La «Rake’s Progress» di Gatti al Maggio!

Il tribunale deve ancora pronunciarsi, ma il modo intrapreso da Alexander Pereira per ingraziarsi sponsor privati, tra cene e traslochi che il sovrintendente metteva in conto alla Fondazione, ha suscitato problemi legali… e Pereira si è dimesso…

Naturalmente sperare che i soldi arrivino dai privati, senza che quei privati abbiano il pelo lisciato dal caviale e dal cibo di lusso, è assurdo… e forse è assurdo pensare che quel caviale offerto a cena lo debba pagare il sovrintendente perché quella cena si intende “privata” e non di lavoro…
magari che Pereira mettesse in conto al Comune di Firenze anche il suo trasferimento da Milano, bah, forse non era così “previsto” né così garbato…
…in ogni caso il Maggio aveva sperato tanto su Pereira, che s’è trovato tra i piedi anche la pandemia…

essersi aspettati dei miracoli da lui è stato completamente assurdo: e già è stato tanto vederlo fare contratti per la commercializzazione continuata dei DVD degli allestimenti, prima solo sporadica al Maggio…

Comunque, le figuracce di Pereira sono ben rendicontate in questo blog: dal suo affidarsi troppo ai divi (fino a rincorrerli con date a sorpresa) al suo aver chiamato a Firenze chiunque avesse subito accuse di cattiva condotta sessual-maschilistica (vedi qui); dalla sua condotta altezzosa al suo ostentato spregio per le istituzioni (esilarante quando paragonò le chiavi della città alle chiavi del braccialetto della Pandora!); dai non eccellentissimi risultati (vedi la costosa Forza del destino della Fura dels Baus) alla sua odiosa politica di aumento di prezzi, fino al suo pessimo tempismo (la sua fissa di invitare i divi, anche anziani, gli ha fatto invitare una Edita Gruberova che si è ritirata e poi è morta e un James Levine che è schiattato prima di arrivare; e la sua scarsa lungimiranza politica, insieme a quella di Nardella, gli ha fatto osannare e slecchinare Valerij Gergiev solo tre mesi prima dell’invasione dell’Ucraina)…

adesso se n’è andato e lascia a Daniele Gatti il compito di rimanere fino, si dice, al 2025 (e già l’anno prossimo Gatti sarà fisso anche alla Staatskapelle Dresden), a reggere un Maggio che Pereira ha reso quasi più ipertrofico di prima, con un palcoscenico in più (la Sala Zubin Mehta), in una città che non è una metropoli da 10 milioni di persone, ma solo una città sì “nobile” ma non sempre capacissima, con le sue infrastrutture e trasporti, a richiamare gente da chissà dove per l’opera lirica… soprattutto quando quell’opera lirica non è di livello più che sopraffino, cosa non sempre garantita al Maggio (difetto che Pereira, tra un Mehta anziano e un divo decotto dopo l’altro, ha quasi inasprito!)

bah…

come al solito, si vedrà…

È evidente la volontà di Gatti nel fare di Rake’s Progress il titolo di congiunzione tra la stagione invernale e l’imminente Festival del Maggio, che avrà il Don Giovanni dell’ormai mummificato Zubin Mehta come opera di punta…

Gatti è bravo a “imporre” opere meno battute a Firenze: nel 2015 era riuscito a far sentire Pelléas et Mélisande con Daniele Abbado, dopo quasi 16 anni (l’ultima volta fu diretta da Giuseppe Sinopoli, nel ’98-’99; prima di lui Salonen l’aveva diretta nell”89), e adesso propone l’opera di Stravinskij mancante addirittura dal 1982, dall’allestimento di Ken Russell condotto da Riccardo Chailly (alcuni, su YouTube, dove circolano frammenti di una ripresa televisiva della RAI, dicono che l’opera fu data alla Pergola invece che al Comunale, ma il Maggio conferma il Comunale)

Il Rake è già nelle Opere per Halloween, e per Gatti è un titolo risaputo: strepitosa, per esempio, la sua lettura a Santa Cecilia, nel neonato Parco della Musica, nel 2006, in forma semiscenica di Lorenzo Mariani (la RAI ha ripreso con regia di Andrea Bevilacqua, ma pare non avere diritti per far rimanere il video su Raiplay)

Molto famoso per i suoi controversi tempi stretti (che a mio avviso rovinano il suo Verdi), Gatti è però uno dei pochi, oltre a Mehta (e forse a James Conlon e Manfred Honeck), a cui l’orchestra del Maggio va dietro con continuità (senza contare, quindi, le ospitate di lusso una tantum, da Muti a Saraste ad Aškenazi ecc. ecc.)…

e sotto la guida di Gatti, nella tutto sommato piccola Sala Zubin Mehta, l’orchestra è stata sgargiante di precisione cameristica, prontissima negli indiavolati ritmi dell’opera e spettacolare coi i suoi solisti, anche nei di solito disastrosi ottoni!

anche stavolta Gatti è andato veloce, specie nelle arie solitamente più languide (quelle di Anne), ma la sua rapidità era supportata da un volume sonoro maestoso, e da una cura davvero emozionale del dettaglio musicale…
come è stato per il Debussy più drammatico che veramente simbolista del suo Pelléas et Mélisande, Gatti non obbedisce granché ai dettami di oggettività e anti-sentimentalismo di Stravinskij, e fa un’opera dai personaggi belli vivi, e dalle intenzioni psicologiche assai pimpanti…
Anne canta I go to him innamoratissima, e per questo la musica le va dietro con furia adolescenziale invece che con calligrafiche architetture ritmiche…
questo modo può non piacere ai puristi, ma la diegesi e il coinvolgimento sono garantiti!

Il risultato, coinvolgente e avvincente per le accese e slanciate emozioni, non ha per niente reso un brutto servizio al libretto di Auden e Kallman, e non è stato davvero irrispettoso dei voleri di Stravinskij, poiché rendere il passo rapido della diegesi ha comportato una perizia virtuosistica nei solisti in orchestra autenticamente settecentesca

Matthew Swensen (Rakewell) è esperto ed encomiabile come attore e come sopraffino intonatore, ma, come nel Falstaff di Gardiner, non ha brillato per volume e Gatti, forse, lo ha anche volutamente sovrastato con la forza orchestrale…

Sara Blanch (Anne) è stata fenomenale: un paradiso di intenzioni e di note centrate al millimetro… è stata come un pregiato pezzo di argenteria, ben sfoggiato e goduriosamente utilizzato… gran lusso di coloratura (Anne fu creata addirittura da Elisabeth Schwarzkopf nel 1951) da 10 e lode!

Vito Priante (Shadow) è stato sommo: ottima la sua emissione basso-baritonale, la sua verve attorica, e il suo timbro sicuro!

Adriana di Paola (Baba) è stata certamente brava, ma tutto sommato un pochino “pesante” in una Baba che invece, forse, necessita intenzioni più aere…

Il team scenico del non vecchio regista Frederic Wake-Walker (scene e costumi di Anna Jones; luci di Charlotte Burton; video di Ergo Phizmiz) è riuscito a far collimare le idee classiche di gestica a una sperimentazione scenografica, tutta risolta con proiezioni di video digitali, davvero efficace…

lo spettacolo sembrava dichiaratamente poco costoso, ma allo stesso tempo lussuoso per via degli elaborati video…

sono stati bravi anche a garantire a Gatti la speditezza della narrazione…

Per tirare le somme, questa Rake’s Progress è stata un gioiello del Maggio, di quelli oggi assai rari (nel novero dei gioielli posso solo contare il già menzionato Falstaff di Gardiner, e poi, forse un gradino sotto, il Ballo in Maschera di Rizzi e l’Amico Fritz di Frizza)…

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