Non ho mai amato granché Margherita Vicario…
il suo timbro non mi piace e le sue canzoni le trovo semplicistiche infantilate burine… [anche se lacrimo tutte le volte che sento La cattiva educazione di Capossela, vedi la Roba contro la violenza di genere]
Gloria! ha però una eccellentissima fotografia (di Gianluca Rocco Palma, esperto videoclipparo), scene (di Susanna Abenavoli, Luca Servino, Laura Casalini e Francesco Fonda) e costumi (di Mary Montalto) al top, e un montaggio sinergico con la musica (di Christian Marsiglia) che lo rendono il film italiano con la resa cinematografica del processo creativo musicale più avvincente di sempre…
Rispetto alla sbarbonata di Maestro, che non fa vedere mai una sequenza compositiva in un film che sarebbe la biografia di un compositore, e con Bleu di Kieslowski come ovvia stella polare, Vicario e i suoi tecnici prendono da tutto quanto è possibile dei classici della rappresentazione cinematografica della musica (vedi anche la serie Cinemusica) per costruire meravigliosissime sequenze di gioia di innesco musicale, commoventissime e toccantissime…
Non si va al di là di quanto già ottenuto da altri, ok (soprattutto la prima sequenza è del tutto derivata dal sintagma a graffa delle rehearsal dei Commitments), ma il film ci crede così tanto, ed è lavorato con così tanta sapienza, da non lasciare mai indifferenti…
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La trama è carina, ma a dirle che è l’apoteosi dello scontato non la offenderemmo granché…
- tutti gli snodi sono risaputi e telefonati
- le vicende delle ragazze sono prevedibili
- le risoluzioni sono ovvie
e non mentiremmo neanche se dicessimo che a livello di drammaturgia, tutto quanto fa acqua…
- le sequenze di Elio e del canto di Veronica Lucchesi (tra l’altro una delle attrici più naturali ed efficaci delle pur ottimerrime colleghe) ci sono solo per mostrare Elio in un personaggio inutile, e per far cantare La rappresentante di lista, visto che oramai era scritturata…
- la struttura delle vicende singole delle ragazze, di Paolo Rossi e della muta (una più che adorabile Galatea Bellugi, da me già preferita nel Ragazzo invisibile, seconda generazione) è fin troppo paratattica e noiosa; e le singole storie sono la solita sbobba (la muta è praticamente Suor Angelica di Puccini)…
- le scene di Cristiano il cantante sono per lo meno accessorie…
- con il fatto che ogni cosa è telefonata, ovvia e prevedibile, le tante sequenzine, sì carinissime, sul processo creativo musicale, diventano un po’ troppine…
alla fine le cose, però, sono meno innocenti di quanto possa sembrare…
- la trama del tutto desunta da Sister Act ha esiti “papali” più negativi…
- il concertone finale affidato alla passionale verve “modernista” della musica ha venature poco reali…
- la visione della muta in abiti regali, e l’avvento della Révolution napoleonica (il film è ambientato all’incoronazione di Pio VII, pochi giorni prima di quando è collocata la Tosca di Puccini e La Tosca di Gigi Magni: evidentemente Vicario deve aver tenuto assai in considerazione il centenario di Puccini), grazie alla quale le ragazze intraprendono la libera professione, lasciano intendere una natura di sogno del ricordo a tutto il film, come se le vicende, che sono la storia del pianoforte da raccontare al bambino, fossero in realtà storielle inventate a posteriori, con il concerto come visione simbolica della fine dell’Ancien Régime (se n’è parlato anche con lei, e lei ha visto perfino una relazione amorosa tra la muta e la nobildonna)
e nonostante queste ideuzze buone, l’aspetto di una cosetta a tema, sì fatta bene, sì carinissima, sì placida e condivisibilissima, e perfino con nuances oniriche interpretabili, ma, tutto sommato, fatta per compiacere gli amici, e per affermare robetta che sai già che piacerà a tutti (come De Niro che sa bene che otterrà l’applauso sul palco quando grida «Trump merda»), e che quindi ti entra da un’orecchio e ti esce dall’altro, bah, ce l’ha tutto…
è meglio di Virzì di sicuro, ma dalle parti di Bono, e cioè lì a dire alla gente di un certo tipo proprio quelle cose che vogliono sentirsi dire, c’è fin troppo…
cioè: è un amore, è il film musicale più ritmico e dalla rappresentazione della creatività musicale più superpiù che si sia visto in Europa dai tempi di Alan Parker e Kieslowski…
…ma ha il retrogusto, la drammaturgia, e l’evanescenza della paraculata…
nonostante i sopraffini argomenti tecnici e le venature oniriche finali…
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La musica, di Vicario e Davide Pavanello, non è bruttissima, ma non è bene aspettarsi né Morricone né Preisner… però non si può dire che non sia ficcante…
e la libera professione delle ragazze, dopo la caduta dell’Ancien Régime, mi ha ricordato quel Che fare? di Černyševskij che a me tanto piace (rivedi la Roba contro la violenza di genere)!
e la svolta della muta di dire tutto, pur se completamente vieta e rimasticata, è un’ottima rappresentazione dell’importanza della denuncia della violenza…
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quindi
m’è rimasto tanto simpatico
ma il godimento super non ce l’ho provato…
e il rischio del paraculo è enorme…
…così come è pericolosissimo il rischio di svaccare nel Paganini di Klaus Kinski (e tra suicidi per amore, e bambini adorati, ci siamo davvero vicinissimi!)…
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