le 48 puntate (4 in meno di quelle di Creamy) virano tutto sul completamente comico, adatto a ragazzini ben lontani dalle palpitazioni sentimentali che ha Creamy

il comico è spesso scaturito dal fatto che la protagonista Evelyn (cioè Persia, o Perusha, o Pelsia a seconda della traslitterazione nipponica: anche il nome dell’esercizio commerciale dei genitori di Evelyn cambia: almeno per le prime 7 puntate è Persia Store, poi diventa Pelsia Store [quasi tutte le maghette sono figlie di commercianti: i genitori di Yu/Creamy hanno un negozio di Crêpes, Creamy Crêpes; Mei/Emi è figlia di pasticceri della pasticceria Cookie; quella di Sandy è una famiglia di fiorai, hanno il Flower Shop; solo i genitori di Fancy Lala hanno mestieri disgiunti che non coinvolgono un negozio: paleontologo il padre, produttrice televisiva la madre]), cresciuta in Africa, non sappia un cavolo di niente del mondo giapponese e quindi incorre in incidenti davvero imbarazzanti, anche perché, oltre a tutto, Evelyn è senza dubbio la maghetta più testarda, infantile, erratica, manesca, chiacchierona, giocherellona a sproposito, casinista, scema, impulsiva e priva di senso pratico di tutte quante…

per di più, Evelyn ha un character design (di Yosiyuki Kishi) molto meno preciso di quello che Akemi Takada aveva predisposto per Creamy (Evelyn cambia spessissimo connotati, anche all’interno delle singole sequenze, e i personaggi secondari variano moltissimo, dagli aitanti ragazzoni occidentalizzati ai minuscoli ruoli minimali del tutto nipponici quasi alla Maison Ikkoku, senza un effettivo look unitario del cartone [le altre majokko sono tutte molto più occidentalizzate nel tratto generale dei protagonisti]), molto più aperto alla deformazione assurdista, e il regista Takashi Anno fa tutto quanto meno di quanto fece il regista di Creamy, Osamu Kobayashi: meno long takes e molto più montaggio, meno fondali riconoscibili (spesso quelli di Creamy sono semplicemente acquerellati) e meno senso del tempo diegetico in favore di un’immediatezza fracassona e ridanciana…

questo non vuol dire che Takashi Anno non “metta il turbo” quando lo deve mettere: certe storie hanno nuance tutt’altro che semplici (vedi la storia d’amore tra la bambina e il delfino, ep. 6; o i ricordi del protagonista anziano, ep. 14) e, quel poco che fa, Anno dimostra di farlo alla perfezione…
il montaggio vive spesso di dettagli leitmotivici, che sussistono per tutte le puntate (lo sventolare delle tende della camera di Evelyn sopra al Pelsia Store, identiche a quelle che sventolano nell’appartamento di Kenji; oppure gli shots di paesaggio sul mare), i long take, spesso davvero minuscoli, coinvolgono moltissime volte ardite composizioni allo specchio (soprattutto quello della camera da letto di Evelyn, ma si chiamano in causa anche moltissime altre superfici riflettenti, dalle vetrine dei negozi agli stessi occhi dei personaggi: gli specchi sono protagonisti assoluti quando la diegesi volge al brutto in ep. 20) e la caratteristica diegetica del montaggio dà alla trama delle stilettate seriose che, dato il generale tono comico, feriscono parecchio!

Se Kobayashi, in Creamy, preparava spesso le sue sferzate diegetiche con i suoi long takes emotivi, Anno invece costruisce una Evelyn che si muove molte volte de abrupto, con solo pochi shots veloci, spesso reticenti, lasciati a informarci molto poco delle emozioni e alcune volte perfino degli eventi…

poiché la vicenda di Evelyn, così comicarola e spesso ridicola, ha un cuore quasi doloroso… a parte le nuance poco consolanti di certi episodi, è tutta la serie che, improvvisamente, vira nell’adulto

nell’ep. 19 si intravede una master-story della serie, una master-story molto particolare: che la master-story si riveli a metà della serie è una prassi stabilita da Creamy, anche se in Creamy c’era una master-story che era la classica love story tra Yu e Toshio avvitata allo scadere preciso dei poteri magici di Yu/Creamy dopo un anno esatto da quando sono cominciati…
in Evelyn la master-story coinvolge direttamente il mondo magico

il mondo magico è il posto che elargisce i poteri alle ragazzine in tutte le majokko Pierrot: un “posto” che va a sfumarsi sempre più: se la Stella Piumata di PinoPino di Creamy è amichevole, la si può anche “contattare” e risulta vicina e spesso sovrapposta alla dimensione dei protagonisti (ci si arriva tuffandosi nelle pozzanghere, si vede l’Arca di PinoPino nel cielo, la cui presenza agisce su Tokyo attraverso lampi elettrici), con PinoPino che è disponibile e aperto all’aiuto verso Yu, il Sogno d’Amore di Evelyn non è contattabile e sembra assai altro rispetto alla città di Evelyn, ed è un mondo che Evelyn deve aiutare, accumulando sogni d’amore per scongelarlo: invece di PinoPino ha una fata, sottoposta a una principessa-fata ghiacciata e quindi indisponibile, che si vede solo alla fine e che si presenta solo con una sorta di ombra a forma di farfalla-libellula: si presenta solo tramite lo specchio sulla scrivania nella camera da letto di Evelyn e non si disturba granché a consigliare Evelyn in ep. 31, limitandosi a darle una nuova bacchetta in completo mutismo (in quell’occasione lascia alla bambina un nuovo aiutante, Bonbon, che si aggiunge alle tre tartarughine, Dodo, Mila e Mino, che la seguivano fin dall’inizio: un aiutante del tutto inutile, anche perché la compagine magica in aiuto a Evelyn è la più numerosa di tutte le majokko: Creamy aveva solo Posy e Nega, due gattini che si arrabbiano a essere identificati come tali poiché sono “nobili” abitanti della Stella Piumata; Mei ha solo Moko, una sfera di luce che anima il peluche di uno scoiattolo volante; Sandy ha i folletti Pico e Paco; Lala ha due draghetti, Pig e Mog – da constatare che Evelyn è anche la più nutrita a livello di gadget magici, con due bacchette racchiuse una dopo l’altra in un cerchietto per capelli, un braccialetto e un medaglione; Creamy aveva anche lei due bacchette, ma si fermava a contenerle nel medaglione; le altre si limitano a tenere una sola bacchetta in portaoggetto: Mei in un braccialetto e Sandy in un ciondolo; Lala porta direttamente la sua penna magica attaccata con una catenella al collo)… e nelle altre majokko, il mondo magico è ancora più sfuggente: in Magica Emi, il Mondo dello Specchio, ogni tanto, sembra perfino ostile alla ragazzina, in Sandy dai mille colori, la Terra dei Fiori ha contorni poco precisati, e in Fancy Lala manco c’è…

il Sogno d’Amore di Evelyn è forse l’unico mondo magico che fa parte di una master-story, cioè che un personaggio del mondo magico agisce nella dimensione della maghetta: la principessa-fata congelata, che ha le fattezze di colei in cui Evelyn si trasforma (le majokko, per costituzione, si trasformano in ragazze più grandi, onde metaforizzare la crescita: si dice in modo lampante che Yu, Mei e Miho diverranno Creamy, Emi e Lala da grandi: fa eccezione Sandy, che non si trasforma, e proprio Evelyn, come vedremo), è congelata perché innamorata di un umano musicista, Kenji (la canzone che egli ha scritto per la principessa-fata è un tema ricorrente nella colonna sonora di Koji Makaino, il musicista delle maghette classiche, che per Evelyn, a parte questo tema, è stato un po’ pigro, avendo riciclato diverse composizioni che scrisse per la Lady Oscar del ’79), che la cerca, disperato, credendola umana: dal senso di colpa di essersi innamorata, la principessa-fata si è congelata, e con lei tutto il Sogno d’Amore, con Evelyn che si arrabatta a “collezionare amore” affinché avvenga lo scongelamento (una responsabile del mondo magico afflitta da un senso di colpa amoroso che anticipa quella che sarà la Principessa Emeraude di Rayearth delle CLAMP, ’93, con anime orrendo di Toshihiro Hirano del ’94)…

quando questa master-story si rivela (si diceva da ep. 19), Anno la rappresenta con l’urgenza del montaggio degli shots semplici e reticenti, creando una tensione davvero sorprendente nel contesto solare dell’impianto, che illumina una vicenda al contrario tristissima e che quasi contraddice gli assunti infantili della serie, che da ridanciana cosetta per bimbi rivela un messaggio delusionale e sfiancante di prese di coscienza super-adulte, quasi più adulte di quelle di Creamy

Il rivelamento adulto un po’ si era intravisto dall’incipit dell’ep. 1, in cui una pensierosissima Evelyn tira a sé in un appassionatissimo abbraccio le tre tartarughine: è una sorta di a sé della serie, slacciato da tutta la diegesi e che rimane lì, fluttuante, senza risoluzione ed è il simbolo di quello che ci aspetta: lampi e flash di sentimento adulto improvvisi in una serie che per il resto sarebbe imbarazzante per quanto è per bimbi…

da ep. 22 a ep. 44 il tono bimboso permane (tutto sommato anche in ep. 31, quando si rompe la bacchetta e irrompe Bonbon senza che si veda un’acca del mondo magico), ma da ep. 45 in poi, lentamente come uno stillicidio, il senso di oppressione adulta inonda le restanti puntate 46, 47 e 48… un’oppressione che Anno gestisce con gli shots fulminei, i soli che trasmettano l’emozione, e che spesso sono del tutto insufficienti nel comunicarci il dolore, ma proprio perché sono così sintetici ci strozzano…
nelle ultime puntate si concretizza anche la love story tra Evelyn e Robby (uno dei gemelli, l’altro è Riki, deuteragonisti della serie, altro topos delle majokko dello Studio Pierrot, e Evelyn è l’unica che ne ha due, le altre hanno il deuteragonista unico perno della love story che, puntualmente, si innamora dell’alter-ego adolescente della maghetta: Creamy ha Toshio, Emi ha Ronny, Sandy ha Roby con una b sola, Lala fa eccezione a non averne nessuno), una love story evanescente che prende piede solo in queste ultime puntate (Riki ha una sua ragazza “lottatrice”, Sheila; e Robby è interesse amoroso anche di un personaggio secondario, Yoyoko) e che ci fa lacrimare per come viene trattata: strappata dall’Africa, all’inizio, proprio per crescere meglio con Robby, Riki e i genitori in Giappone, Evelyn, proprio al momento del rendersi conto del suo amore per Robby, se lo vede ripartire per l’Africa di nuovo, per stare dietro al nonno anziano costretto dal lavoro a tornare: lo strazio di Evelyn è reso da Anno solo con i suoi shots fulminei e insufficienti, che però pugnalano per la loro efficacia: in ep. 45 sentiamo la sofferenza di Evelyn con un semplice dettaglio ravvicinato della sua mano che stringe una rete metallica durante l’esternazione del suo disappunto: è solo un dettaglio ravvicinato (per altro estremamente costruito con prospettiva centrale, quasi come uno shot di Kubrick o dello Spielberg di Empire of the Sun e Jurassic Park) a comunicare la delusione, poi l’ansia aumenta per via della concentrazione su altri dettagli che paiono ininfluenti, la pallina del flipper, per esempio, o le tante inquadrature prolungate sul paesaggio marittimo, che sono tra i Leitmotiv delle immagini di Evelyn, preludenti al finale…
Nulla di espressionistico ci fa inondare nel clima di strazio della fanciulla: Anno ci dà solo immediatezza, stacchi precisi e veloci, con immagini dirette e inequivocabili quanto prive di uno sbocco per la nostra emozione: è un registro del quotidiano del dolore invece che sua enfatizzazione o espressione visiva: ma è questa chiarezza a renderlo tranciante (vedi anche il confronto tra Kodomo no Omocha e Orange Road)

La separazione tra Robby ed Evelyn incorre quando anche il mondo magico si trova a non dover più aver bisogno di Evelyn: la principessa-fata comprende di non poter stare insieme a Kenji, perché il mondo magico e Tokyo non comunicano, ma diventa appunto un sogno, una musa per il Kenji musicista… questa presa di coscienza, nell’ultimo episodio, comporta la perdita completa dei poteri magici di Evelyn e la sua separazione dalle tartarughine e da Bonbon…
una separazione che Anno gestisce quasi come un horror: le tartarughe tacciono la loro dipartita e si limitano a scrivere Good Bye con un rossetto sullo specchio della scrivania della camera da letto di Evelyn (un luogo elettivo della serie): noi ce ne rendiamo conto solo quando vediamo il rossetto aperto rotolare giù dalla scrivania, in uno shot fulmineo di Anno, prima che Evelyn guardi allo specchio la scritta che campeggia sul suo riflesso quasi come l’avvertimento di un serial killer!
Il pianto di Evelyn nello scoprire che ha perduto, oltre ai poteri e al suo innamorato, anche i suoi amichetti (le resta Simba, il leone parlante da lei trasformato in gatto nel secondo episodio), è completamente inconsolabile e irrisolto: Anno trancia tutto con uno stacco che costringe Evelyn alla crescita; uno stacco che ce la fa vedere andare a dare manforte a Kenji durante un suo concerto e che, sibillino, ci dice che i personaggi sono cresciuti davvero in quanto sentiamo le voci delle tartarughine in bocca ad adolescenti un po’ punk che, su una panchina, commentano le azioni di Evelyn; poco dopo si vede Riki sfuggire a una botta manesca di Sheila, proprio prima di partire per l’Africa (lui che aveva sempre subìto quelle botte: adesso è cresciuto e riesce a schivarle: accade qualcosa di simile a Hikaru e Yusaku in Orange Road)…

si comincia a implicare che i poteri magici infantili siano solo voglia nostalgica di bimbettate in gente che è consapevole di vivere una vita di illusioni contrapposta a un’esistenza solitaria: Kenji, da solo, che ama la sua principessa-fata soltanto sognandola; Evelyn, alla fine, sola sulla spiaggia con Sheila a sognare di telepatizzarsi a un Robby che la vede come un miraggio (altro shot lampeggiante, di pochissimi secondi) in Africa (Sheila sente anche parlare Simba, per un attimo)… tutta roba che sancisce come una serie per bambini si tramuti nelle ultime puntate in una serie per adulti consapevoli che ci si debba ingannare, autoingannare, per vivere; che si debba accettare l’irrazionale, che ci si debba affidare a chimere, ad autoillusioni, a delusions, per campare in un mondo che ci divide, che ci abbandona alla solitudine, che ci immerge nei lutti di separazione: il Sogno d’Amore del mondo magico, così lontano dal mondo reale, significava questo: il dover sognare l’Amore per poterlo vivere là dove nella realtà ci viene portato via…

una serie per bambini che poi si vede avere una protagonista adulta, in quanto Evelyn non matura affatto grazie ai poteri magici (come fanno le altre) e non diventa la ragazza più grande del suo alter-ego magico, ma rimane bambina consapevole: è adulta senza esserlo, o è una adulta che si è sempre sognata bambina, pasticciona e capricciosa (una sorta di rovesciamento in positivo della catabasi nell’immaturità patologica di Jerry Calà in Colpo di fulmine di Marco Risi, ’85), onde poter vivere in una realtà tutt’altro che da sogno…

una serie che ci comunica con mezzi minimali, reticenti, compressi e sfuggenti, che te li devi andare a cercare con rivisioni e stills, la straziante verità inconoscibile delle nostre esistenze sole, che si possono consolare solo con la fantasia, con l’infantilità e con l’amara consapevolezza che i sogni sono finti quanto indispensabili per vivere una realtà tristona, indispensabili così tanto da riuscire a fare parte di quella realtà tristona per emendarla, anche se sono inesistenti perché presenti solo nelle nostre menti (e infatti Simba continua a parlare anche quando la magia non c’è più, e Sheila, si diceva, lo sente pure: il sogno, un gatto che parla, rimane come dubbio indistinguibile dalla realtà stessa, anche se fosse consolante allucinazione di Evelyn! così come Kenji vede principessa-fata accanto a sé mentre suona; e così come le tartarughine forse erano solo punk conoscenti di una Evelyn sempre stata adulta)

Naturalmente, intendiamoci, Creamy a me piace di più…
Evelyn va avanti stanchissima, e la sua stupidera baraccona bimbettara e ridicola rende la maggior parte dei suoi episodi null’altro che delle carnevalate imbarazzantissime da quanto sono studiate per chi ha meno di 6 anni…
…ma la zampata del messaggio finale, e la natura tagliente dello showing di Takashi Anno (da non confondere con Hideaki Anno), mi fa piangere ogni volta!

Per la sigla, celebre, vedi Le stagioni di Cristina D’Avena

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