Dopo La sirenetta torna la rubrica (non è vero, non c’è alcuna rubrica) «una traduzione vale l’altra e tutte quante sono buone per essere comprate all’Autogrill di Santa Ripa Giovene di Sopra Nord»
E le traduzioni di Anna Karenina sono parecchiette…
e io mica le ho lette tutte!
mi limito a indicare impressioni personali sulla complessiva leggibilità odierna, e alcuni luoghi più o meno significativi di divergenza tra le tante… luoghi che indico col romano della parte e arabo del capitolo, dopo una barra…
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EUGENIO VENCESLAO FOULQUES
Napoli, Romano, 1901
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Anche se ha più di 100 anni, la versione di Foulques regge…
si legge bene e comunica ottimamente quello che è in russo nei corrispettivi italiani: ho visto che praticamente quasi tutti i traduttori che lo hanno seguito fino al 1941 si sono un po’ affidati a lui… ma non so quanto lui si sia affidato a un precedente traduttore che trattò Anna Karenina per Treves nel 1887 (forse quel traduttore fu Domenico Ciampoli, o forse no), ma che forse la trattò dal francese…
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essendo pressoché di dominio pubblico, la sua traduzione è accolta in tanti ebook svenduti da editori fantomatici come RLI, Crescere (che ha copyright 2015), Bauer Books e altra roba consimile…
molto curiosamente, in queste pubblicazioni farlocche, il nome di Fouques viene sostituito con quello di Federigo Verdinois, leggendario traduttore dal russo che però sembra non abbia mai tradotto Anna Karenina…
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LEONE GINZBURG
Torino, Slavia, 1929
Milano, Rizzoli, 1936
Torino, Einaudi, 1946
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la versione Ginzburg rimane in Einaudi fino al 2016 e in Rizzoli fino al 2022…
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rispetto a Foulques, Ginzburg tenta una traslitterazione che aiuti l’italiano a pronunciare i nomi russi; si muove prima delle concezioni scientifiche sull’argomento e quindi usa i digrammi «gn» e «gl» per rendere i segni molli e i segni duri, causando diversi mostri, ma segna spesso anche utilissimi accenti…
per il resto, è una traduzione talmente classica che è antonomasia…
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OSSIP FELYNE
Milano, Mondadori, 1936
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è rimasta in Mondadori fino al 2014…
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fa sicuramente un ottimo lavoro, ma la sua versione rimane molto pomposa…
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ENRICHETTA CARAFA D’ANDRIA
Torino, UTET, 1941
Roma, Newton Compton, 1996
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rimane nel Mammut Newton ancora oggi!
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non va presa sotto gamba…
anche se non c’è granché modo di sapere se conducesse il suo lavoro sul russo o sul francese, comunque Tolstoj l’ha tradotto parecchio e Anna Karenina è forse la sua ultima fatica (è morta nello stesso 1941 dell’uscita della sua versione presso UTET)…
per andare incontro a esigenze italiane, Carafa (il cui nome da nubile pare fosse Capecelatro) non esita a tagliare perifrasi russe e a usare le ripetizioni di Tolstoj in funzione pronomiale: viene fuori un testo scorrevolissimo, estremamente piacevole, che usa le parentesi per chiarire alcuni concetti che Tolstoj svolge negli assurdi incisi dei suoi interminabili periodi, e che conserva soprattutto la parte spiritosa di Tolstoj, più di quella aulica e predicatoria…
per chissà quale motivo non nomina in alcun modo il gioco di parole ebraico di Oblónskij a VII/17…
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PIETRO ZVETEREMICH
Milano, Garzanti, 1965
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Quello che è forse stato uno dei più grandi traduttori dal russo che abbiano mai operato in Italia ha uno stile assolutamente novecentista per rendere davvero bene Tolstoj: sottolinea molto di più il tragico rispetto all’ironico: non è detto che sia un male, ma ogni tanto l’atmosfera gloomy sembra troppa…
Asciutto, scarno, sintetico fino all’elisione e drammaticamente concreto, a IV/13 non tenta neanche di spiegare all’italiano cosa Levin stia scrivendo in cifre a Kitty, e lascia solo al contesto il chiarimento…
ma al contempo è il primo a usare una traslitterazione assolutamente scientifica e a segnare gli accenti alla perfezione…
in II/24-25 accenta Kuzóvlev e chiama i cavalli secondo il russo, e quindi l’avversario di Frou-Frou è Gladiator, anche se Frou-Frou rimane Frou-Frou…
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ANNELISA ALLEVA
Milano, Frassinelli, 1997
Milano, Mondadori, 2014
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nel 2014 arriva a sostituire la versione di Felyne dopo quasi 80 anni…
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attentissima a rendere il russo prima che l’italiano (usa perfino izbà invece di isba, Frou-Frou rimane Fru-Fru com’è in cirillico, e perfino alcuni nomi stranieri li lascia con traslitterazione dal cirillico), con un’accentazione rigorosissima (ma chiama Kúzovlev quello che Zveteremich accentava Kuzóvlev), è piena di ottime note (forse la prima traduzione moderna a usare le note proprio a modino) e certe volte acchiappa, ma il suo rimanere profondamente ancorata al russo fa venire meno una certa necessaria mediazione con il discorso italiano e spesso il tono, certe frasi e certi scopi delle scene si intercettano poco perché abbisognerebbero o di un gergo più spontaneo e divertente o di ulteriori spiegazioni NON da relegare in nota ma da riempire con opportuni incisi e perifrasi… però non si può negare che certe sue trovate brillino, e il suo approccio è una ottima via di mezzo per scorgere il russo (e il suo differente tono) dietro all’italiano per chi se ne intende…
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GIANLORENZO PACINI
Milano, Feltrinelli, 2013
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Se Alleva era tanto ancorata al russo, ma sempre una traduzione ha fatto, Pacini, invece, sembra fare un calco solo del russo e non ci prova neanche a traslare quel russo in italiano (anche lui, come Zveteremich, lo chiama Kuzóvlev, lasciando Alleva in minoranza!)…
nel tentativo insieme assurdo e disperato di seguire i panegirici russi di Tolstoj parola per parola in italiano, i suoi periodi non hanno quasi per niente né capo né coda, e senza alcuna nota mantiene tutte le variabili vocative dei patronimici e perfino i plurali dei cognomi (Oblónskie, Ščerbáckie ecc.): un lettore a digiuno di russo stenta a comprendere di chi si sta parlando!…
per chissà quale fissa filologica comunque non dichiarata, taglia il finale immortale di III/12…
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CLAUDIA ZONGHETTI
Torino, Einaudi, 2016
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in Einaudi rimpiazza la versione di Ginzburg dopo 70 anni…
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è quella che, al giorno d’oggi, azzecca il tono meglio di tutte le altre, e ha una curiosa parentela con le intenzioni di Carafa d’Andria…
comune a entrambe è la capacità di rendere comprensibili, grazie a incisi vari, i periodi ingarbugliati di Tolstój, e sono entrambe brave a restituire la sua ironia spiritosa…
Zonghetti usa ancora più pronomi e ancora più aggiunte, rispetto a Carafa d’Andria, onde rendere scorrevoli e filanti i periodi, con l’evidente voglia di attualizzare i sentimenti dell’Ottocento…
viene fuori che alcune aggiunte dànno al testo effettivamente una nuova ottica, perfettamente odierna: a II/35, Kitty dice a Varen’ka di amarla «così com’è» e non «semplicemente» come leggono gli altri e questo aumenta assai l’interiorizzazione di un’adolescente di oggi verso un sentimento amicale simile… e così succede per la maggior parte della versione che, anche se colpevolmente priva di qualsiasi accento (cosa che pregiudica completamente la pronuncia), fila via come un romanzo di oggi, sì ambientato nell’Ottocento, ma con una sensibilità tutta visibile anche a occhi più giovani! [vedi anche, a VII/1, i «pissipissi tra sorelle» invece delle «ciance» o «ciacole» o «chiacchiere» delle altre versioni: una maniera impagabile di rendere un affetto che alle altre manca]
davvero da 10 e lode!
anche se certe aggiunte sono un pochino pleonastiche, come quella che sporca l’immortale chiusa di III/12, e come il semplice «Pazzo!» di Kitty a V/2 assai meno efficace del «Sei impazzito!?» e simili che hanno gli altri…
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LAURA SALMON
Milano, Rizzoli, 2022
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rimpiazza Ginzburg in Rizzoli dopo 86 anni…
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Salmon aveva già tradotto Anna Karenina nel 2004 per i libri allegati con Repubblica che poi uscirono anche con L’Espresso (nel 2011), ma per Rizzoli la ritraduce completamente alla luce della sua teoria della traduzione esposta nel suo saggio per Franco Angeli del 2017: teoria della quale si era avvalsa per le sue versioni, ancora di Rizzoli, delle Notti bianche (2019), dell’Idiota (2013) di Dostoevskij e di Terra vergine (2021) di Turgenev…
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è agli antipodi rispetto all’approccio di Zonghetti (anche se anche lei evita colpevolmente gli accenti), e tenta in tutte le maniere di evitare l’arroccarsi nel solo russo di Pacini, ma dalle aporie di Pacini riprende certe fissazioni per l’originale, tra cui chiamare Kitty Kity per avvicinarsi al cirillico (anche se Pacini rimane l’unico a non uniformare i patronimici e a usare i plurali dei cognomi, per fortuna), e il cercare di fare ricalchi prosastici là dove non si può ricalcare un bel niente senza scadere nell’incomprensibile…
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nella sua impagabile Nota del traduttore (chissà perché non «della traduttrice»), Salmon spiega perfettamente i suoi criteri, che sono scientifici e assolutamente convincenti a leggerli nella teoria, ma nella pratica restituiscono un testo frigido, con certe volte fastidiose perifrasi specificanti preferite alle note (invece di dire Rjurik dice «i fondatori dell’antica Kiev»: e che cacchio!), mai spiritoso, dal tono moscio e anodino, che finisce per annoiare, oppure che legge Anna Karenina nella maniera più sentimentalmente enfatica, da strappacuore filosofico bello grosso e un po’ pesante (meno zavorrato di Zveteremich ma molto carico di soapoperismo)… in ogni caso, però, come per Alleva, chi se ne intende adorerà scovare alcune gioie di “acchiappo per i capelli” delle espressioni russe nel contesto italiano e certi sentimentali da amor tetro che lacrime distilla potranno crogiolarsi in questa versione molto meglio che in quella di Pacini… per esempio, in questo senso, la chiusa di III/12 è memorabile!
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