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la "Treemonisha" di Scott Joplin viene concepita nel 1915, ma forse non viene mai eseguita (viene rappresentata filologicamente da Gunther Schuller solo nel 1974). Era forse il primo tentativo di fare una forma di spettacolo musicale che fosse autonoma dall’opera lirica e dall’operetta (specie quella inglese di Gilbert & Sullivan) – Poi, nel 1935, inaspettato, arriva il "Porgy and Bess" di George Gershwin; è l’inizio di una reazione a catena che fa esplodere non solo un genere, ma una forma di spettacolo in cui musica, danza, canto, si intrecciano, in un modo così "unico" da non riuscire più a distinguerli l’uno dall’altro. – L’isola di Manhattan, nella zona di Times Square e della Pennsylvania Station (lungo la Broadway), diventa, insieme al West End di Londra, l’ambiente di questa forma, e gli anni ’30 diventano il suo "brodo primordiale" – È da Broadway ("Porgy and Bess" viene rappresentato al Majestic Theatre) che la neonata Hollywood cerca ispirazione e proprio negli anni intorno al ’35 cominciano a lavorare e ad avere successo Busby Berkley, Fred Astaire, Ginger Rogers – Poi, come fu per Gilbert & Sullivan nell’operetta, una "coppia" portò le cose al vero successo: Richard Rodgers & Oscar Hammerstein II con "Oklahoma" nel 1943 – Ma le cose non vanno bene, Rodgers & Hammerstein si muovo in ambienti "popolarissimi", e non saranno mai visti come cose culturali… una "cultura" che invece cominciava ad ammettere Gershwin e "Porgy and Bess" proprio nelle liste delle Opere classiche… – Nel 1946 arrivò Kurt Weill: scappava dalla Germania nazista e mentre la nuova forma si sviluppava negli anni ’30, lui, con Bertolt Brecht, aveva esplorato tutte quante le possibilità musicali dell’opera lirica, e giungeva in America voglioso di fare, e concepì questa "American Opera", questa "Street Scene" – Se Rodgers & Hammerstein adottavano un tipo nuovo dell’antico "singspiel" (numeri musicali inframezzati a pezzi cantati), Weill va decisamente oltre, prendendo proprio "Porgy and Bess" come modello non da imitare ma da superare; se a Rodgers & Hammerstein erano pressoché sconosciuti i richiami tematici, per Weill il tema diventa un qualcosa da accarezzare, da studiare, o perfino da sfidare, come quando usa temi coniati per personaggi specifici lontano da quei personaggi, allineandosi con l’ottocentesco Wagner e con gli utilizzi disinvolti di Puccini (il compositore d’opera più amato in America). È infatti da Puccini e da Strauss che era partito Gershwin e da Puccini e da Strauss riparte Weill: la teutonicità dell’accordo iniziale viene da Strauss (morto solo un anno prima della rappresentazione della "Street Scene"), e questo accordo di sciagura ritornerà, anche nascosto, in molti punti dell’opera. Da Puccini arriva la libertà di spaziare tra i generi, la componente melodica, e la maestria nell’amalgamare musica e dramma – La tematica è tutta brechtiana: tragica, e maniacale nel costruire la scena e i personaggi, che vengono quasi osservati, in modo quasi naturalista; ma Weill è più disperato: Weill sembra affezionarsi a molti dei suoi personaggi (specie a Sam e a Rose), e ne piange la sorte, che, nell’indifferenza di un mondo pettegolo, vengono travolti dal marciume della società, che si porta via ogni "bene" giovanile, ogni amore benefico, ogni gioia di esserci e di potersi migliorare – Tutte tematiche certamente brechtiane, ma che per Weill, tedesco, devono aver fatto rima con "espressionismo": tante, infatti, sono le derivazioni dal mitico "Wozzeck" di Alban Berg (di una ventina d’anni prima): il declamato e la vocalità estrema per esempio; ma Weill deve essere stato attento anche a coloro che "studiarono" Berg prima di lui, in primis Shostakovich e la sua opera "Lady Macbeth del Distretto di Mtsensk" (rappresentata nel ’34), un lavoro che molto assomiglia alla "Street Scene" di Weill, perfino nell’ambientazione (e sarebbe affascinante constatare come Weill e quest’opera possano essere entrati in contatto negli anni ’40) – L’espressionismo, però, non è mai cattivo, e, ripeto, spesso la pietà per i persoaggi viene fuori amorosa, per ripiombare nella targedia che i persoaggi non sono "cattivi", ma vengono risucchiati da una società che non fa altro che produrre male, male e basta, insozzando ogni bene che può esserci: cose che si allineano quasi a Euripide, o a Thomas Hardy, e che non sono vprettamente espressioniste, ma ben vicine a un Puccini e un Shostakokich – Il tema di Rose risuona lunare, ma non è mai "melodico" e non è mai al centro di nessuna "song", è lì, presente, suggerito, sul fondo, a fare da sottotesto e da tessuto connettivo a ogni cosa, creando una struttura che non è mai schematica (raramente si vedono pezzi a se stanti e completamente staccati come recitativi e songs), ma cerca la compenetrazione, e spessissimo la musica fa da colonna sonora (proprio cinematograficamente parlando) al dialogo, andando ben oltre Rodgers & Hammerstein – Infatti sarà da Weill che Leonard Bernstein e Jerome Robbins (con Arthur Laurents e Stephen Sondheim) partiranno per il loro "West Side Story", del 1957 (notare i parallelismi: scene ambientate nel West Side newyorkese come in Weill, disinvoltura tematica come in Weill, finale tragico come in Weill, e duettone classico come in Weill), il primo vero capolavoro della nuova forma, il "musical", e da Bernstein si arriverà ai lavori di Rice & Lloyd Webber (dal 1971) e ai caplavori di Sondheim (in primis "Sweeney Todd" del 1979) – esiste la registrazione del cast originale del ’46, ma è pesantemente tagliata; ottime questa di Davis della English Opera e quella di John Mauceri fatta in Scozia; in DVD circola un fantastico allestimento di Francesca Zambello per la Houston Opera, che spero di postarvi presto

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