Dopo la Tosca di Mehta e Jonathan Miller del 1986 (con Eva Marton e Marilyn Zschau) e la sua replica nel 1991 (con Maria Gulegina), il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino non ha più visto Tosca fino al 2005, quando di nuovo Zubin Mehta promuove l’allestimento di Giorgio Barberio Corsetti (con Violeta Urmana)… un vuoto di 14 anni…
…ma anche la Tosca di Mehta/Miller arrivava dopo 14 anni di vuoto, cioè da quando Antonino Votto aveva condotto lo spettacolo di Lorenzo Frusca con Grace Bumbry e Gianna Galli nel 1972…
Lo spettacolo di Barberio Corsetti, forse troppo simile a quello di Miller (un’altra Tosca durante il fascismo, anche se Miller l’aveva ambientata nel nazismo), non fu accolto bene (era anche pieno di proiezioni strane, roba troppo all’avanguardia per Firenze), e non è stato più ripreso: si è creato una nuova Tosca assolutamente tradizionale e assolutamente al risparmio (fatta pressoché completamente con fondali dipinti) diretta da Mario Pontiggia: una di quelle Tosca degli anni 2000 che però sembrava di un secolo prima, anche, forse, in ossequio al centenario dell’opera, cadente appunto nel 2000 (a parte la Tosca sghemba di Luca Ronconi alla Scala [1997 con Semën Byčkov, e 2000 con Riccardo Muti], non furono pochi gli allestimenti di quegli anni che riprendevano perfino i bozzetti delle prime rappresentazioni di Adolf Hohenstein: dalla vera e propria edizione dei cento anni all’Opera di Roma allestita da Zeffirelli [2000 con Plácido Domingo a dirigere], allo show di Renzo Giacchieri a Genova [2010 con Marco Boemi], a quello di Alessandro Talevi di nuovo all’Opera di Roma [2015 con Donato Renzetti] ecc. ecc. ecc.)
la Tosca di Pontiggia ha invaso Firenze per molto: si è rivista nel 2008 (diretta da Antonio Pirolli con Daniela Dessì, che concesse perfino il bis a Vissi d’Arte), 2010 (Mehta e Violeta Urmana alternata ad Adina Nitescu), 2011 (in tournée a Yokohama: ancora Mehta e Nitescu), e 2012 (Daniel Oren con Martina Serafin alternata a Hui He)…
nel 2017 se ne vede un’altra, di Federico Bertolani, con Francesca Tiburzi, e direzione d’orchestra di Valerio Galli… non è durata niente…
il 19 maggio 2021, subito dopo il lockdown, s’è visto la Tosca in forma di concerto di Mehta con Saioa Hernandez… 3 giorni dopo Mehta ha diretto Tosca in forma di concerto col Maggio (stavolta con Anna Netrebko) a Salisburgo, in una tournée a sorpresa per i ricconi: le cose che amava fare Alexander Pereira…
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E adesso ecco qui…
solo 3 anni dopo l’ultima Tosca, 7 anni dopo l’ultima Tosca scenica, e dopo quasi 20 anni a fare una Tosca ambientata durante il fascismo…
Massimo Popolizio (attore che esordisce nella lirica: sembra che Firenze, famosa per fare opere con registi cinematografici, da un po’ abbia il pallino di farle con registi-attori: vedi Valerio Binasco con Cardillac e Otello, e proprio Barberio Corsetti con la sua Tosca!) presenta il suo allestimento (ricordiamo che Popolizio era tra gli assistenti di Ronconi durante la Tosca sghembra scaligera), nel programma di sala, rassicurando i lettori che il décors fascista non ha intaccato in nulla gli scenari originali dell’opera… sembra quasi mettere le mani avanti per lasciarsi alle spalle le polemiche per le proiezioni di Barberio Corsetti!
tutto quanto è ispirato al Conformista di Bertolucci, dai marmi alla Marcello Piacentini, ai costumi (di Silvia Aymonino) plasmati su quelli del film di Gitt Magrini…
Popolizio, ottimo attore (da me adorato dal vivo a Firenze in Copenaghen), sa come guidare i cantanti in un ottimo mood di movimenti, essenziali ma efficaci ed eloquenti, e usa le possibilità tecniche del palco del Maggio costruendo pareti semoventi grandiose e luci “plastiche” ben piazzate (notevole il secondo atto verde e il terzo blu)…
la Chiesa di Sant’Andrea della Valle, nel primo quadro, si apre molto bene per accogliere la massa del Te Deum; le pareti di Palazzo Farnese, nel secondo, si spalancano per far vedere Cavaradossi torturato; e anche Castel Sant’Angelo, alla fine, si dischiude per accogliere la scalinata che sale Tosca per gettarsi di sotto (assai identica all’ultima scena del Black Swan di Aronofsky)…
gli amori tra Tosca e Cavaradossi sono ben designati da una Tosca sinuosa e peperina che si scopre le cosce per “attizzare” l’amante…
alla fine del Te Deum, l’infoiato Scarpia fatica a trovare la via d’uscita nella scena che lui, tutto preso dal sogno erotico, non ha visto riempirsi (carino)…
le voglie violente di Scarpia su Tosca sono rese con una Tosca che, impauritissima e schifiltosissima, agita le braccia per esprimere il suo straziato disgusto…
Tosca uccide Scarpia con una serie di gesti iperbolici, quasi come se avesse “sbroccato” dopo la violenza e l’omicidio: gesti esagerati che perdurano nel terzo atto…
l’ufficio di Scarpia in Palazzo Farnese è adornato di simboli di morte, tra i quali un teschio e una collezione di feti imbalsamati…
e su ogni cosa, il marmo “sporcato” alla Piacentini quasi marmorizza la marcescenza del regime…
per cui un allestimento classicissimo, ma realizzato molto bene
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da un Daniele Gatti podista in Stravinskij e quasi centometrista in Verdi ci si poteva aspettare una Tosca all’insegna della corsa e della rapidità…
con molta sorpresa, i tempi di Gatti sono stati lentissimi, quasi a simboleggiare il marmo dell’allestimento…
la cosa non ha però, per fortuna, rovinato nulla, avendo Gatti usato con Puccini la stessa cura certosino-cristallina che ha dimostrato in Čajkovskij…
la lentezza gli è servita per scovare dimensioni e intenzioni nelle piccole cellule musicali, e per enfatizzare diverse volute melodiche, senza mai tramortire nessun fortissimo né annacquare alcun accelerando…
Gatti e Popolizio hanno associato la decisione di Tosca di uccidere Scarpia a una serie di crome, e ci hanno fatto vedere quell’attimo con immensa efficacia…
e Gatti ha diretto tutto quanto con l’idea di scovare le intenzioni sceniche, e le strutturazioni musicali di ogni battuta pronunciata, risultando in un Tosca davvero magnifica, densa di filiformi pianissimi, di sussurrati, di improvvisi scoppi, di gioia della melodia, da accostare non tanto all’action di un Mehta o di un Karajan, ma di sicuro ai risultati belli sicuri di Levine o Sinopoli (vedi anche gli Interpreti di Puccini)
gioiello di questa interpretazione, lenta ma recitatissima, è stato Vissi d’Arte: tutto vissuto di pathos e sospiri, di prolungamenti di note e di pause lunghissime (quelle che Gatti ha impresso anche a Čajkovskij), è stato forse il Vissi d’Arte più bello che io abbia mai sentito dal vivo…
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Vanessa Goikoetxea, Tosca, si è rivelata un’interprete formidabile, una delle migliori cantanti possibili: dal physique du rôle felicissimo, bravissima nei fili di voce pianissimi, forte negli acuti, recitativamente eccelsa, e capace anche di non tremare dove ci voleva la voce piena, nei pezzi più gravi…
da 10 e lode…
…gran peccato che nel finalissimo si sia mangiata le parole e abbia impappinato la sua ultima battuta iconica «O Scarpia, avanti a dio!», uscita una cosa come «Oscarpìo!»…
Piero Pretti, Cavaradossi, è stato maiuscolo: sicuro, sempre sul pezzo, con nessuna indecisione o defaillance: un tenore portentoso
Alexey Markov, Scarpia, è stato impeccabile nella recitazione e con un timbro nobile e caldo, che ha plasmato uno Scarpia aristocratico, prorompente e terrorizzante per grana vocale quanto per presenza scenica: bravissimo
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