«The Rachel Papers» di Damian Harris, 1989

Insieme a Say Anything… di Cameron Crowe, è il film che, nella mia infanzia e adolescenza, ha strutturato la mia adorazione per Ione Skye, la quale, purtroppo, dopo quei film, è quasi del tutto sparita come attrice (figlia del cantante Donovan, con il frontman dei Red Hot Chili Peppers ha avuto una relazione potente e fitta di dipendenze negli anni ’90, poi, dopo alcune particine ha fatto la pittrice: si è tornata a vedere nei 2000s in qualche serie tv)…

Say Anything… è un film americano, classico e cult, di cui un giorno dovrò parlare… The Rachel Papers, in italiano La ragazza dei sogni, è invece un film inglese, tardiva trasposizione del romanzo d’esordio di Martin Amis (di 15 anni prima), messa in mano al figlio di Richard Harris (che poi ha avuto una carriera in TV: nel cast anche suo fratello minore Jared, oggi famoso ma allora sbarbatellissima semicomparsa), che in una impostazione tutto sommato più scolastica rispetto a Crowe (che ha dalla sua una crew di mostri sacri tra cui addirittura Laszlo Kovacz e Richard Marks) riesce a farsi ricca e interessante grazie a occhi completamente europei, capaci di violare senza vergogna e sistematicamente la quarta parete, e capaci di condurre i volti dei ragazzi in sopraffine composizioni fatte alla luce del tramonto…

La fotografia è del vecchio Alex Thomson (accreditato, alla moda britannica, come lighting cameraman), che presta la sua oramai consolidatissima expertise a un film che ovviamente magnifica per sempre Ione Skye molto di più di quanto abbia fatto Kovacs con Crowe…

Non solo Skye è spesso incorniciata dall’arancio brillante del crepuscolo, ma lo è anche James Spader, e brillano gli occhi blu di Skye come quelli di Dexter Fletcher, il protagonista…

Per Harris, Skye accetta di farsi vedere un pochino più nuda, rendendo The Rachel Papers una vera glorificazione del suo corpo e del suo volto, in una interpretazione che parte dalla ritrosia vanesia e finisce nella tristezza dell’abbandono…

perché in un film tutto sommato noiosetto, che però dura poco più di 90 minuti, la vicenda non è stupida:

il ragazzino sgorbietto si innamora della gran figa supersonica e, quasi per magia, poiché riesce a essere simpatico e interessante, riesce a portarsela a letto, con una rappresentazione del sesso come gioia e divertimento che è rarissima nel cinema mainstream

per corteggiarla, lo sgorbietto tira fuori tutto un ambaradan di motti, poesie e storie, che appunta meticolosamente al computer (i Rachel Papers del titolo, che nel romanzo erano solo cartacei), e resta affascinato da una ragazza abbandonata dal padre, con una madre entrante, che per lo sgorbio lascia il suo possessivissimo fidanzato (Spader)…

lo sgorbietto è proletario, con tanto di sorella e cognato peculiari (e inutili), e di padre assente e fedifrago, mentre la ragazza si capisce essere riccona…

passano un paio di settimane di sesso felice, con quella statua di Ione Skye che si vede avvinghiarsi al carino ma gracilissimo Fletcher, in sequenze ai limiti dell’onirico…

lo sgorbietto, col tempo, invece di accendere ceri alla Madonna di stare insieme alla sua ragazza dei sogni, sembra perdere interesse, perché la ragazza dei sogni è poco incline al fare pulizie domestiche, perché è passibile di indesiderate mestruazioni poco “controllate”, e perché, tutto sommato, oltre al sesso e all’Arte sembra non solleticare granché l’intelletto dello sgorbietto…

ma è una tematica poco sviluppata in sceneggiatura: si allude alla paura dello sgorbietto per presunte voglie materne della ragazza, riflesso del bambino che avrà la sorella dello sgorbietto, ma la ragazza in realtà non parla mai di volere un bambino… e su questo punto non si insiste, perché la sceneggiatura mostra la noia dello sgorbietto con un suo stranissimo tradimento occasionale con una vecchia fiamma: tradimento scoperto dalla ragazza…

come scusanti, lo sgorbietto propone la crescita (è passato dai 19 ai 20 anni durante la relazione), il non poter «non cambiare», e l’impegno per gli esami d’ingresso a Oxford, ma la ragazza dice di smetterla, perché sa che quelle sono tutte cacchiate, le cacchiate che anche lei ha detto per conquistarlo: non è vero che suo padre l’ha abbandonata: anche la ragazza stava giocando a impressionare lo sgorbietto mentre lo sgorbietto voleva impressionare la ragazza…

a quel punto vediamo la storia, attraverso alcuni flash al rallentatore, dal punto di vista della ragazza: le sue risate sulla goffaggine dello sgorbietto, il sesso idealistico e irrealistico pure per lei, e l’intimità vissuta come voleva viverla…

…ma poi tutto passa…

perché, visto che si è basato su storie dette per impressionare, quello che abbiamo visto non era amore… era infatuazione giovanilistica prima della crescita: prima cotta serietta di due giovinastri: un avvampo quasi infantile di quello che era quasi niente…

Oppure solo il primo amore che fa dire ai ragazzi, o meglio, all’egoriferito sgorbietto: “cacchio, l’Amore può essere una cosa seria: sicuro che io voglio viverla proprio adesso, accettando anche i contro?”

e un po’ ci dispiace…

ma un po’ anche no…

perché nell’idillio di quegli anni, con anche Say Anything… che, pur genialmente non filmando un happy ending fantasticamente sospeso, finiva con il far rimanere insieme i protagonisti, un finale più reale e crudo di un film del tutto onirico di sesso e corpi statuari di attrici stupendose, fa aprire gli occhi bene sull’impossibilità dei sentimenti e sulla difficoltà delle relazioni, che finiscono in tutti i modi tranne che con un vero happy ending

un film che, quindi, effettivamente fa crescere…

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