Impegnato, si vocifera, con altre opere all’Arena di Verona e impossibilitato a seguire bene le prove, Francesco Ivan Ciampa, designato alla direzione in un primo tempo, lascia il posto a Jordi Bernàcer…
la regia rimane quella di Jean-Louis Grinda per le Chorégies di Orange…
regia tutta fatta solo e soltanto con lo sfondo proiettato…
sfondo, non scene, perché proiettato è solo un “fotogramma”, un videíno grande come il muraglione enorme dello Sferisterio, in cui si vede un’illustrazione della spiaggia al primo quadro, di una cascata al secondo e durante la pazzia, di un portone di legno seicentesco nelle scene interne in Casa Ashton, di un castellino al tramonto in Casa Ravenswood, di un cielo lunare nell’ultimo quadro… illustrazioni banali e immobili se non per cosette minime: l’alba sulla spiaggia, un paio di stormi di uccelli a volare sul castellino Ravenswood e null’altro… la cascata del secondo quadro era animata, scorreva davvero, e dietro l’acqua, al momento giusto, si è intravisto il fantasma evocato nel libretto: la cascata, nella pazzia è tornata, ma il fantasma non si è riproposto mai più…
sul palco, alla bisogna, soltanto un paio di sedie, un tavolo da Ashton, e qualche lancia in dei “porta-lance” poggiati a terra nella scena dello sposalizio…
Lucia aveva intenzioni e movimenti adolescenziali molto carini: hanno dato al personaggio un’energia gggiovane molto efficace (e Ruth Iniesta era brava)…
Enrico presentava movenze caritatevoli, come si vedevano 20 o 30 anni fa, prima che il suo personaggio cominciasse a essere rappresentato come un mafioso con gli scagnozzi (un esempio celebre è nell’allestimento di Barbara Wysoca a Monaco del 2015, con Kirill Petrenko a dirigere Diana Damrau e Delibor Jenis: esiste una ripresa video dell’allestimento fatta da Christoph Engel)…
ma la regia è finita qui…
l’aria da graveyard romantico che Donizetti riesce ad affrescare nella musica non è per nulla evocata dai movimenti attorici, né dai costumi tradizionalissimi, né, tanto meno, dalle illustrazioni di sfondo…
Un tempo queste regie immobili e tradizionaliste costavano comunque un botto, perché per ravvivare il palco qualcosa si inventavano…
- in un contesto platealmente tradizionale, Pier’Alli fece cambi tecnici a vista alla Scala nel 1992 (direttore Stefano Ranzani: esiste una ripresa TV di Manuela Crivelli implementata proprio insieme a Pier’Alli),
- Graham Vick ammantava di magia la sua “normalissima” regia per il Maggio Musicale Fiorentino del 1996 (direttore Zubin Mehta; dell’allestimento esiste una ripresa TV della tournée in Giappone del Maggio nel 1998, e si vede anche in una ripresa fatta da Andrea Dorigo per la RAI per un revival al Carlo Felice di Genova nel 2003 con direttore Patrick Fournillier) con una luna vera, immensa e mobile lentissimamente nel cielo nero, e con degli screens semoventi che “tagliavano” il palco con varie forme (la pazzia è data dall’apertura degli screens a quadrato, con al centro Lucia)…
- nel più vieto neoclassicismo, nel 2007, Mary Zimmerman, al bacchettonissimo MET di New York (direttore James Levine: l’allestimento è visibile in diverse riprese tv PBS dei revival con altri direttori), costruì lussuossimi ambienti, fece apparire il fantasma più volte, e si inventò un bellissimo motivo per plausibilizzare il sestetto…
- pur sul solco della tradizione, anche la Lucia di Dario Argento al Carlo Felice di Genova del 2015 (direttore Giampaolo Bisanti) ci andava giù pesante in quanto a costruzione dei décors pre-raffaelliti, e scovava goduriosissime intenzioni nei gesti e nei movimenti (esiste una ripresa video dello show a uso interno del teatro, che hanno distribuito su Facebook al tempo del COVID)…
e si potrebbe continuare all’infinito… fino a includere la Lucia scaligera di Kokkos e Chailly (con consueta ripresa RAI di Arnalda Canali): noiosamente tradizionale, ma per lo meno fatta, costituita da qualche statua…
invece Grinda ha tutto affidato all’aggiornamento video del telo dipinto… [quando Davide Livermore ha fatto una cosa simile per il Don Giovanni del 2020, almeno ha ravvivato qualche scena con video effettivi, non con semplici drappi di pixel]
ha fatto bene?
mah…
per risparmiare denaro è un modo ottimo!
ma senza un’adeguata gestica da far conferire agli attori, questo tipo di regie tende ad annoiare: il pittoricismo immobile stanca, e la semplice enumerazione delle ambientazioni, senza in esse trovare nulla che desti curiosità, fa fluire un capolavoro di opera lirica come un qualcosa di inutile, come una foto vecchia che non documenta niente: una foto dell’interno di un armadio con vestiti banali… una foto che non attrae in niente…
e Lucia di cose da dire forse ne avrebbe… ho tentato di dire già qualcosa in proposito in Змеéвна…
Le movenze adolescenziali di Lucia, sì, forse qualcosa esprimono, ma tutto quanto è annacquato dall’inconsistente, immobile e sfiancante sfondo privo di senso, ed è proprio tramortito dalle pose lermoyante degli altri cantanti, dalla staticità infausta delle grandi scene d’insieme, e dai costumi scozzesi seicenteschi che, senza una vera scena a cui connettersi sul palco, hanno fatto pensare più a una carnevalata che al supposto rispetto per il libretto (se lo devi rispettare in questo modo, allora vuol dire che il tuo rispetto è la facciata con cui nascondi il fraintendimento!)
per quel che riguarda la regia è stata una Lucia inconsistente, di quelle che, a mio avviso, dimostrano come la roba tradizionale non innerva un cacchio né la musica né l’opera, anzi, la squalifica come opera d’arte deteriore…
ma è anche vero che se quel tradizionalismo d’accatto costa pochissimo e porta a pagare il biglietto lo stesso numero di persone che porta la regia moderna, allora capisco che la regia tradizionale sia un vantaggio economico… per cui, dé, ci si fa andare bene!
anche perché se le regie iper-moderne e contemporaneiste devono comunque essere senza senso, come ci ha dimostrato Stefano Poda con la sua Aida a Verona, allora non si sa cosa scegliere tra la padella e la brace…
ed è un peccato, perché il Macerata Opera Festival era stato, per ora, un monumento all’equilibrio tra la regia sperimentale e il trovare nuovi sensi alla musica e alla scena senza crollare nell’assurdo…
ma capisco le esigenze di budget…
–
Certo è che all’opera, si sa, conta la musica!
e Jordi Bernàcer è stato molto bravo…
qualcuno gli è scappato, così poco da non destare scandalo ma abbastanza per dare leggermente fastidio (alcune volte il baritono, altre il coro, altre il tenore), ma complessivamente tutto è stato gradevolissimo, con tutti i pro e i contro di un’esibizione per tutti e all’aperto…
i pro:
- ha mantenuto pressoché tutta la partitura: cosa per niente scontata
- ha fatto cantare «Ah! ma di Dio la mano irata vi disperda» al tenore
- ha impresso a «Oh, qual funesto avvenimento» una lentezza da messa cantata davvero suggestiva
- ha voluto l’armonica a bicchieri
i contro:
- pur accontentando i cantanti con una capacità di accompagnamento notevole nel seguirli “comodamente” negli ad libitum, negli altri pezzi ha optato per tempi compatti e rapidi (forse «Se tradrirmi, tu potrai» è andato più lento), apposta per fare prima…
- ha concesso la puntatura facile per la ripresa di «Verranno a te sull’aure»…
- la mancanza di una vera interpretazione della musica (tranne che nel detto «Oh, qual funesto avvenimento») ha reso l’andamento incolore, professionale ma per niente coinvolgente: quell’in più, quel quid del capire la musica come racconto di stato d’animo e non come sequela di rapporti ritmici formali, non c’era per niente… questa Lucia è quindi “scorsa” bene e tecnicamente a modo, ma senza un vero mordente né narrativo né effettivamente “musicale”: è stata come un Amleto letto invece che recitato…
certo, avendo Lucia ottimi argomenti musicali la si trova molto gradevole anche con una semplice lettura, però dopo un reading pedissequo, pur di un testo sommo, rimane un certo senso di “incompiuto”… - l’armonica a bicchieri, ok, non si discute, la voleva Donizetti e l’ha cassata solo perché il teatro non voleva pagare un solista esterno, vabbé: s’è capito: Donizetti la “voleva”…
è quindi un pro…
ma cacchio: è una soluzione con cui ho spesso problemi:- Lucia ha il flauto a introdurla anche in altre arie;
- il suono dei bicchieri è sì strambo e suggestivissimo per una scena del genere, ma in quanto ad agilità l’armonica rimane indietro eccome rispetto al flauto (e dire che la musica di Donizetti per l’armonica, nell’autografo, è anche melodicamente più frastagliata rispetto a quella leggermente più semplice che ha poi scritto per il flauto come alternativa);
- Donizetti aveva previsto l’armonica per «Il dolce suono mi colpì di sua voce», per «Ardon gli incensi» e per l’inizio di «Spargi d’amaro pianto» (quest’ultimo, per altro, ha l’armonica in gemellaggio quasi raddoppiato con flauti e ottavini sicché si sente quasi più per suggestione che per motivi effetivamente timbrici, cioè manco la senti davvero) e NON per la cadenza, cadenza che Donizetti non compone affatto, lasciandola alle cantanti: la cadenza che oggi si fa di più è quella composta per Nellie Melba negli anni ’80 dell’Ottocento (con acuto finale fin troppo simile a quello dell’Air des clochettes, cioè «Où va la jeune Hindoue?», della Lakmé di Délibes, 1883) che fu composta PER UN FLAUTO… per cui fare anche la cadenza con l’armonica è davvero un ipercorrettismo (sembra attestato già in un disco antologico di Anna Netrebko e Claudio Abbado, registrato nel Teatro Valli di Reggio Emilia tra febbraio e marzo del 2004; poi in una incisione in studio del settembre 2010 con Natalie Dessay e Valery Gergiev registrata alla Koncertnyj Zal del Mariinskij di San Pietroburgo; e in performance di Diana Damrau e Jesús López-Cobos al Gasteig a Monaco a giugno 2013, incise live da Erato)…
- anche in disco, le armoniche a bicchieri hanno latitato:
- nel 1970, agli Abbey Road Studios di Londra per un disco Westminster, Thomas Schippers adoperò l’armonica senza però sostituire del tutto il flauto (in «Ardon gli incensi» flauto e armonica si alternano) e si guardò bene dall’usarla nella cadenza…
- nel 1976, Jesús López-Cobos effettuò a Londra (ancora non ho scoperto dove), per Philips, una incisione della sua edizione Urtext basata sull’autografo: l’armonica a bicchieri non ce l’ha messa…
- nel 1997, ancora agli Abbey Road, Charles Mackerras, per Sony, incide anche lui l’Urtext dell’autografo con strumenti d’epoca: ma anche lui l’armonica a bicchieri non l’ha voluta…
- nel 2004 c’è il disco di Netrebko e Abbado citato, che sancisce l’ipercorrettismo che abbiamo detto…
- nel 2007 si dice che Levine e Natalie Dessay battezzarono con l’armonica l’allestimento citato di Mary Zimmerman al MET, ma in diverse repliche con altri direttori e soprani, riprese anche in tv dalla PBS, la si sente un po’ come la si sente in Schippers, in compagnia del flauto invece che al suo posto, e non la udiamo per niente nella cadenza…
- nel settembre 2010, nella Koncertyj Zal del Mariinskij di San Pietroburgo, Valerij Gergiev incide tutta l’opera finalmente con l’armonica a bicchieri dappertutto, anche con l’ipercorrettismo della cadenza…
- e nel 2013 c’è il disco di López-Cobos e Diana Damrau che rende anche l’ipercorrettismo regola, subito prima della circolazione dell’edizione critica di Roger Parker e Gabriele Dotto, nel 2014 (a noleggio: è distribuita in vendita solo dal 2021), che mette a testo l’armonica a bicchieri… che però tarda assai a essere accolta dai teatri, e infatti questa scelta dello Sferisterio è curiosa…
- che Donizetti non si sia industriato, dopo la prima a Napoli, per avere l’armonica a bicchieri come soluzione definitiva, insistendo nelle repliche negli altri teatri, forse adombra il fatto che effettivamente usare uno strumento così “ingombrante” per neanche 20 minuti in una serata di 2h e 40′ sarà sembrato alla lunga assurdo pure a lui!
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Ruth Iniesta (Lucia) è stata da sola motivo di gioia per aver comprato il biglietto…
bambinosa e giovanile già nei latitanti gesti scovati da Grinda, ha reso quella infantilità in modo simpaticissimo!
e ha cantato con una precisione straordinaria!
in loggione si sono un po’ lamentati della sua non adeguata “spinta”, accusandola di poca udibilità: tutte idiozie! è riuscita a lavorare con i fil di voce tenerissimi e coinvolgenti perfino allo Sferisterio!
Dmitry Korchak (Edgardo) era squillante, pieno, dal physique du rôle garantito…
agguantava gli acuti calando leggerissimamente, ma tutto sommato è stato un Edgardo davvero bravo!
Davide Luciano (Enrico) è stato strepitoso, stilisticamente eccellente!
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in soldoni è stato uno spettacolo gradevole, di bella professionalità da routinier, ma non mi ha comunicato granché, quasi da passaggio da un orecchio all’altro senza residuo…
mi è rimasta solo la bravura dei cantanti, Iniesta in primis, la contentezza di sentire Lucia di Lammermoor dal vivo dopo tanti anni (dal 2015), e la contentezza che la gestione di Bernàcer sia stata buona…
ma di qualcosa che rimanga davvero non so se c’è stata traccia…
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