Annette

Ha vinto miglior regia a Cannes e quindi non può essere considerata una minchiata…

Di cinema ce n’è tanto e da serie A:

  • c’è lo sguardo europeo, cioè attento ai dettagli di costruzione dell’immagine invece che alla calligrafia hollywoodiana: mi spiego:
    si vede che Carax gira per intenti filmici, fotografici, non per intenti narrativi di condiscendenza con il pubblico…
    in Annette non ti immagini un set apparecchiato apposta per le star, con 6000 truccatori e 8000 diffusori per irreggimentare la luce: tutte cose che rendono sì lussuosa ma anche terribilmente pulitina e “non interessante” l’inquadratura…
    in Annette vedi che ogni dettaglio è più fatto per creazione che per catena di montaggio, e quindi origina immagini mai anonime e sempre particolari…
    tutto ciò produce:
    • splendori di sovrimpressioni,
    • accostamenti cromatici sfavillanti,
    • sfocature preziose,
    • stacchi torbidi fantasiosi e ancorati al mostrato quasi come quelli di Ejzenštejn,
    • godurioso antirealismo, soprattutto scenografico,
    • oscurità inedite per i brillantissimi film hollywoodiani (forse qualcosa di recente che pareggia in oscurità sono The Canyons di Paul Schrader [che però non sa di niente] e Bling Ring di Sofia Coppola, entrambi del 2013… oppure Maps to the Stars di Cronenberg, 2014) e più in linea con molti orientali (uno su tutti Hou Hsiao-hsien),
    • un aspetto generale “simbolista” fatto di immagini simboliche, un po’ (anche quelle) Ejzenštejn, un po’ Don Siegel, un po’ Yasujiro Ozu,
    • piani sequenza placidi e performativi…
  • c’è una gestione della trama tutta elucubrazioni di passioni più che di argomentazioni o di dialoghi, cosa assai rara in un film industriale odierno…

Ma c’è anche tanta cacca, derivata da diversi fattori:

  • prima di tutto perché Annette è ancorato a una band (gli Sparks) che fa un musical come se fosse un concept album
    • fare un concept album come se fosse un effettivo musical è un qualcosa che, nonostante le apparenze, non è riuscito a tantissimi…
      Tommy degli Who fu molto rimaneggiato al momento delle performance teatrali, e per il film del 1975 Ken Russell intervenne di brutto, solo per fare un esempio blasonato…
    • e anche fare un musical vero e proprio, wet dream di molte rock star, non è riuscito seriamente a tutti, se non a chi poi lo ha fatto di mestiere (Andrew Lloyd Webber, Maury Yeston, Stephen Schwartz), e gli esempi italiani in merito sono tanti (da Lucio Dalla ai Pooh)…
  • come si diceva per Music di Sia: in casi come questi o ti piace quello che fa la band o ti fracassi gli zebedei…
    gli Sparks (quelli che tentavano di fare un film almeno dal ’91, vedi Burton II) ci hanno creduto tanto, cercando di fare contrappunti vocali ottimi e fantastici arrangiamenti (voce in capitolo l’ha avuta il vecchio Marius De Vries, principe dei musical dai tempi di Moulin Rouge), ma non sono riusciti a far fluire tutto quanto come se fosse qualcosa che c’era perché doveva esserci, poiché hanno semplicemente ottenuto una sorta di *imitazione*, una specie di si fa così perché così s’è sentito fare ad altri (e dagli Who, da Lloyd Webber, dai Deep Purple in particolare)…
    un risultato simile, a livello di contrappunti proibitivi che però stanno lì a non dire un cacchio, è quello di Rent di Jonathan Larson (1996: ci fece un orribile film Chris Columbus nel 2005)
  • poi c’è, come un macigno, da stigmatizzare la voglia che queste operazioni di concept album/musical hanno di diventare cult a tutti i costi… e per diventare cult proprio si ispirano e quindi, di nuovo, *imitano* i cult
    • la trama sconclusionata che prevede varie violenze gratuite senza scopo e costrutto imita Rocky Horror Picture Show (un film di cui parla diffusamente Austin Dove), senza però avere quel senso che hanno in Rocky Horror, poiché, appunto, l’imitazione è priva del senso…
    • la natura pleonastica e ripetitiva delle situazioni, a rendere sgangherata la vicenda come qualsiasi altro cult dalla trama sgangherabile
    • la presenza degli Sparks a fare l’occhiolino su chissà quali rimandi a chissà cosa passata della loro carriera, per autocelebrazione (come autocelebrativi sono spesso i cult)…
    • la voglia di simbologie varie e di tentativi di fare catarsi che non vanno in nessun posto…
    • l’affastellare suggestioni a caso, magari a imitare Tommy, senza però il finale mistico…

Questa voglia atroce di diventare oggetto di culto rovina un film che è interminabile (2h 20′) che finisce per essere incomprensibile, smaronato, che si attacca a qualsiasi semplice “somiglianza” per farne un “simbolo” (e poi ci si lamenta di Zardoz di Boorman), e che si ingarbuglia in se stesso, senza sapere come fare se non buttarla in caciara, come un Ozpetek qualsiasi!

È di quei film in cui il protagonista negativo sta a cantare 3h sul suo momento di scelta di guardare l’abisso, ma quando s’è trattato di far vedere (o sentire, in musica) quel momento nel continuum della diegesi invece non s’è visto un cacchio! (e poi si dice che l’opera è noiosa! e lo si dice in questo stesso film!) [tra l’altro la roba del guardare l’abisso è Nietzsche, ed è esergo del bellissimo The Abyss di Cameron: è quindi massima che non si meritava tale abuso: a quel punto meglio questo meme:]

È di quei film come Undine di Petzold (che almeno durava la metà di Annette) felici di provare a dire tutto senza riuscire a dire niente…
di quei film che si vestono da artisti e urlano la loro artisticità a squarciagola e sono sicuri che basti chiamarsi artisti per essere artisti…
di quei film che sono pieni di loro stessi: fatti più per chi li fa che per chi li guarda…

Agli Sparks questo film sarà piaciuto tantissimo…

a noi altri, mah…

io ho avvertito di aver perso irrimediabilmente 145 minuti…

e non basta una regia ottima per recuperarli, anzi, mi fa incazzare che un regista bravo si presti a fare il film cult a tutti i costi, anche a costo di imitare i cult senza però riuscire a diventarlo…

Bravi gli attori, ok… ma anche loro cadono nell’autocelebrazione…
Adam Driver, per esempio, se la fa e se la ride…
fa tutto lui: produce, sta in scena per ore, canta e ricanta, ammazza ma vuole che lo si perdoni perché “la vita è così, e quando s’è guardato l’abisso c’è poco da fare” (sarebbe da rispondergli «ma che cazzo vuoi dire!?»), il tutto con la sua recitazione poliedrica, comica e drammatica, fisica e facciale, emotiva e catatonica…
sembra quegli attori di soap-opera, tipo Alessandro Preziosi, che quando diventano famosi si producono da soli Cyrano in teatro o il Galileo di Brecht o l’Amleto, e se lo producono da soli solo per farlo, finalmente, sorpassando il fatto che nessuno glieli offrirebbe mai (vedi anche quella cacchiatellina di Alceste à bicyclette di Philippe Le Guay, 2013)!
poi, vabbè, magari sono anche bravi, ma un certo senso di estraniamento resta…

Se qualcuno ha interpretazioni in grado di spiegarmi questo film sono molto bene accette…

e finché non giungono, considero Annette una immensa idiozia…

7 pensieri riguardo “Annette

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  1. grazie della citazione^^
    ma non ho capito molto della recensione, quasi tutte le references mi mancavano e il film non lo ho visto xD
    driver cmq non mi sembra sto granché

  2. Di Don Siegel ho adorato in particolare Chi ucciderà Charley Varrick?. SKY l’ha mandato in onda pochi giorni fa, e la cosa mi ha fatto molto piacere: quando un film continua a venire trasmesso decenni dopo la sua realizzazione, vuol dire che si è conquistato una forma di immortalità, e questo film se la merita pienamente.

      1. Hai ragione: la critica non è mai stata tenera con lui, e più in generale con tutti quei registi che fanno film “di genere”. C’è nella mente dei critici quest’idea stupida per cui un film poliziesco o thriller, anche se ben fatto, non può essere considerato arte, e per estensione chi l’ha diretto non può essere considerato un artista. Perfino Hitchcock ha patito le conseguenze di questa mentalità, e infatti non ha mai vinto l’Oscar. Grazie per la risposta! :)

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