American Fiction

Non stupisce che vadano agli Oscar questi film qui…

Non spiacevoli, costruiti con professionalità (tanti specchi coinvolti nelle inquadrature, per esempio), con gusto per la scrittura (carina la spinta metacinematografica all’acqua di rose che fa contenti tutti quelli che scambiano il cinema per letteratura e quindi vanno in brodo di giuggiole quando si accorgono di qualche elemento di ripresa), e parlanti a una platea totalmente statunitense e precipuamente delle coste americane, East e West Coast, oppure delle grandi città famose, dove esiste il dramma non solo del razzismo ma anche della rappresentazione della nerezza

American Fiction prende queste cose alla leggera e le rende cornice di una storia personale di una persona soltanto, un triste personaggio distrutto dai drammi emotivi dovuti alla stramberia dei suoi rapporti familiari…

perché, naturalmente, il dramma è dramma solo se è personale, se è vissuto in prima persona, sennò non coinvolge nessuno, sennò è sociologia che può essere intelligente e veritiera quanto ti pare, ma non appaga la mente della gene ben educata, nera o bianca che sia, che non comprende la tragedia se questa non è connaturata con un Erlebnis

Così come un libro sul Vangelo apocrifo di Tommaso, o sulla filologia del Nuovo Testamento, se scritti da americani, non possono non avere piccoli cappelli, all’inizio dei capitoli, che spiegano varie esperienze mistiche o ateistiche degli studiosi che li hanno scritti, perché per l’americano è inconcepibile che uno possa studiare qualcosa di cui non sente emozione personale; così come un testo di filologia verdiana o pucciniana, se scritto da un americano, avrà sempre una postilla sull’emozione che ha suscitato nell’autore l’ultima recita vista di Turandot o del Trovatore
…esattamente in questo modo si comporta questo film che non può semplicemente dire quanto non funziona dell’editoria statunitense, ma ce lo deve dire solo se quei difetti dell’editoria influiscono negativamente sul quotidiano, sulla mamma con l’Alzheimer e sulla relazione amorosa con la vicina di casa, sennò quei difetti non interessano a nessuno anche se ci sono!

American Fiction parla di uno scrittore nero, vivente a Los Angeles ma cresciuto a Boston, frustrato di venire etichettato come nero anche se parla di mitologia greca (i suoi libri non vengono posti sugli scaffali dei mitologisti ma in quelli dei libri «scritti da neri»), che per vendere scrive un romanzo blaxploitation sotto falso nome: vende a mille, e con i soldi ci paga la casa di riposo per la mamma dopo la morte della sorella, ci sistema il fratello, fino ad allora misconosciuto, scopertosi gay, e ci paga il matrimonio della sua vecchia governante, mentre corteggia la vicina di casa, che però adora il romanzo che lo scrittore ha scritto solo per denaro e che considera cacca…

questa roba va avanti 2h…

con lo scrittore che viene coinvolto in un premio letterario solo perché nero, perché così sono le esigenze di rappresentazione dovute al Black Lives Matter

e con le chiacchiere dello scrittore con gli editori e con Hollywood sul trattamento del romanzo scritto sotto falso nome e che lo scrittore e l’agente spacciano come opera di un latitante: lo scrittore, coltissimo plurilaureato, deve parlare con editori e Hollywood, tutti bianchi, con il gergo dei neri criminali fumettari per portare avanti l’inghippo…

la cosa dovrebbe essere spassosa, almeno per gli statunitensi, e, nella mente dei filmmaker, dovrebbe essere denunciante la tragedia della stereotipizzazione nera…

ma American Fiction è esattamente quello che denuncia…

un filmetto sentimentale che deve mascherare la sua critica in una bio di un ragazzino incapace di essere amato perché geniale, affollata di familiari di cui si racconta tutto quanto senza che venga davvero richiesto, e con un finale che cerca di imitare The Player di Altman (1992) senza un effettivo senso, se non quello di autodenunciarsi come un errore di film, come un’operazione che vorrebbe fare The Producers di Brooks senza avere la stoffa, tanto che si ripiega completamente sulla romcom drammatichina, fatta di piagnistei familisti sdruciti e facili…

Come una canzone dello Stato sociale, American Fiction perpetra i delitti che denuncia, dura un fottìo, già in Canada potrebbe non capirci un cacchio nessuno e, siccome la denuncia è fasulla, non conclude un emerito cacchio se non con una risatina blanda che annacqua con lacrimette scontate…

è quindi perfetto per quella baracconata che sono gli Oscar!

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