Spesso, quando un regista si mette al servizio di una storia d’altri, dà il meglio di sé…
Stephen Frears, spesso, non scrive, ma dà tutto se stesso in ottime storie di altri, e gira capolavori…
Un regista come Paolo Virzì, spesso incapace di trovare la quadra narrativa, quando ha avuto a che fare con la trama concepita bene da altri ha fatto uno dei suoi film migiori, Il capitale umano…
Placido, con una trama di Stefano Massini, fa altrettanto…
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Il Placido regista è discontinuo:
Del perduto amore era carino;
Ovunque sei aveva ottime immagini e un’atmosfera costruita bene (con Bigazzi alla fotografia e Ludovico Einaudi in colonna sonora), ma narrativamente lasciava il tempo che trovava (il twist finale era volenteroso, ma telefonato);
Romanzo criminale era bello: forse il film di Placido che finora mi è piaciuto di più: coeso narrativamente e dalla resa visiva non male…
Il grande sogno e Vallanzasca, invece, pur visivamente non del tutto privi di fascino, erano slabbrati a livello di sceneggiatura: avevano scene anche elaborate che però non approdavano in nessun posto, e al “dunque” non ci si arrivava mai…
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Perciò da 7 minuti mi aspettavo una schifezza priva di coesione, dal tono evocativo senza però un vero “succo”…
Invece il succo c’era tutto grazie a Massini, e quindi Placido si è potuto concentrare sull’illustrazione di questo succo… e lo illustra come dovrebbe fare un regista: guidando una troupe preparata e professionista in una visione d’insieme coerente e unita…
Arnaldo Catinari costruisce una resa visiva scurissima davvero rara nei film italiani; i costumi (Andrea Cavalletto) e le scenografie (Nino Formica) sono pensati ed elaborati con vera cognizione di causa; il montaggio (Consuelo Catucci) è liscio e sicuro; le musiche di Paolo Buonvino, hanno un tema ricorrente riconoscibile e adeguato — tutte cose che accompagnano benissimo la trama e che coadiuvano un cast d’ensemble non perfettissimo (certi “tic” della Nazionale, di Ambra e di Violante, si vede che sono personali e non recitati, cosa non negativa se, come in questo caso, c’è qualcuno a imbrigliare bene il carattere dell'”attore”), ma che insieme rende in maniera sorprendente…
A livello tematico la base è senz’altro 12 Angry Men, da cui si prende quasi tutto (non solo dalla versione di Lumet ma anche da quella di Friedkin), ma avere modelli grossi a cui ispirarsi non è un male, anzi… Ispirandosi a Lumet e Friedkin, il discorso etico e politico è portato avanti con nessuna beceraggine, con nessuna presunzione di avere ragione, così come il discorso “razzista”: lo si porta avanti con l’oggettività della constatazione e con la semplice proposta di una possibile soluzione risultante dalla dialettica… Un inno alla comprensione e all’analisi dei fatti che è davvero salutare!
Quindi, professionisti al lavoro, ispirazione ai modelli giusti, una coesione etica e narrativa solida: tutto questo produce momenti di vera partecipazione e commozione, e ispira riflessioni e considerazioni tutte da fare e ragionare…
Un 10 e lode!
Da vedere e rivedere…
Mi ha entusiasmato!
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