Parliamoci subito chiaro:
è un film parecchio bello!
Le uniche obiezioni che gli faccio sono di puro gusto…
Per me l’aspetto visivamente principale del film (che è quello dell’altro film di Dhont che ho visto, cioè Girl) è che la macchina da presa sta incollata a un personaggio soltanto, il protagonista, il bambino Léo…
e quindi vede solo con uno sguardo che è o agito o giustificato da Léo…
ci sono primi piani di Léo, spesso così stretti che manco vediamo cosa o chi Léo ha intorno (roba simile al Dogman di Garrone)…
e quei primi piani spesso controcampano in soggettive di Léo…
le immagini, da tranche de vie (macchina a mano, sfocature, traballamenti, whip pan, inseguimenti vertiginosi: tutto vuole suggerire, e lo fa molto bene, la registrazione diretta di quel che accade), sono attaccate a Léo: Léo è il centro e noi vediamo solo quello che gli sta intorno…
ma le immagini, in quanto registrazione diretta non sono “interiori”, sono solo “esteriori”: tutto gira sì intorno a Léo, ma di Léo non vediamo nessuna immagine mentale: sicché è meglio dire che tutto gira intorno a quello che Léo fa…
e fa tante cose: studia, gioca con l’amico, aiuta la piantagione fioristica di famiglia, fa lezione di hockey…
ma di quello che pensa e che prova Léo non sappiamo un cavolo di nulla…
ma il film ha però per soggetto le emozioni, emozioni puberali e luttuose fortissimissime…
e queste emozioni sono visualizzate solo attraverso azioni, lasciando sfociare l’espressione dei sentimenti solo quando quell’espressione comporta un’azione, un pianto, un gesto di stizza…
e dato che siamo sempre attaccati a Léo, quei pianti e quei gesti sono solo di Léo…
e quello che gli sta intorno è sfondo…
ma la tragedia avviene proprio sullo sfondo!
la cosa tramortisce
Dhont riesce bene a farti sentire come i personaggi, ti fa sentire lì a continuare a muoverti e a fare anche in mezzo al lutto e alla disperazione…
lutto e disperazione di cui non sai niente, perché si vedono appunto solo i fatti, non i sentimenti, e le emozioni che hanno portato alla tragedia sono anche di un agente che è fuori dal nostro sguardo, perché quell’agente non è Léo…
sicché sei lì che piagni per un lutto improvviso che non sai elaborare perché è accaduto fuori dall’orizzonte enciclopedico cinematografico del film…
il lutto e la tragedia, quindi, anche per noi spettatori oltre che per i personaggi, sono lutto e tragedia del non sapere, perché non si è visto, e perché l’emozione non c’è, la disperazione non c’è, c’è solo l’azione della disperazione, che si ha solo a uno stadio del lutto molto avanzato, ma nel frattempo c’è solo il vuoto, che sentiamo come un macigno anche noi che vediamo…
Il nostro Léo, in pubertà, non sa espettorare il lutto e quindi fa ben poco per esprimerlo, ma si capisce che soffre…
ma né lui né le immagini eruttano il dolore… il dolore rimane interiore…
e la macchina da presa continua a rimanere ferma a guarda cosa Léo fa, e non fa cose che lo aiutano nell’elaborare il lutto, e pertanto la macchina da presa cova il lutto: ce lo fa gorgogliare e ribollire ben bene sotto la superficie!
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Tutto questo è il pezzo forte del film, ma paradossalmente è anche un suo tallone d’Achille: senza l’emozione a eruttare, tutta l’elaborazione del lutto, lunga e fatta solo di azioni del quotidiano, può risultare fredda…
e non solo: l’arrivo del lutto trasforma de abrupto un film che era partito come un film gay…
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e per i cinici la tematica gay non giustifica il lutto e la tragedia:
la discriminazione “subita”, per i cinici, non sembra abbastanza,
e la reazione luttuosa conseguente, trattandosi di personaggi che hanno sì e no 12 anni, sembra esagerata…
ma anche nella parte gay sono tanti i “non visti” causati dal fatto che la macchina da presa vede e sta attaccata solo a Léo…
probabili precedenti di patologia nell’agente del lutto vengono suggeriti, ma siccome non riguardano Léo sono nel contorno, quasi impercettibili…
la cosa è affascinante…
…o anche contribuente alla complessiva freddezza che magari si avverte…
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anche perché, come Girl, l’attaccarsi a un unico personaggio, in tranche de vie e in registrazione del reale, porta a un film che finisce per essere una lunga rendicontazione di attività extrascolastiche: hockey, hockey, hockey, spampina i fiori, spampina i fiori, spampina i fiori… qualche pettegolezzino anti-gay per un cinico totalmente indolore, e poi una tragedia, che appare quasi paradossale, nella seconda parte del film, dove la disperazione lascia spazio ancora e ancora all’hockey e allo spampinamento dei fiori…
per qualcuno può essere poco…
così come era poco l’angoscia della protagonista transgender di Girl…
apparirà poco a chi è privilegiato e i pettegolezzi, pur blandi, dei 12enni compagni di scuola su presunte gaytudini, non le ha mai subite…
oppure le ha subite senza avere la coda di paglia (visto che negli anni ’90 era molto facile essere tacciati di essere gay come se fosse una cosa esecrabile, bastava mangiare il Fior di Fragola, cosa che io ho sempre fatto con orgoglio in piazza e infatti nel mio paesello sono ancora passibile di gaytudine, vedi anche la sintesi che del problema fa Ovosodo)… ma anche affermare questo fa parte del privilegio di chi i pettegolezzini non li ha subiti *davvero*…
e forse è questo il mio problema con Close: il mio privilegio…
anche se qualche minuto in più di pianti al posto dell’hockey ce l’avrei messo (come avrei messo meno ballo e più dialogo in Girl)…
e anche se ribadisco che, alla fine, l’arrivo tanto voluto del pianto liberatorio giunge con metafore anche abbastanza faciline: la pioggia purificatrice e il braccio rotto che guarisce: roba ritrita…
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e nonostante tutto trovo eccezionale l’inquadratura finale, con Léo che si volta, sentendo la presenza, di qualcuno, di qualcosa, e il sistema della macchina da presa che registra solo quello, come ha sempre fatto: uno sguardo su un presentimento e nient’altro… un’azione di lutto o di superamento del lutto che manco è azione, è solo visione, idea, effettivo sentimento: un sentimento genuino, proprio alla fine, che riscatta tutta la mancanza di sentimento del film: un sentimento, cioè, che arriva tutto insieme nell’ultimo fotogramma…
geniale
geniale ma con troppo hockey nel mezzo!
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da confrontare con un film dalla gaytudine similare, ma più adulto e tutto sfogato d’emozione: Matthias & Maxime di Xavier Dolan…
straordinario
tu che parli bene di un film 🤯
Nonostante le molte riserve!